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Liti condominiali e poteri dell’amministratore. La pronuncia delle Sezioni Unite
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Articolo di Alessandro Gallucci
20 settembre 2010 7:44
 
Nello stesso periodo della sentenza sulle tabelle millesimali, un’altra pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (la n. 18331 del 6 agosto 2010) ha messo la parola fine ad un ulteriore contrasto interpretativo su una norma fondamentale in materia di liti condominiali, chiarendo i limiti della legittimazione passiva dell’amministratore di condominio. Uscendo dal “legalese”, per dirla piu’ semplicemente, la Cassazione ha precisato quali siano i poteri del rappresentante dei condomini nel caso in cui la compagine condominiale venga citata in giudizio o nel caso d’impugnazione di una decisione ad essa sfavorevole.
In sostanza l’amministratore, in alcune ipotesi puo’ agire o resistere in giudizio d’ufficio, ossia senza l’autorizzazione assembleare: se per le azioni proposte dal legale rappresentante del condominio non vi sono mai stati dubbi (egli puo’ agire autonomamente nel rispetto dei limiti selle sue attribuzioni indicate dall’art. 1130 c.c.) diverso e’ stato il discorso per le liti nelle quali e’ il condominio ad essere chiamato in causa.
I problemi sorgono a causa della generica formulazione della norma riguardante la legittimazione passiva a stare in giudizio, ovvero il primo periodo del secondo comma dell’art. 1131 c.c., a mente del quale il mandatario dei condomini “puo’ essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio”.
La giurisprudenza maggioritaria e piu’ recente ha interpretato questa norma nel senso che non possono essere messi dei limiti al potere dell’amministratore di resistere in giudizio e che quindi egli, una volta chiamato in causa, puo’ sempre agire autonomamente. Gli obblighi di riferire all’assemblea, secondo quest’orientamento, hanno mera rilevanza interna e non inficiano la regolarita’ della costituzione in giudizio del mandatario dei condomini.
Per la giurisprudenza minoritaria, cui le Sezioni Unite solo parzialmente hanno aderito, invece, la norma tende a tutelare i terzi (o i condomini che agiscono contro la compagine) permettendo l’individuazione di un soggetto unico per le notifiche che, specie nei condomini di notevoli dimensioni possono apparire problematiche. In questo contesto, quindi, la legittimazione passiva a resistere in giudizio incontrerebbe gli stessi limiti di quella attiva (art. 1130 c.c.), sicche’ nelle materie non espressamente riservategli l’amministratore deve trarre la legittimazione a resistere da una deliberazione assembleare.
In questo contesto s’e’ inserita la sentenza delle Sezioni Unite.
Prima d’entrare nel merito della vicenda e’ necessaria una precisazione: come la stessa Corte regolatrice ha osservato, la loro pronuncia “esula da quelle per le quali l'amministratore e’ autonomamente legittimato ex art. 1131 c.c., comma 1. Tale norma, infatti, conferisce una rappresentanza di diritto all'amministratore, il quale e’ legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (nonche’ a proporre impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 c.c.” (Cass. SS.UU. 6 agosto 2010 n. 18331).
Il punto fermo, quindi, e’ che la Cassazione riconosce che per determinate materie l’amministratore puo’ resistere, d’ufficio, in giudizio. Si pensi -e’ questo l’esempio piu’ ricorrente- all’impugnazione della deliberazione assembleare. Il mandatario dei condomini, per espressa previsione di legge (art. 1130, primo comma n. 1, c.c.) deve dare esecuzione alle delibere e quindi, in quest’ottica, anche difenderne la validita’ in giudizio.
In questo contesto prosegue la Suprema Corte- al di fuori dei poteri conferitigli dalla legge, l’amministratore trae la propria legittimazione ad agire e a resistere dalle deliberazioni assembleari. Quando il condominio viene citato in giudizio, sono i condomini e non l’amministratore ad essere parte sostanziale del procedimento; pertanto, “l'autorizzazione dell'assemblea a resistere si pone quale conditio sine qua non affinche’ l'amministratore, nella propria vesta di mandatario, possa conferire il mandato difensivo ad un legale e sottoscrivere la relativa procura alle liti. In mancanza, non potra’ che concludersi per l'inammissibilita’ della costituzione in giudizio del condominio” (Cass. SS.UU. 6 agosto 2010 n. 18331).
Alle volte la costituzione in giudizio o la proposizione d’una impugnazione puo’ essere necessaria per evitare il trascorrere di termini fissati a pena di decadenza. In questo contesto, anche se solo a tali fini, l’amministratore puo’ costituirsi in giudizio salvo doversi rivolgere subito dopo all’assemblea per ottenere il mandato e quindi la legittimazione a proseguire la lite. La costituzione in giudizio nei casi di materie eccedenti le sue attribuzione e’ fatta, pertanto, solamente per la salvaguardia dei diritti dei condomini ma e’ circoscritta a quell’atto.
Chiarito cio’ la Corte di Cassazione conclude enunciando il seguente principio di diritto: "l'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, puo’ anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovra’, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilita’ dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione" (Cass. SS.UU. 6 agosto 2010 n. 18331).
 
 
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