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Controversie Tlc. Niente mediazione prima del decreto ingiuntivo. Cassazione
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Articolo di Valentina A. Papanice
14 maggio 2020 12:09
 
 La Cassazione a Sezioni Unite lo conferma: nelle controversie telefoniche non è obbligatorio il tentativo di conciliazione prima del decreto ingiuntivo (d’ora in avanti d.i.).
Si tratta della sentenza n. 8240 depositata il 28 aprile 2020 (cui, sempre per le controversie telefoniche, è seguita la sentenza n. 8241, questa a proposito della qualificazione del tentativo di conciliazione come condizione di improcedibilità e non di improponibilità della domanda).
Dunque, no, il tentativo di conciliazione quando si agisce in via monitoria non è necessario in via preventiva.
Vediamo sinteticamente i passaggi logico-giuridici seguiti dalla Corte per giungere a detta conclusione.

Controversie telefoniche e decreto ingiuntivo, non è obbligatorio il (previo) tentativo di mediazione
La Corte prosegue sul solco segnato dalla sentenza n. 25611/2016 della Terza Sezione, qui oggetto di critiche dell’ordinanza interlocutoria.
Per il giudice di secondo grado, la necessità del previo esperimento del tentativo di conciliazione era da ravvisarsi nel tenore letterale delle norme (il ricorso giurisdizionale che per le norme non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione sarebbe anche il ricorso per d.i.); sempre secondo il giudice dell’appello, sotto il profilo sistematico, e richiamando la necessità di una lettura costituzionalmente orientata delle norme, la necessità di esperire il preventivo tentativo di conciliazione prima di richiedere il provvedimento monitorio risponde al principio di uguaglianza. Diversamente, la scelta tra una forma di tutela e l'altra sarebbe lasciata al titolare del credito che agisce in via monitoria. La Corte sottolinea le similitudini che hanno i due procedimenti, quello per decreto ingiuntivo e quello ordinario, introdotto dal normale atto di citazione: si agisce per lo stesso credito, si ottiene un provvedimento destinato a passare in cosa giudicata, e l'opposizione al decreto ingiuntivo dà inizio ad un “normale” giudizio di cognizione (dove oggetto di accertamento è il diritto azionato in via monitoria).

La citata sentenza n. 25611/2016 aveva enunciato il principio per cui: “In tema di controversie tra gli organismi di telecomunicazioni e gli utenti, il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, non è condizione di procedibilità anche del ricorso per decreto ingiuntivo, attivando quest'ultimo un procedimento “inaudita altera parte”, rispetto al quale la sperimentazione della possibilità di comporre bonariamente la vertenza non appare praticabile, proprio per l'assenza del contraddittorio tra le parti”.

Secondo l’ordinanza con cui la Sezione semplice segnala la questione, le criticità del precedente n. 25611/2016 sono, riportiamo brevemente: le espressioni utilizzate dalle norme (“controversie”, “ricorso in sede giurisdizionale” e “agire in giudizio”) sembrano ipotesi riferite anche al ricorso per d.i.; è vero che scopo del d.i. è quello di garantire celerità e che il contraddittorio è rinviato ad una fase successiva ed eventuale, ma escludere la mediazione vuol dire andare contro la ratio della norma di cui alla L. n. 249/1997 (che è quella di deflazionare il contenzioso); il tempo previsto per lo svolgimento del procedimento, di trenta giorni, non produce una dilazione della tutela giurisdizionale; d’altronde, non è infrequente che la mediazione porti ad un accordo che evita il giudizio, mentre un’ingiunzione di pagamento di una somma modesta di debito scoraggerebbe l’opposizione, dati i costi del processo (anche in caso di importi eventualmente non dovuti); la teoria che estende alle controversie in materia di telecomunicazioni l’esclusione dell’obbligo della mediazione in caso di decreto ingiuntivo (previsto dalla normativa di carattere generale di cui al D.Lgs. n.28/20120) non sembra tenga conto della specialità della normativa relative alle telecomunicazioni; la non incidenza del dato statistico su quella che è riconosciuta come asimmetria difensiva non appare in linea con la generale esigenza di tutela del contraente debole; la Corte di Giustizia (sentenza del 18/3/2010 Alassini), che elenca le condizioni che devono sussistere affinché sia obbligatorio il tentativo di conciliazione, sembra doversi interpretare nel senso che il detto tentativo sia da considerarsi obbligatorio anche in caso di un giudizio monitorio nelle controversie in materia di telecomunicazione, restando così ridotta (in guisa di eccezione a tale regola) la possibilità di non esperirlo ai soli casi in cui sia necessario disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali e d’urgenza (l’ordinaria procedura per decreto ingiuntivo, è normalmente priva dei detti caratteri); la delibera - AGCOM 173/07/CONS, art. 2, co. 2 - prevede l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo per tutte le controversie in materia di telecomunicazione (con esclusione di quelle nelle quali “l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni effettuate”) mentre la esclude nella fase di opposizione, ed appare dubbio che il giudice ordinario possa disapplicare detta disposizione (non emergendo alcun contrasto tra la stessa e la legge delega, ed, anzi, avendo il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1961/2013 esplicitamente ravvisato il fondamento legale della Delib. AGCOM nel disposto della normativa primaria di cui all'art. 1, co. 11 e art. 84 del codice delle telecomunicazioni); il codice delle telecomunicazioni (D.Lgs. n. 259/2003) contiene la delega all'AGCOM della disciplina degli strumenti di definizione del contenzioso alternativi agli strumenti giurisdizionali.

