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Mediazione obbligatoria illegittima. Le motivazioni della Corte Costituzionale
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Osservatorio legale di Anna Jennifer Christiansen
24 dicembre 2012 11:46
 
È stata pubblicata il 12 dicembre scorso la sentenza con cui il giudice delle leggi dichiara costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega e straripamento dei poteri del legislatore delegato, l’art. 5, comma 1 del d.lgs. 28/2010, nella parte in cui impone come obbligatoria la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili commerciali.
Questa la parte dell’articolo in questione che qui interessa: “Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, e' tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto […] L'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilità della domanda giudiziale.”

Il Tar Lazio, i Tribunali di Torino e di Genova, e diversi Giudici di Pace avevano sollevato questioni di legittimità pressoché identiche, motivo per cui la Corte Costituzionale ha ritenuto di trattarle congiuntamente con la pronuncia in oggetto. Essa ha ritenuto fondate le censure sollevate dai giudici rimettenti in merito all’eccesso o al difetto di delega che caratterizza il decreto legislativo rispetto alla legge delegante (l. 69/2009), ed ha posto in rilievo tre ordini di motivi.

1) La prima censura di illegittimità del d.lgs. 28/2010 verte su un motivo di incoerenza nel richiamo fatto in genere alla normativa dell'Unione europea, e in specifico alla direttiva 2008/52/CE, per giustificare la scelta del legislatore delegato italiano a favore del modello obbligatorio.
Tale direttiva mira infatti a garantire un migliore accesso alla giustizia, invitando gli Stati membri ad istituire procedure extragiudiziali alternative, formate sulle specifiche esigenze delle parti, per consentire una risoluzione conveniente e rapida delle controversie civili e commerciali. Tuttavia, essa pone anche dei precisi parametri entro i quali gli Stati membri possono imporre la mediazione come condizione di procedibilità di una eventuale domanda giudiziale, sancendo esplicitamente che: “La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.
La Corte Costituzionale ricava da questa direttiva (unitamente ad altre norme e pronunce a livello europeo) che “la disciplina dell'UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie.” E di conseguenza esclude che la legge delega, per il solo richiamo effettuato alla direttiva comunitaria menzionata, possa essere interpretata come scelta a favore del modello di mediazione obbligatoria.

2) Il secondo motivo di censura verte sul mancato rispetto, in sede di emanazione del d.lgs. 28/2010, dei principi posti dalla legge delega (art. 60, comma 3 della l. 69/2009).
In particolare, l’art. 60, comma 3, lettera n) aveva disposto che il Governo, nell'esercizio del potere di delega conferitogli, avrebbe dovuto “prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente, prima dell'instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell'istituto della conciliazione, nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione.” Ad avviso della Corte Cost., il legislatore delegato ha pertanto ecceduto nell’interpretazione di tale criterio direttivo, poiché ha imposto come obbligatorio l'esperimento di un procedimento di mediazione, mentre il legislatore delegante lo aveva prospettato come meramente facoltativo e modellato esclusivamente sulle esigenze delle parti.
Ciò comporta violazione dell’art. 76 Cost., il quale dispone che: “L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principii e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.”
Conclude sul punto la Corte che “tale vizio non potrebbe essere superato considerando la norma introdotta dal legislatore delegato come un coerente sviluppo e completamento delle scelte espresse dal delegante, perché in realtà con il censurato art. 5, comma 1, si e' posto in essere un istituto che non soltanto e' privo di riferimenti ai principi e criteri della delega ma […] contrasta con la concezione della mediazione come imposta dalla normativa delegata.”

3) Il terzo e ultimo motivo di illegittimità critica la generalizzazione operata dal Governo nel prevedere, per ogni controversia insorta nelle materie elencate, l’obbligatorietà della procedura conciliativa.
Tale generalizzazione non sarebbe infatti legittimata dal nostro ordinamento, che prevede soltanto un numero circoscritto di procedimenti di mediazione obbligatoria in singoli e ben delimitati settori (ad esempio quello delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, o delle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato), in relazione ai quali nessun rapporto di derivazione e' configurabile in riferimento all'istituto in esame.

La Corte ha quindi dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art 5, comma 1 d.lgs. 28/2010, nonché degli altri articoli del medesimo decreto che ad esso fanno riferimento, nelle parti in cui sanciscono l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione. Questo per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., ossia per eccesso di delega e straripamento dei poteri conferiti al Governo.

 
 
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