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Immigrazione. Cittadinanza e ius soli: gli stranieri nati e vissuti in Italia ne hanno diritto anche in assenza di iscrizione anagrafica
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Articolo di Emmanuela Bertucci
19 giugno 2013 17:10
 
Una recente sentenza del Tribunale di Lecce (Sez. II sentenza del 11 marzo 2013 (433/2012 R.G)) ha ampliato l'attuale dibattito sullo ius soli, il diritto di cittadinanza per nascita. Attualmente in Italia lo ius soli esiste solo in casi limitati: figli di ignoti o di apolidi, figli di genitori che per la propria legge nazionale non possono trasmettere la propria cittadinanza e stranieri nati e cresciuti sul territorio italiano. Quest'ultima categoria – la piu' “affine” alle proposte di legge oggi in Parlamento, e' prevista all'art. 4, comma 2 della legge 91 del 1992 in materia di cittadinanza, secondo il quale lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro il diciannovesimo anno di eta'.

Il requisito della residenza legale e' stato poi ulteriormente specificato dal regolamento di attuazione della legge, art. 2 d.p.r. 572/93, che considera “legalmente residente” in Italia lo straniero in regola con le condizioni in materia di ingresso e soggiorno e regolarmente iscritto all'anagrafe.

Si tratta di una norma poco conosciuta per mancanza di sufficiente informazione e poco utilizzata, anche per l'approccio particolarmente restrittivo delle amministrazioni nell'applicarla, complici alcune circolari ministeriali che, seppur formalmente concepite con l'intento di “allargare” il raggio d'azione della norma, lo hanno in realta' ristretto (circolare K69/89 del 1997, K60.1 e K64.2 del 2007), richiedendo che anche il soggiorno dei genitori del neomaggiorenne sia sempre stato regolare e ininterrotto.

E' in questo contesto che interviene la recente sentenza del Tribunale di Lecce (Sez. II sentenza del 11 marzo 2013 (433/2012 R.G)), cui si e' rivolto un cittadino straniero nato nel 1993 che si e' visto negare la cittadinanza poiche' non immediatamente iscritto all'anagrafe alla nascita, e quindi in difetto del requisito della residenza legale ininterrotta. Senza entrare nei dettagli della pronuncia, il Tribunale da' ragione al ricorrente, rilevando che all'epoca della nascita del bambino non era ancora in vigore il regolamento di esecuzione della legge (dpr 572/1993) – che richiede l'iscrizione anagrafica – ma la sola legge sulla cittadinanza. In assenza di specificazione dunque ci si doveva riportare alla definizione di residenza data dal codice civile (art. 43), ossia il luogo di dimora abituale e non a quella ben piu' restrittiva di iscrizione anagrafica introdotta dal regolamento di attuazione.

Il Tribunale poi correttamente ritiene che le circolari ministeriali in materia (circolare K69/89 del 1997, K60.1 e K64.2 del 2007), che prevedono il requisito della legale residenza anche in capo ai genitori, contrastano con la legge e che - in ogni caso - nessun pregiudizio puo' derivare al ricorrente, per motivi legati all'eta', dalla mancata richiesta di permesso di soggiorno, cui avrebbero dovuto provvedere gli affidatari: “A seguito dell'affidamento, il minore ben avrebbe potuto richiedere e conseguire il permesso di soggiorno, in esecuzione del provvedimento del giudice minorile di affidamento, ed alle relative registrazioni; pertanto, se gli affidatari non hanno effettuato le dovute richieste , non può il Tribunale ignorare la sussistenza di fatto delle condizioni di legge per il prodursi degli effetti della dichiarazione, considerando come l'interessato non abbia, per motivi legati all'età, alcuna responsabilità per fatti od omissioni altrui”.

La pronuncia, seppur nella sua “spendibilita'” temporalmente limitata ai nati fra il 1992 e il 1993 (che hanno ormai compiuto i diciannove anni), impone una serie di riflessioni sull'interpretazione della normativa oggi vigente.

Ad oggi infatti la legislazione italiana prevede l'inespellibilita' del minore straniero (salvo il diritto a seguire il genitore espulso) e prevede la possibilita' che il genitore straniero clandestino chieda al Tribunale per i minorenni uno speciale permesso di soggiorno per poter assistere i figli presenti in Italia.
Che senso ha allora richiedere la regolarita' del soggiorno del minore se il minore e' “per definizione” sempre regolare fino al compimento del diciottesimo anno di eta'? Ci si chiede – soprattutto - quale sia l'interesse tutelato da una simile norma. E quale sia o debba essere, in un ottica di riforma legislativa, il fine cui tendere. Fra i due estremi – ius soli puro, ossia se nasci in Italia sei automaticamente cittadino, e negazione totale dello ius soli, esistono una miriade di sfumature, di temperamenti piu' o meno graduati aventi pero' tutti un comune denominatore: l'appartenenza del minore alla comunita' in cui vive in Italia.
Questa finalita' e' gia' presente nella legge del 1992, che come visto prevede lo ius soli per chi nato in Italia vi abbia vissuto fino al compimento dei diciotto anni. Le ulteriori specificazioni hanno il solo scopo di limitare la portata della norma, in modo a nostro avviso irragionevole e cavilloso. Di dubbia legittimita' sono poi le circolari ministeriali gia' menzionate che richiedono il regolare soggiorno dei genitori cosi' come la previsione (regolamentare e non normativa) che ricollega al concetto di residenza legale ingresso e soggiorno regolari e iscrizione anagrafica ininterrotti. Sul punto e' illuminante una recente sentenza della Corte d'Appello di Napoli (sentenza n. 1486 del 2012), nella quale viene dichiarata la cittadinanza italiana di un cittadino straniero nato e vissuto in Italia cui la cittadinanza era stata rifiutata poiche' il genitore nel 2000 era stato cancellato dall'anagrafe per irreperibilita'. La Corte d'Appello di Napoli si sofferma allora sulla definizione di “legalmente residente”, superando la necessita' dell'iscrizione anagrafica e ritenendo correttamente sufficiente la prova della effettiva residenza in Italia, disapplicando dunque il dpr 572/1993: “per gli impegni presi dallo Stato italiano in tema di protezione del minore e […] per un principio di negazione di una sorta di nemesi storica, non possono imputarsi al minore, nato in Italia e figlio di genitori stranieri, gli inadempimenti di quest'ultimi circa i permessi di soggiorno e/o le formalita' anagrafiche, sicche' deve venire in rilievo la situazione di effettiva (e quindi legale) residenza del minore da dimostrare […] da fatti significativi di una durevole e stabile permanenza sul territorio sin dalla nascita ed inserimento nel tessuto socio-culturale”.

Non possiamo che concordare con la decisione del Tribunale di Napoli: l'iscrizione anagrafica puo' essere criterio presuntivo di residenza legale in Italia, non gia' essere considerato – in se' – requisito senza il quale non puo' essere dichiarata la cittadinanza ai sensi dell'art. 4, comma 2. Un'interpretazione contraria difatti susciterebbe forti perplessita' di legittimita' costituzionale della norma.
 
 
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