Il quadro normativo
Per rispondere al quesito la Corte parte dal quadro normativo alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e che tenga conto delle affermazioni della Corte di Giustizia.
Innanzitutto la normativa di carattere generale sulla mediazione, quella contenuta nel D. Lgs. n. 28/2010, che dopo avere previsto l’obbligatorietà del tentativo di mediazione (per le materie ivi diciate), la esclude ove la parte agisca (tra l’altro) mediante decreto ingiuntivo, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione.

Ricordiamo che il d.i. è uno dei rimedi più semplici e spediti offerti dal processo civile, perché, per quel che qui interessa, consente al creditore (o meglio chi si ritiene tale) di ottenere un ordine di pagamento di una somma (liquida) sulla base di una prova scritta del credito; ordine che, se non annullato diviene poi titolo esecutivo e dunque consente di fare valere in via esecutiva il credito. Un classico esempio di prova scritta del credito può essere una fattura non pagata. Il tutto avviene senza trattazione della questione e senza contraddittorio, ma l’altra parte può, una volta ricevuto l’atto, proporre opposizione e difendersi pienamente.

Quindi, per scelta normativa, nella generalità dei procedimenti per i quali è stata introdotta la mediazione preventiva obbligatoria, è esclusa la necessità di procedere preventivamente alla mediazione per poter richiedere un decreto ingiuntivo.
Le controversie telefoniche però hanno una disciplina speciale (fatta salva dallo stesso D.Lgs. n. 28/2010, il quale però, sottolinea la Corte, costituisce un riferimento interpretativo di tutto rilievo).

Nel settore delle telecomunicazioni vi è infatti una autonoma regolamentazione, contenuta nella L. n. 249/1997 che all'art. 1, co. 11, che prevede che l'AGCOM disciplini con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie fra utenti o categorie di utenti ed operatori, oppure tra questi. Per dette controversie, che sono individuate dall'Autorità, il ricorso in sede giurisdizionale non è esperibile senza che sia avviato il tentativo obbligatorio di conciliazione, in tali casi, i termini per agire in via giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.

In forza della detta delega, l'Autorità, con Delib. n. 182 del 2002, ha adottato un primo Regolamento che:
- all'art. 3, co.1, dispone che: “Gli utenti o associati, ovvero gli organismi, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell'Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio”;
- all'art. 4, co. 1, dispone che: “La proposizione del tentativo di conciliazione, ai sensi della L. 31 luglio 1997, n. 249, art. 1, comma 11, sospende i termini per agire in sede giurisdizionale, che riprendono a decorrere dalla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione”;
- all'art. 4, co.2, dispone che: “Il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell'istanza”.
Una Delib. Successiva, la n. 173/07/CONS, ha poi adottato un nuovo Regolamento sostitutivo di quello previsto dalla Delib. AGCOM 182/02/CONS, con il quale, per quanto qui rileva, ha previsto:
- nell'art. 2, co. 1, che: “Ai sensi dell'art. 1, commi 11 e 12, della legge, sono rimesse alla competenza dell'Autorità le controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite 7 dalle norme legislative, dalle delibere dell'Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi”;
- nell'art. 2, co. 2, che: “Sono escluse dall'applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l'utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 3, per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli artt. 645 c.p.c. e segg.”;
- nell'art. 3, co. 1, che “Per le controversie di cui all'art. 2, comma 1, il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'art. 13”. Un successivo regolamento è stato approvato con Delib. n. 203 del 2018.

