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 ITALIA - ITALIA - Come sta il Paese? Rapporto Istat: reddito disponibile procapite, meno 360 euro in dieci anni
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26 maggio 2010 11:46
 
 Enrico Giovannini, presidente Istat, ha illustrato la sintesi della diciottesima edizione del Rapporto annuale sulla situazione del Paese. Il volume di quasi 400 pagine fornisce in quattro capitoli un quadro organico di come la crisi economica del 2008-2009, la più grave del dopoguerra, abbia influito sul sistema produttivo e sulle famiglie italiane, nonché un’analisi delle condizioni che influiscono sullo sviluppo a lungo termine del Paese, nell’ottica della Strategia Europa 2020, di prossima definizione.
“Se il biennio 2008-2009 – ha detto il presidente dell’Istat - è stato straordinariamente difficile per l’economia mondiale e il sistema economico italiano, il 2010, avviatosi sotto il segno di una ripresa della produzione e degli scambi internazionali, presenta ancora forti rischi di instabilità. In Italia la caduta del prodotto è stata molto accentuata e più forte di quella registrata negli altri grandi paesi industrializzati: il Pil è tornato ai livelli dell’inizio degli anni Duemila”.
“Le imprese hanno cercato di fronteggiare la crisi riorientando le produzioni e la presenza sui mercati internazionali. Le piccole e medie imprese, nonché quelle più efficienti, hanno gestito meglio le difficoltà rispetto alle grandi e alle micro (fino a 9 addetti). Nonostante la gravità della recessione, molte imprese manifatturiere hanno aumentato l’occupazione e le esportazioni, mostrando la vitalità di importanti segmenti del sistema produttivo italiano.”
Giovannini si è poi soffermato sulle conseguenze negative della crisi per l’occupazione e i redditi spiegando che “nel marzo 2010, il numero di occupati è inferiore di oltre 800 mila unità rispetto al massimo di marzo 2008 e vicino a quello registrato a fine 2005. Il tasso di disoccupazione e l’inattività sono cresciuti. Il reddito disponibile delle famiglie in termini reali, dopo essere aumentato molto lentamente negli anni Duemila, è diminuito per due anni consecutivi: il reddito disponibile annuo pro capite è oggi inferiore di circa 360 euro rispetto a quello del 2000. In questo scenario recessivo, tuttavia, il rallentamento dell’inflazione e la discesa dei tassi d’interesse hanno contribuito a rendere meno difficile la quadratura dei bilanci familiari. Le famiglie italiane hanno ridotto la propensione al risparmio, che ha raggiunto i livelli minimi dagli anni Novanta”.
“Le politiche economiche hanno sostenuto il reddito disponibile e cercato di contenere l’impatto della recessione sull’occupazione, incoraggiando l’uso della cassa integrazione guadagni. La perdita di occupazione ha riguardato soprattutto i giovani che vivono in famiglia, rendendo meno duro l’impatto complessivo della crisi sulle condizioni dei bilanci familiari.”
Il Presidente dell’Istat ha quindi richiamato l’attenzione sulla necessità di non soffermarsi soltanto sulle difficoltà e le incertezze del presente, ma di guardare alle possibili soluzioni per assicurare un orizzonte di prosperità alle generazioni attuali e a quelle future. “Alla vigilia dell’adozione della nuova Strategia Europa 2020, è necessario comprendere come orientare le risorse disponibili al fine di creare le condizioni economiche, sociali e ambientali che determinano la qualità della vita in un Paese. La solidità di ampi segmenti del sistema produttivo e della posizione patrimoniale di tante famiglie non possono far dimenticare le fragilità che la crisi dell’ultimo biennio ha confermato o accentuato.”
