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Differire la pena per disumanità del carcere: la coraggiosa ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Venezia
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Osservatorio legale di Claudia Moretti
11 aprile 2013 10:31
 
 Con ordinanza del 18 febbraio scorso, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha accolto il ricorso di un detenuto che ha chiesto il differimento della propria pena detentiva, pur non avendone i requisiti di legge ai sensi dell'art. 147 c.p.. O meglio, ha accolto le sue ragioni, in contrasto con il dettato normativo, sollevando il dubbio di legittimità costituzionale e di rispetto dei principi – costituzionali, comunitari e internazionali - di non disumanità della pena.
Il caso è quello di un condannato a scontare una pena di oltre due anni che, non avendo i requisiti per ottenere altri e diversi benefici penitenziari (quali i permessi premio, detenzione domiciliare o l'affidamento in prova), ha invocato l'applicazione dell'unico istituto di legge del sistema penitenziario applicabile astrattamente per ciascun tipo di condannato, ossia il differimento della pena detentiva.
Lamenta, infatti, il condannato di non aver disposto né di disporre, dal giorno della carcerazione e in prospettiva futura, dello “spazio vitale” minimo per poter rientrare nei parametri previsti dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo-Cedu (individuati nella recente sentenza contro l'Italia ove il nostro Stato è dichiarato colpevole di tortura e trattamento disumano e degradante), ossia 3 metri quadrati di superficie calpestabile. Nell'ordinanza si chiarisce come, in ragione della presenza di armadietti e di letti e servizi igenici non può esser considerata l'intera superficie perimetrale della cella. Lamenta il condannato, ad esempio, di aver vissuto i primi tempi di carcerazione in 9-11 detenuti in circa 20 metri quadrati.
Il differimento pena, tuttavia, si applica solo ai casi di grave infermità fisica, di madre con prole inferiore a tre anni, malattia dell'AIDS, di stato di gravidanza e puerperio, e nei casi di richiesta di grazia. Non è invece previsto, per l'ipotesi richiesta da parte del condannato, ossia il trattamento disumano e degradante in un carcere sovraffollato.
A parere del Tribunale, il trattamento subito in cella sovraffollata, che ormai non può che chiamarsi tortura, non è ammesso nel nostro ordinamento per effetto di norme:
- art. 27 comma 3 della Costituzione, ed in particolare con il principio che il condannato non sia chiamato a scontare una pena più grave di quella alla quale è stato condannato;
- art. 117 comma 1 della Costituzione , laddove viene recepito l'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (divieto di trattamenti disumani e degradanti), così come recentemente interpretato dalla Cedu in merito alla soglia di vivibilità della persona detenuta; tale disposizione internazionali trova la sua piena applicabilità diretta nel nostro ordinamento grazie all'adesione dell'Unione Europea alla Cedu e per gli effetti del Trattato di Lisbona (art. 6 comma 1 TUE).
Il nostro sistema penitenziario non consente ad oggi altro strumento, se non quello fornito dalla norma sul differimento della pena, per ovviare in concreto ai trattamenti disumani dovuti al sovraffollamento delle nostre carceri. Infatti, esistono solo rimedi risarcitori ma non anche preventivi, questi ultimi dichiarati necessari dalla Cedu per poter “assolvere” lo Stato membro dalla violazione flagrante dell'art. 3 della Convenzione.
Si tratta a parere nostro di un atto coraggioso e dovuto da parte di ogni Tribunale di Sorveglianza che dovesse d'ora innanzi trovarsi di fronte a situazioni simili a quelli del caso in esame. Il legislatore in grave ritardo, ancora una volta, lascia alla magistratura il compito di occuparsi di una clamorosa tragedia che si compie da tempo in Italia, nel troppo silenzio dei media.
Dunque, ci auguriamo che si replichi in ogni sede la medesima scelta di diritto prima che di umanità, fino a costringere di fatto il Parlamento a provvedere. La situazione che si verrebbe a creare non è esente da rischi e da conseguenze anche negative. Di certo, però, si tratterebbe di una minor ferita alla legalità rispetto a quel che si nasconde oggi dietro alle sbarre. Attendiamo adesso la decisione della Corte Costituzionale.

 
 
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