Alla controversia è applicabile, secondo il criterio temporale, il secondo regolamento (n. 173/07/CONS).
Il dato testuale fornito dalla normativa, l’art. 3, co.1, pur non essendo univoco, conduce verso l'esclusione della obbligatorietà del tentativo di conciliazione per poter accedere al procedimento monitorio: sia la legge istitutiva (L. n. 249 cit.) che il regolamento utilizzano una terminologia di solito associata all'atto introduttivo di un giudizio ordinario, a contraddittorio immediato.

Un dato letterale contrastante con l'obbligatorietà del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione in riferimento al procedimento monitorio può invece rinvenirsi nella previsione contenuta nella Delib. AGCOM 173/07/Cons, art. 2, co. 2 (secondo la dottrina, di non agevole e univoca interpretazione) che, modificando il precedente regolamento del 2002, nei casi in cui l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni effettuate prevede nella parte finale che “in ogni caso” l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 3, per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizioni a norma degli artt. 645 c.p.c. e segg.”.
Il dato normativo certo non aiuta, diciamo così: infatti non vi è una norma espressa.

La giurisprudenza costituzionale
La Corte passa poi all’analisi della giurisprudenza costituzionale. La Corte Costituzionale, si osserva, in più circostanze ha evidenziato l'incompatibilità strutturale del preventivo tentativo di conciliazione con il provvedimento monitorio.
La Corte ha in primo luogo più volte chiarito, in via generale ed anche a proposito del tentativo di conciliazione previsto in materia di telecomunicazioni (con la sentenza n. 403/2007) che risponde ad un’interpretazione costituzionalmente orientata ricostruire in senso non estensivo le disposizioni che introducono condizioni di procedibilità.

In particolare riferimento al rapporto tra tentativo di conciliazione e procedimento monitorio, la Corte, già nella sentenza n. 276/00 (in riferimento all’allora obbligatorio tentativo di conciliazione in materia di lavoro previsto dall'art. 412 bis c.p.c.) ha individuato nella mancanza di contraddittorio tra le parti l'elemento di incompatibilità strutturale tra il procedimento di conciliazione (che presuppone il contraddittorio) ed il provvedimento monitorio (che non prevede contraddittorio nella fase sommaria).

Sempre la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 163/2004, richiamando la sua precedente decisione n. 276 del 2000, ha escluso la necessità nella fase monitoria del previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L. n. 192 del 1998, art. 10, co. 1, con riferimento alle controversie relative ai contratti di subfornitura previsti da quella legge, evidenziando che la tutela particolarmente intensa fornita al subfornitore consentendogli di procedere per ingiunzione verrebbe vanificata dal previo esperimento del tentativo di conciliazione.

La giurisprudenza sovranazionale
Passando alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, si rileva che la sentenza del 18/03/2010 (emessa nei procedimenti riuniti C-317/08, C-318/08, C319/08 e C-320/08, in causa Alassini contro Telecom Italia s.p.a. ed altri) proprio sul tema del principio della tutela giurisdizionale effettiva rispetto ad una normativa nazionale (quella italiana) che prevede un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione di procedibilità dei ricorsi giurisdizionali in talune controversie tra operatori e utilizzatori finali (rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale), pur ritenendo complessivamente la normativa italiana compatibile con le direttive comunitarie, ha lanciato un monito, “a non circoscrivere l'accesso al giudizio al di là di limiti accettabili”.