Giovannini ha riepilogato questi aspetti critici: le caratteristiche dimensionali e di posizionamento settoriale delle imprese industriali e dei servizi, nonché la loro scarsa propensione alla ricerca e all’innovazione; la presenza di due milioni di giovani che non studiano e non lavorano, nonché un tasso di disoccupazione giovanile salito quasi al 25 per cento; la bassa quota di investimenti pubblici e il ritardo infrastrutturale di cui soffre il Paese; le debolezze del sistema formativo delle giovani generazioni e degli adulti, il quale non solo non fornisce le competenze necessarie per svolgere le attività richieste dalla società della conoscenza, ma conserva le diseguaglianze sociali di partenza; il sottoutilizzo delle risorse femminili; il sottoinquadramento sul posto di lavoro che interessa oltre quattro milioni di persone e configura uno spreco di capitale umano inaccettabile; un miglioramento dell’efficienza energetica e ecologica che non procede ai ritmi necessari per assicurare la sostenibilità ambientale.
Le tendenze demografiche in atto imporranno alle prossime generazioni in età attiva, cioè ai giovani di oggi, un impegno straordinario e difficilissimo. Da essi dipenderà il nostro futuro. “Aiutare il Paese a preparare gli anni a venire è altrettanto importante quanto gestire le emergenze attuali: tra i due obiettivi non c’è alcuna contraddizione” ha aggiunto Giovannini. La sostenibilità economica, sociale e ambientale si costruisce oggi, facendo scelte di investimento e di impiego delle risorse disponibili coerenti con una visione a lungo termine del progresso della nostra società.
Il Presidente ha concluso sottolineando che “l’Italia ha dimostrato tante volte la capacità di rispondere a sfide difficili, soprattutto quando gli obiettivi sono stati resi chiari e sono divenuti condivisi. Questo è il compito che ci aspetta tutti, nessuno escluso”.

Gli effetti della crisi su individui e famiglie
• Nel 2009 si registrano circa quattro milioni di occupati in meno nell’Ue (-1,7 per cento in confronto al 2008). Quasi il 36 per cento di questo calo complessivo dipende dalla Spagna.
• La caduta dell’occupazione in Italia l’anno scorso è la prima dal 1995. Complessivamente gli occupati si riducono di 380 mila unità (-1,6 per cento), con cali sostenuti nel corso dell’intero 2009 e in peggioramento negli ultimi sei mesi.
• La riduzione maggiore è per gli uomini (-2 per cento), perché concentrati nell’industria, rispetto alle donne (-1,1 per cento); le donne che lavorano nell’industria in senso stretto, tuttavia, calano più del doppio degli uomini (-7,5 contro -3 per cento).
• Grazie al diffuso ricorso alla cassa integrazione guadagni (Cig), la contrazione degli occupati nella trasformazione industriale (-4,1 per cento, 206 mila unità) è relativamente meno accentuata che nell’Ue.
• La flessione dell’occupazione al Nord (-1,3 per cento, pari a 161 mila unità), intensificatasi a partire dall’estate, assorbe circa il 42 per cento della riduzione complessiva; l’occupazione nel Mezzogiorno, già in calo dal terzo trimestre del 2008, chiude il 2009 con un bilancio fortemente negativo (-3 per cento, pari a 194 mila unità); nel Centro, nonostante la riduzione in valore assoluto (25 mila unità), il calo è contenuto in termini relativi (-0,5 per cento).
• Il calo dell’occupazione interessa tutti i tipi di lavoro, da quello temporaneo (-8,6 per cento), a quello autonomo a tempo pieno (-2,2 per cento), a quello dipendente a tempo indeterminato
(-0,2 per cento).
• Le conseguenze più pesanti della crisi produttiva investono il lavoro atipico (dipendenti a termine e collaboratori), che si riduce di 240 mila unità, assorbendo il 63 per cento della flessione complessiva. Il lavoro standard (dipendenti permanenti a tempo pieno e autonomi a tempo pieno), invece, si riduce di 139 mila unità, mentre il lavoro parzialmente standard (dipendenti permanenti a tempo parziale e autonomi a tempo parziale), pur rimanendo sostanzialmente invariato, interrompe la crescita registrata negli anni precedenti.
• La riduzione del lavoro temporaneo colpisce maggiormente i soggetti più deboli, con incarichi marginali e di breve durata. I dipendenti a termine diminuiscono di 171 mila unità (-7,3 per cento) e i collaboratori di 70 mila unità (-14,9 per cento). Questi ultimi, costituiti da collaboratori con o senza progetto e prestatori d’opera occasionali, scendono complessivamente a 396 mila unità nel 2009.
