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LATTE FRESCO E RENDITE DI POSIZIONE
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Comunicato 
19 gennaio 2002 0:00
 


UNA LEGGE PER SCONFIGGERE IL PROTEZIONISMO DEI LUDDISTI DEL 2002

Firenze, 19 Gennaio 2002. Il cosiddetto mondo del latte (Unalatte, Frescolatte, produttori e allevatori vari in cooperativa o meno) e' in fermento, perche' non riesce a digerire la sentenza del Consiglio di Stato che ha dato loro torto rispetto al divieto di commercializzazione di latte fresco prodotto al di fuori dell'Italia (perche' la direttiva europea in materia non e' stata ancora recepita), che riesce ad esser tale per dieci giorni, rispetto ai cinque stabiliti dall'attuale legge nazionale.
Per avvalorare queste loro preoccupazioni -dice il presidente dell'Aduc, Vincenzo Donvito- abbiamo anche letto che questa sarebbe una grande operazione dei giganti del settore per schiacciare le piccole e medie aziende, nonche' gli allevatori, e ovviamente a danno dei consumatori.
E' la storia che si rinnova. Qualcuno ricorda i luddisti della meta' del 1800, quando, con l'avvento delle macchine nell'industria, in difesa della loro occupazione non trovavano di meglio che distruggere quelle stesse macchine che in parte sostituivano gli esseri umani, sostenendo che la qualita' di quel lavoro ne avrebbe risentito per i destinatari dei loro prodotti (non si chiamavano ancora, all'epoca, consumatori …). La storia, per fortuna di tutti, gli ha dato torto, e la nostra vita e' migliorata proprio grazie al contrario di cio' che i luddisti auspicavano in difesa di qualita' e lavoro.
Se portiamo nel 2002 questo fatto storico, lo ritroviamo molto praticato, con anche un nome da economia politica: protezionismo. Al posto della distruzione delle macchine, venendo nello specifico al nostro "mondo del latte", si usa la carta bollata con cui rivolgersi a Tar e Consigli di Stato, sempre con lo scopo di impedire l'affermarsi di chi cerca di innovare, raccontando la storiella che solo loro difendono l'occupazione e il consumo.
E' quello che fanno anche i sindacati con i cosiddetti esuberi delle Fs, mantenendoli tali in forma occupata, e dando di fatto il loro contributo alla mancanza di espansione tecnologica dell'azienda, che poi si riflette su chi usa un sistema di trasporti che definire obsoleto e' solo per essere gentili.
Tornando al nostro latte, saremmo curiosi di sentire perche' il latte fresco che dura 10 giorni sarebbe un danno per i consumatori, perche', a nostro avviso, invece, ci sembra un vantaggio rispetto al tempo e agli spostamenti che si usano per l'acquisto, oltreche' un maggiore stimolo al consumo (perche' "non va a male subito") per i "bassi consumatori" di questo prodotto, che non sono pochi; e su cui i consumatori sarebbero pure disposti a spendere quel giusto in piu' che merita. Ci rendiamo conto che i difensori dei "cinque giorni" non ragionano in termini di consumi e mercato, e di relative dinamiche che se ben innescate farebbero la fortuna delle aziende capaci e la soddisfazione dei consumatori. Per loro e' importante solo difendere la nicchia (con un occhiolino anche al "latte di Stato"), senza spendere soldi in ricerca e tecnologia per offrire prodotti piu' appetibili ai tempi e ai ritmi del mondo in cui viviamo, e con il costante ricatto della difesa dei livelli occupazionali: una concezione in cui e' il consumatore che deve correre dietro le loro offerte e non viceversa.
A questo punto e' urgente che intervenga il legislatore, perche' non possiamo continuare ad andare avanti solo con la giurisprudenza. Occorre legiferare perche' chiunque in Italia possa produrre latte fresco che dura dieci giorni. Grazie a questa legge non saremmo piu' costretti a sentire, e a pagare, la litania dei luddisti del 2002. Che, ce lo auguriamo, comincerebbero non solo ad accumulare guadagni con capitali che poi immobilizzano, ma li investirebbero per essere sul mercato e offrire, in concorrenza, cio' che ai consumatori e' piu' gradito. E a guadagnare anche di piu'.
 
 
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