Queste le condizioni indicate dalla Corte di Giustizia:
“a) che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti;
b) che non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale;
c) che sospenda la prescrizione dei diritti in questione;
d) che non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti;
e) che la via elettronica non costituisca l'unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione;
f) che sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone” (SS. UU. n. 8240/2020).
Tali affermazioni sono state poi riprese nella sentenza della Corte di Giustizia del 14 giugno 2017 (in causa C-75/16 Menini) a proposito del tentativo di mediazione obbligatorio, di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, applicabile alle controversie Business to Consumer).

La decisione della sentenza SS.UU. n. 8240/2020
Date le premesse, i Giudici in primis affermano la validità del precedente di Legittimità del 2016 secondo cui “in materia di telecomunicazioni il tentativo obbligatorio di conciliazione non sia espressamente richiesto (a pena di improcedibilità) prima dell'emissione del decreto ingiuntivo e non sia in assoluto compatibile con la struttura e la finalità del procedimento monitorio in quanto esso presuppone un giudizio che si svolga nel contraddittorio attuale tra le parti” (SS. UU. n. 8240/2020).

Il decreto ingiuntivo e la procedura di mediazione obbligatoria (ove richiesta) rispondono entrambi, sebbene siano strumenti del tutto diversi, all'esigenza di dare una celere ed efficace risposta di giustizia, che, nel decreto ingiuntivo, “si traduce nell'adozione di un provvedimento adottato inaudita altera parte, a contraddittorio differito, in favore del creditore munito di prova scritta” (SS. UU. n. 8240/2020).
Invece la mediazione o il tentativo di conciliazione obbligatori “uniscono alla finalità deflattiva una funzione di prevenzione del conflitto, di pacificazione sociale e una efficace attitudine alla soddisfazione e alla salvaguardia degli interessi di entrambe le parti attraverso il dialogo anticipato che si apre, partendo dall'oggetto della contesa ma eventualmente allargando l'ampiezza del confronto ed evitando che essa sfoci in un giudizio, sotto il controllo e la guida del mediatore” e, dunque, “l'apertura di questa fase di dialogo anticipato non è strutturalmente compatibile, come più volte segnalato dalla Corte costituzionale, con i procedimenti che invece non prevedano o non prevedono in quella fase, il contraddittorio” (SS. UU. n. 8240/2020).

Pertanto, da un punto di vista prima di tutto strutturale, le due procedure sono incompatibili.
Inoltre, anche sotto il profilo finalistico, il procedimento di conciliazione e quello monitorio non appaiono compatibili: l'esigenza di concedere un agile strumento a tutela del credito prevale rispetto all'esigenza di trovare una soluzione alternativa alla controversia, che non è soppressa, ma si sposta in avanti.
L'ordinanza della sezione semplice rileva poi anche la peculiarità delle esigenze di tutela sottese alla materia delle telecomunicazioni, dove la parte debole potrebbe essere dissuasa, per via dei costi, dall'intraprendere la via dell'opposizione ove il decreto ingiuntivo non fosse preceduto dal tentativo di conciliazione.

Sul punto la Corte osserva che le telecomunicazioni rientrano nei servizi di pubblica utilità, aventi un interesse economico generale, e come tali sono prese in considerazione nelle direttive Europee, per cui occorre essere cauti nel creare per esse regole speciali in via interpretativa, che le differenzino dagli altri servizi di pubblica utilità (quali gas o energia).
Rileva poi la Corte che la disciplina istitutiva dell'Agcom e i successivi regolamenti attuativi non sono diretti in primis a fornire tutela non al consumatore, ma al regolare svolgimento del servizio di telecomunicazioni, e a tutela della regolare fruizione del servizio, che deve svolgersi a costi non proibitivi e raggiungere tutto il territorio nazionale, dell’utente finale, categoria nella quale possono rientrare sia consumatori che imprenditori o persone giuridiche. Dunque l'esigenza di tutela del consumatore come parte debole del contratto non ha carattere generale in materia di telecomunicazioni e non può condizionare l’interpretazione delle norme in parola.

Quanto alla esigenza di apprestare una idonea tutela alla parte debole, ovvero il consumatore, la Corte Costituzionale ha già chiarito, a proposito di altro tipo di rapporti in cui una delle due parti è per definizione la parte debole (lavoro subordinato, subfornitura), che è legittimo prevedere la mediazione solo dopo la fase monitoria, per via della struttura del procedimento e senza che con questo si violi il principio di uguaglianza sostanziale.

