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Offensiva ‘Ramo d’ulivo’. Perché Erdogan attacca i Curdi in Siria
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Articolo di Redazione
29 gennaio 2018 11:18
 
 Un modo di dire turco recita “Diventare un cespuglio di capelli”. Si dice quando una situazione è molto intricata. Si adatta alla offensiva turca sferrata pochi giorni fa [il 20 gennaio] in Siria. La regione, militarmente e politicamente, è un campo minato. Sul posto ci sono tutti gli attori del Vicino Oriente: gli Stati Uniti, la Russia, la Siria, i Curdi, l’Isis, l’Iran. E adesso l’esercito turco si infila nel bel mezzo del “cespuglio”.
Sostanzialmente la crisi era cominciata una settimana prima, quando gli USA annunciarono di disporre, al confine turco-siriano, un dispiegamento militare forte di 30.000 uomini principalmente combattenti della YPG [curdi della Unità di Protezione Militare]. La Turchia, per la quale la YPG è una organizzazione terroristica, prese l’iniziativa come una dichiarazione di guerra. “Siamo decisi a eliminarli”, fu annunciato da Ankara. Qui erano in collisione gli interessi dei due alleati, le tensioni in costante crescita tra Ankara e Washington raggiunsero il culmine.
Per gli Stati Uniti la YPG, a causa della sua lotta contro l’Isis, è una alleato irrinunciabile nella regione; per Ankara, invece, è la longa manus dei militanti turchi del PKK in Siria. Dando un’occhiata alla carta geografica è evidente la preoccupazione di Ankara: se i Curdi di Manbidsch e di Afrin si dovessero riunire, al confine siriano con la Turchia nascerebbe un territorio del tutto curdo, uno “stato curdo al confine”, cosa che Ankara teme da tempo. L’offensiva vuole impedire questa eventualità e impedire ai Curdi l’accesso al Mediterraneo.
La Russia, che è alleata con la YPG, ha aperto per la prima volta lo spazio aereo e ha permesso il bombardamento. Perché? Un vantaggio considerevole potrebbe essere già l’escalation delle tensioni tra Ankara e gli USA, nonché la nascita di una “comunità di interessi” col regime di Damasco. A perderci sono i Curdi che sono stati piantati in asso dagli Stati Uniti e dalla Russia.
Per quanto riguarda Erdogan: la guerra “Ramo d’ulivo” gli procurerebbe all’interno la necessaria unità nazionale. Ciò ha attirato dalla sua parte il partito di opposizione nazionalista MHP e anche il socialdemocratico CHP, i Curdi sono isolati. Dichiarazioni contro la guerra sono state vietate, sulla stampa è stata proibita qualsiasi voce contraria. Se l’offensiva dovesse avere successo, nessuno si meraviglierebbe se Erdogan indicesse nuove elezioni.
A lungo termine non resterà senza conseguenze il fatto che la fase di dialogo iniziata col PKK 5 anni orsono si ribalti adesso di nuovo in una guerra. Ma è bene ricordarsi che le più di 25 operazioni militari nel corso degli ultimi 25 anni non sono riuscite a distruggere il PKK in Iraq.
Ankara gioca un gioco rischioso in una regione pericolosa. E ciò corrisponde con l’espressione “cespuglio di capelli”.

(Articolo di Can Dündar, da “Die Zeit” n. 5/2018 del 24 gennaio 2018)

Consigliamo in merito anche la lettura di un articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 29/01/2018
 
 
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