• Su 100 occupati con contratto atipico nel primo trimestre 2008, a un anno di distanza 77 restano occupati, 8 perdono il posto di lavoro e 15 diventano inattivi.
• Anche gli autonomi a tempo pieno pagano le conseguenze della crisi, con una diminuzione di 107 mila unità (-2,2 per cento). Tra gli uomini, i cali più accentuati riguardano i piccoli imprenditori dell’industria (tipografi, marmisti, fabbri) e i gestori di pubblici esercizi; tra le donne, invece, la perdita del posto di lavoro colpisce soprattutto le coadiuvanti familiari occupate nel settore degli alberghi e ristorazione e nelle aziende agricole.
• I dipendenti a tempo pieno e indeterminato (il 57 per cento del totale degli occupati, circa 13 milioni di persone), in moderato aumento nella prima parte del 2009, registrano una significativa discesa nel secondo semestre, chiudendo l’anno con un saldo in flessione (-0,2 per cento, pari a 33 mila unità), a conferma della propagazione degli effetti negativi della crisi. La riduzione, prima localizzata tra le imprese fino a 15 addetti, si estende poi anche a quelle di dimensioni più grandi.
• Il lavoro parzialmente standard (dipendenti permanenti a tempo parziale e autonomi a tempo parziale), reagisce meglio alla crisi del mercato del lavoro, rimanendo sostanzialmente invariato rispetto al 2008. Il risultato è sintesi dell’aumento dei dipendenti part time a tempo indeterminato (1,7 per cento) - dovuto però soltanto al part time involontario delle donne nelle professioni non qualificate - e della riduzione degli autonomi a tempo parziale (-6,2 per cento).
• Nel 2009 il tasso di disoccupazione aumenta in tutti i principali paesi dell’Ue. Al contempo, si registra un progressivo annullamento delle differenze di genere nei livelli di disoccupazione, dovuto però non al miglioramento della condizione femminile ma al deterioramento di quella maschile. Per la prima volta, infatti, il tasso di disoccupazione maschile nell’Ue, pari al 9,0 per cento, supera quello femminile, pari all’8,8 per cento.
• Come nel 2008, il tasso di disoccupazione italiano è inferiore a quello dell’Ue (7,8 per cento contro 8,9 per cento), associandosi tuttavia a un tasso di inattività più alto e in crescita (37,6 per cento contro 28,9 per cento). Le differenze di genere continuano a essere elevate (uomini: 6,8 per cento; donne: 9,3 per cento).
• Per il secondo anno consecutivo aumentano i disoccupati (15 per cento, pari a 253 mila unità), che giungono a quasi due milioni e risultano ancora in crescita nei primi tre mesi del 2010.
• Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia (25,4 per cento) è più del triplo di quello totale (7,8 per cento) e più elevato di quello europeo (19,8 per cento).
• La crescita della disoccupazione riguarda soprattutto il Nord (37,0 per cento) e il Centro (18,9 per cento), mentre è limitata nel Mezzogiorno (1,4 per cento), sebbene circa metà delle persone in cerca di occupazione risieda proprio nelle regioni meridionali.
• Quasi il 90 per cento dell’aumento di disoccupati nel 2009 è dovuto a persone che hanno perso il posto di lavoro e gli ex occupati rappresentano nel complesso metà dell’intera platea dei disoccupati.
• Di fronte alle crescenti difficoltà di trovare un impiego, aumenta il senso di scoraggiamento negli individui, che rinunciano del tutto a cercare lavoro. In particolare, aumenta la percentuale dei disoccupati di lunga durata che transitano verso l’inattività (dal 37 al 44 per cento).
