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ABORTO NEGATO
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Comunicato 
21 febbraio 2002 0:00
 


MA CHI GARANTISCE IL DIRITTO ALLA SALUTE QUANDO LA LEGGE ITALIANA LO LIMITA, MENTRE IN ALTRI PAESI DELL'UE SAREBBE POSSIBILE APPLICARLO?
L'ADUC INTERPELLA IL MINISTRO DELLA SALUTE: OCCORRE CHE OGNI PRESIDIO SANITARIO DIA INFORMAZIONI IN MERITO

Firenze, 21 febbraio 2002. Il fatto e' di cronaca: una giovane donna della provincia di Frosinone, a cui i medici avevano negato l'aborto perche' era incinta gia' da quattro mesi, ha ucciso il feto dandosi dei colpi sul ventre. A quel punto i medici l'hanno fatta abortire, ed ora la donna e' tornata a casa.
Ci siamo domandati se non ci fosse un diritto violato -dice il presidente dell'Aduc, Vincenzo Donvito- cioe' quello alla salute. Questa donna avrebbe potuto abortire in Gran Bretagna, dove la legge nazionale consente l'interruzione anche oltre i tre mesi previsti dalla legge italiana. Un Paese in cui puo' andare e muoversi cosi' come fa in Italia, usufruendo degli stessi diritti dei cittadini britannici. E dove, in virtu' di una sentenza del Tribunale Europeo della Giustizia avrebbe potuto farsi curare con gli stessi diritti del suo Paese d'origine, senza chiedere alcuna autorizzazione preventiva.
L'Europa della Salute, sulla cui realizzazione stanno gia' lavorando i ministeri nazionali della Sanita', significa anche questo? Per noi, si', perche', vigente il principio di sussidiarieta' (a maggior ragione nell'Europa comunitaria), dove se una norma non soddisfa il diritto di un singolo, ecco che la norma che invece lo soddisfa puo' essere utilizzata (anche in presenza di leggi nazionali diverse, perche' il diritto in se' ha un valore superiore rispetto alle norme che lo rendono possibile; a maggior ragione se norme che ne ampliano l'esercizio siano gia' presenti su un territorio ritenuto comune). Facciamo un esempio: se una donna si rivolge ad un ospedale per una interruzione di gravidanza e questo non e' attrezzato alla bisogna, il personale dell'ospedale ha il dovere di indirizzarla li' dove invece l'intervento puo' essere praticato, altrimenti si potrebbe considerare, per chi non desse questa informazione, una omissione di soccorso e di aver impedito l'esercizio del diritto alla salute. Cosa osta perche' questa informazione non sia data anche per l'esercizio di questo diritto in un Paese partner dell'Ue che, fino a prova contraria, non e' considerato territorio straniero, ma comunitario? Non e' forse proprio la Gran Bretagna che in queste settimane sta inviando gli assistiti del suo Sistema Sanitario in strutture ospedaliere di altri Paesi comunitari, perche' non riesce, vista la lungaggine delle sue liste d'attesa, a soddisfare completamente il diritto alla salute dei suoi assistiti? Quindi, come la Gran Bretagna, perche' l'Italia non dovrebbe fare altrettanto, quantomeno informando sulla possibilita' di avvalersi di un simile servizio?
A questo fatto ci potrebbe -forse- essere un ostacolo se questo diritto alla salute si scontrasse con qualche altro diritto (per esempio -se ci fosse- dello zigote), ma cosi' non e': c'e' solo un medesimo diritto che si puo' esercitare in modo diverso, perche' la specifica comunita' nazionale ha voluto cosi' per quel territorio. Per cui il cittadino (che ha anche un passaporto con su scritto, prima di "Repubblica Italiana", "Comunita' Europea") va ad esercitare il suo diritto dove non osta con le specifiche regole di quel posto. E con il dovere delle autorita' di qualunque luogo della Comunita', di informarlo di questa possibilita'.
O forse qualcuno considera l'Europa della Salute solo come quella in cui tutti pagheranno identiche percentuali di tasse, e non anche un luogo in cui e' possibile un sussidiario uso delle leggi?
Per queste ragioni abbiamo inviato questa nota al ministero della Salute, poiche' provveda a far si' che in ogni presidio sanitario sia messo in opera questo dovere all'informazione.
 
 
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