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Metodi inadatti a valutare le città
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Articolo di Redazione
17 novembre 2010 17:29
 
Specchio specchio delle mie brame: qual'è la città più bella del reame? Innumerevoli graduatorie fissano il primato dell'una o dell'altra in base a criteri economici o del buon vivere, però alcuni studiosi le trovano poco convincenti e promuovono criteri diversi di valutazione.
Amburgo è la città più amata dai tedeschi; Monaco è quella dove si vive e si lavora meglio; l'avvenire economico più radioso attende Francoforte sul Meno. Sono i risultati delle ultime classifiche, pubblicate con bella regolarità da società di consulenza e istituti economici privati. I sindaci delle tre città ne saranno probabilmente fieri, ma in realtà gran parte delle graduatorie dicono poco della qualità delle città, sostiene un'équipe di ricercatori statunitensi. In base alle loro analisi, i sistemi usati per le rilevazioni non tengono nel dovuto conto né la dimensione né le specificità locali. Con questo studio, apparso su Plos One, essi spingono verso nuove angolazioni.
I destinatari della maggioranza delle classifiche sono investitori e creativi, che dovrebbero essere attratti verso certe città e portarvi soldi e idee. Oppure sono rivolte ai politici, detentori delle leve dello sviluppo urbano. Ma per valutare quale città sia la più produttiva, con il maggior benessere, con il più alto tasso di criminalità, finora è stato usato il semplice calcolo pro capite.
Spesso si usano solo rapporti lineari
Così, la produttività deriva soltanto dal Prodotto interno lordo pro cittadino attivo, il benessere è equiparato al reddito medio, la criminalità al numero dei reati ogni mille abitanti. Con questi ordini di grandezza si ha però un rapporto puramente lineare. Se a Monaco in un anno vengono commessi più reati e la popolazione non varia, il tasso di criminalità aumenta. Viceversa, se aumentano le persone e i reati restano stabili, la quota di criminalità si abbassa. E se i due fattori rimangono invariati, le percentuali non cambiano. Gran parte delle graduatorie includono molti fattori lineari di questo tipo. Quella dell'Istituto d'economia mondiale di Amburgo, per esempio, vuole illustrare le capacità future delle trenta maggiori città tedesche, e tra i criteri scelti figurano l'istruzione, l'internazionalità, l'aumento della popolazione, il mercato del lavoro e la produttività. L'internazionalità deriva a sua volta dalla quota di lavoratori e studenti stranieri e dai pernottamenti dei turisti. Sommando questi elementi l'istituto privato assegna il primo posta a Francoforte, seguita a ruota da Monaco e Duesseldorf; ultima Chemnitz.
Le città grandi hanno un vantaggio statistico
E qui scatta la critica di Luis Bettencourt. "Le città sono qualcosa di più della somma delle loro parti individuali". Il fisico dell'Istituto Santa Fe di New Mexico ritiene poco sensato stabilire quale città sia migliore o peggiore in base a semplici misurazioni a persona. "Ci sono due fattori che connotano una città: la dimensione e il suo carattere specifico".
Le grandi città hanno un vantaggio statistico sulle piccole: lì dove in breve tempo si insedia molta gente -negli agglomerati urbani- le infrastrutture sono migliori, c'è più efficienza, e il nuovo sviluppo s'impone prima. Bettencourt ha dimostrato che molti fattori di valutazione, come la criminalità, il benessere o la produttività non procedono in modo lineare con l'aumentare della popolazione. Al contrario, ogni raddoppio di abitanti accresce la produttività del 15% a testa, ogni abitante guadagna in media il 15% in più ed è il 15% più innovativo, ma ha anche il 15% di possibilità in più d'essere vittima di un reato.
Nel loro studio i ricercatori spiegano l'effetto agglomerato prendendo a modello le città Usa, "ma è del tutto indipendente dalla geografia; abbiamo la conferma di quest'effetto anche in Cina, Giappone e Germania", dice Bettancourt. Interessanti sono solo le città che si discostano dalla regola del 15%, ossia quelle che si trovano sopra o sotto. "Questi scostamenti si spiegano unicamente con il carattere particolare di una città, con la sua storia o il tipo d'industria che vi si è radicata nel tempo".
Le città fanno bene o male in un loro modo specifico
Un esempio: Berlino ha circa il doppio di abitanti di Amburgo, e per la regola dell'effetto agglomerato il Pil pro capite di un berlinese dovrebbe superare del 15% quello di un cittadino di Amburgo. Di fatto, è il 19% sotto. Lo scostamento non deve però stupire, considerato che Berlino è stata a lungo divisa tra Est e Ovest. Viceversa, ad Hannover la produttività pro persona è il 18% superiore a quanto indichi la sua grandezza. "E' interessante vedere come gli scostamenti siano di lunga durata, a volte si mantengono per decenni", dice Bettancourt. La sua deduzione: ci sono vantaggi e svantaggi strutturali che restano anche quando una città cresce o se la composizione sociale cambia. "Queste città fanno bene o male in un loro modo specifico. Se lo capiamo, disponiamo di importanti indizi su come quella città possa migliorare o conservare i suoi risultati". Spetta alla politica farne tesoro.
Che cosa significano questi risultati sulle classifiche delle città? Semplice: applicando l'effetto agglomerato alle città tedesche, si ha una sequenza diversa rispetto al confronto pro capite. Non le si mette più in fila in base alla produttività a testa, bensì per quanto ognuna si discosta dal dato che deriverebbe dalla sua dimensione.
"In questo modo si dimostra quali città siano davvero fuori del comune", chiosa Bettencourt, "e si misurano quantitativamente anche gli effetti che dipendono dalla loro storia, dalla politica e dal colore locale". Il suo gruppo si augura che il nuovo metodo s'imponga presto, così che si possano redigere delle graduatorie più significative.

(articolo di Magdalena Hamm pubblicato sul settimanale Der Spiegel del 12/11/2010. Traduzione di Rosa a Marca)
 
 
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