• Dopo la riduzione di 110 mila unità del 2008, nel 2009 gli inattivi aumentano di altre 329 mila unità, una crescita maggiore di quella registrata dai disoccupati. L’aumento deriva dalla flessione della “zona grigia” (-39 mila unità), rappresentata dagli inattivi che manifestano un certo grado di disponibilità al lavoro, e dall’incremento degli inattivi, in gran parte donne, che non cercano e non sono disponibili a lavorare (368 mila unità in più).
• Il tasso di occupazione degli italiani (56,9 per cento), ridottosi di oltre un punto percentuale rispetto al 2008, si confronta con la flessione più marcata degli stranieri che supera i due punti percentuali (dal 67,1 al 64,5 per cento). Per altro verso, il tasso di disoccupazione cresce per entrambi i gruppi: nel quarto trimestre 2009 quello degli italiani è dell’8,2 per cento, mentre per gli stranieri raggiunge il 12,6 per cento. Il primo, tuttavia, aumenta su base annua di poco più di un punto percentuale a fronte dei quasi quattro punti percentuali del tasso di disoccupazione degli stranieri.
• Si accentua il carattere duale del mercato del lavoro. Nel 2009, la diminuzione del numero degli occupati italiani (-527 mila unità) e il concomitante aumento degli stranieri (147 mila unità) si concentrano in differenti aree territoriali e riguardano figure lavorative distinte. Il calo degli occupati italiani interessa per il 40 per cento le regioni meridionali, mentre la crescita degli stranieri ha luogo nell’86 per cento dei casi nelle regioni centro-settentrionali. Il calo dell’occupazione italiana, inoltre, riguarda soprattutto le professioni qualificate e tecniche, mentre la crescita di quella straniera interessa in otto casi su dieci le professioni non qualificate.
• La nuova occupazione straniera si colloca in quei settori produttivi dove era già maggiormente presente, accentuando così il carattere duale del mercato del lavoro, con gli immigrati concentrati in lavori meno qualificati e a bassa specializzazione. In questo contesto si registra anche il fenomeno del sottoinquadramento, che interessa 3,8 milioni di occupati italiani (18,0 per cento del totale) e 791 mila occupati stranieri (41,7 per cento).
• Interrompendo la precedente tendenza favorevole, il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) scende nel 2009 al 46,4 per cento, il più basso in Europa a parte Malta. La dinamica negativa si innesta su situazioni di criticità strutturali del mercato del lavoro femminile italiano, aggravandole.
• Il Mezzogiorno, che già presentava bassi tassi di occupazione femminile, ha assorbito quasi metà del calo complessivo delle occupate (-105 mila donne).
• Le persistenti differenze che si riscontrano tra l’Italia e l’Ue possono essere spiegate anche dai differenti livelli del tasso di occupazione delle donne con basso titolo di studio: nel 2009 in Italia soltanto il 28,7 per cento delle donne con la licenza media ha un’occupazione, contro il 37,7 per cento dell’Ue.
• Solo le laureate riescono a raggiungere i livelli europei, escludendo però quelle giovani, che presentano difficoltà d’ingesso nel mercato del lavoro.
• Si accentuano le difficoltà per le donne in coppia con figli, elemento già critico della situazione italiana: considerando le 25-54enni e assumendo come base le donne senza figli, la distanza nei tassi di occupazione è di quattro punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli e di 22 punti per quelle di tre o più.
• Il peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro imprime una battuta d’arresto alla crescita femminile nelle professioni più qualificate e spinge verso una ripresa del fenomeno della segregazione professionale di genere, con un rafforzamento della presenza delle donne nelle professioni già relativamente più femminilizzate.
• La fase ciclica negativa ha un forte impatto sulla popolazione giovanile, determinando una significativa flessione degli occupati 18-29enni (300 mila in meno rispetto al 2008, il 79 per cento del calo complessivo dell’occupazione). Una parte significativa di questa caduta riguarda il lavoro atipico (-110 mila unità).
• Dopo il moderato calo tra il 2004 e il 2008 (dal 49,7 al 47,7 per cento), il tasso di occupazione dei 18-29enni scende in un solo anno al 44 per cento: una caduta tre volte superiore a quella del tasso di occupazione totale.