Dunque, l'adozione di uno strumento di composizione stragiudiziale nasce essenzialmente, in questo campo, dall'esigenza di garantire la fruizione di un servizio essenziale consentendo di risolvere velocemente i vari tipi di disservizi con un veloce recupero di funzionalità, e non le controversie dove l’inadempimento non è collegato con la non corretta erogazione del servizio.

Non necessariamente, aggiunge infine la Corte, chi richiede il decreto ingiuntivo è il somministrante, potendo essere anche il somministrato ad in giudizio per avere la restituzione di un’eccedenza. Dunque, l’esclusione del tentativo di conciliazione per la proposizione del ricorso per d.i. non si traduce necessariamente in un danno del contraente debole, dando luogo ad una significativa asimmetria difensiva, dal momento che il procedimento monitorio è consentito ad entrambe le parti, e non può ragionarsi diversamente solo i ragione di un dato quantitativo (che è quello del maggior numero di procedure monitorie attivate dal gestore del servizio di telefonia rispetto a quelle instaurate dall'utente).
Inoltre la normativa e la giurisprudenza Europea da un lato ha promosso la mediazione e tutte le altre forme di ADR prevedendole come facoltative, dall’altra ha più volte affermato la legittimità della normativa statale che le abbia imposte (come nel caso dell'Italia) come obbligatorie, purché adottate in modo tale da non rivelarsi meccanismi defatiganti, come sarebbe, “precludendo di fatto in questo campo il ricorso al più agile strumento monitorio, l'imposizione anticipata di un tentativo obbligatorio di conciliazione” (SS. UU. n. 8240/2020).
In questo quadro non consente una diversa conclusione il dato letterale e cioè la presenza nella norma dei termini “ricorso giurisdizionale”, “controversia” e “agire in giudizio” per concludere che esprimerebbero una realtà processuale atta a ricomprendere anche il ricorso per d.i.: “ detto criterio non tiene conto della incompatibilità strutturale tra ricorso per ingiunzione e tentativo di conciliazione, e neppure delle finalità proprie di quest'ultimo” (SS. UU. n. 8240/2020).

La collocazione del tentativo obbligatorio di conciliazione
D’altro canto, aggiunge la Corte, l’esclusione della conciliazione nella fase della richiesta e dell’emissione del d.i. non ne comporta l’esclusione nella fase della cognizione piena a cui dà origine (eventualmente) l’opposizione dell’ingiunto.
È questa la fase, si osserva, ove viene effettivamente proposto un ricorso giurisdizionale e diviene quindi operativo l'obbligo fissato dalla L. n. 249/1997, art. 1, co. 11, di esperire il tentativo di conciliazione, e quindi nel rispetto dei limiti fissati dall'art. 2, co.2 del regolamento adottato con Delib. n. 173/07/CONS AGCOM (“Sono escluse dall'applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l'utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli artt. 645 c.p.c. e segg.”).

Quanto ai tempi e alle modalità di esperimento del tentativo di conciliazione, stante la stessa ratio, può farsi riferimento al D.Lgs. n. 28/2010 e quindi dovrà esperirsi dopo la pronuncia sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del d.i., ex artt. 648 e 649 c.p.c.. Inoltre, il suo mancato esperimento potrà essere rilevato su eccezione della parte convenuta o d'ufficio dal giudice, secondo le regole fissate dal D.Lgs. n. 28/ 2010, art. 5, entro l'udienza di trattazione della causa (non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado, v. Cass. n. 29017/2018, n. 9557/2017; n. 2703/2017, citate dalla Corte).

In conclusione la Corte enuncia il seguente principio di diritto: “In tema di controversie tra le società erogatrici dei servizi di telecomunicazioni e gli utenti, non è soggetto all'obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione, previsto dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, chi intenda richiedere un provvedimento monitorio, essendo il preventivo tentativo di conciliazione strutturalmente incompatibile con i procedimenti privi di contraddittorio o a contraddittorio differito”.
 
 
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