• Nessun titolo di studio sembra in grado di proteggere i giovani dall’impatto della crisi. La flessione dell’occupazione per chi ha un titolo non superiore alla licenza media è particolarmente critica (-11,4 per cento), ma rimane rilevante anche per i diplomati (-6,9 per cento) e per i laureati (-5,2 per cento).
• L’affievolirsi delle tensioni sui prezzi nel comparto alimentare e la marcata flessione delle quotazioni del petrolio inducono una fase di decelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto fino a luglio 2009. Successivamente emerge una tendenza al rialzo, seppure moderata.
• Per la prima volta dall’inizio degli anni Novanta, nel 2009 diminuisce il reddito disponibile in termini correnti delle famiglie consumatrici (-2,7 per cento). Considerando la sottostante variazione dei prezzi, il potere d’acquisto subisce una riduzione del 2,5 per cento, proseguendo la tendenza avviatasi nel 2008 (-0,9 per cento).
• La riduzione del reddito disponibile trae origine dalla contrazione del reddito primario, dovuta in modo consistente al decremento dello 0,7 per cento dei redditi da lavoro dipendente, che contribuiscono per oltre il 55 per cento al reddito primario delle famiglie. D’altra parte, crescono in misura significativa le risorse percepite dalle famiglie per cassa integrazione guadagni e assegni di integrazione salariale: oltre 3,5 miliardi di euro in più rispetto al 2008.
• Le ripercussioni sociali della crisi occupazionale variano in base alla posizione in famiglia di chi ha perso il lavoro. I figli che vivono nella famiglia di origine, spesso impegnati in lavori temporanei e con bassi profili professionali all’inizio della loro carriera lavorativa, rappresentano il gruppo più colpito dal calo dell’occupazione (-332 mila unità).
• Il tasso di occupazione dei figli 15-34enni, pari al 36,1 per cento, cala di oltre tre punti percentuali rispetto al 2008; per i genitori, che hanno potuto contare sulla cassa integrazione in misura maggiore, la flessione è meno acuta, non arrivando al punto percentuale (dal 65,4 al 64,8 per cento).
• La minore entità dei guadagni dei figli rispetto a quelli dei genitori ha determinato una riduzione del reddito familiare relativamente più contenuta. D’altra parte, la perdita di occupazione dei figli è stata più frequente nelle famiglie con almeno due percettori di reddito.
• Alla diminuzione del reddito familiare si accompagnano spesso situazioni di disagio economico che possono essere misurate tramite specifici indicatori di deprivazione. Secondo i dati provvisori dell’indagine Eu-Silc, nel 2009 il 15,3 per cento delle famiglie presenta tre o più categorie di deprivazione. Tale valore è marcatamente più elevato tra le famiglie con cinque o più componenti (25,5 per cento), tra quelle residenti nel Mezzogiorno (25,3 per cento), quelle con tre o più minori (29,4 per cento) e quelle che vivono in affitto (31,4 per cento).
• La perdita del lavoro e il passaggio alla cassa integrazione hanno solo in parte contribuito all’entrata delle famiglie in situazioni di deprivazione; in realtà, infatti, il 60 per cento del totale delle famiglie che nel 2009 risultavano deprivate lo era già nel 2008. Inoltre, in molti casi, la presenza in famiglia di altri percettori di reddito ha garantito la permanenza nello stato di non deprivazione. A parità di altre condizioni, il passaggio dall’occupazione alla cassa integrazione non ha avuto effetto sull’entrata in deprivazione.
• Ciò contribuisce a spiegare perché l’indicatore di deprivazione, pari al 15,3 per cento, sia rimasto stabile rispetto al 2008.
• Tra il 2008 e il 2009 crescono le famiglie indifese nel far fronte a spese impreviste (dal 32 al 33,4 per cento in media), quelle in arretrato col pagamento di debiti diversi dal mutuo (dal 10,5 al 13,6 per cento di quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate (dal 14,8 al 16,4 per cento).
 
 
 
AVVERTENZE. Quotidiano dell'Aduc registrato al Tribunale di Firenze n. 5761/10.
Direttore Domenico Murrone
 
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