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Le rotte turistiche della cannabis in Marocco
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Articolo di Redazione
5 dicembre 2017 17:56
 
Le guide di viaggio e i promotori del turismo in Marocco non ne parlano mai. Ma il turismo della cannabis attira ogni anno in questo Paese migliaia di visitatori amanti del kif.
"Il clima qui e’ molto speciale. Nulla attrae a parte il kif”, dice Hassan, un ottantenne incontrato in un albergo della regione di Ketama (nord), considerata come “La Mecca della produzione di hashish”.
“E’ la nostra principale ricchezza”, spiega Hassan, che porta al polso un vistoso orologio in oro e rimane riservato sui motivi dei suo andirivieni verso Casablanca.
Seduta in un bar dell’l’hotel, Beatrix, una tedesca di 57 anni con un look baba cool, si fa una canna davanti a tutti. Quella che e’ nota come una “habitueée di questi luoghi”, spiega di “essere diventata una fan” della regione per “la qualita’ del suo hshish e la gentilezza dei suoi abitanti”.
In Marocco, dove la coltivazione della cannabis ha fatto vivere 90.000 famiglie nel 2013, secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili, vendere o consumare droghe e’ vietato per legge.
Ma a Ketama, dove abbondanti piantagioni di kif accolgono il visitatore, l’hashish fa parte del patrimonio locale e il suo consumo e’ largamente tollerato.
Bombolo Ganja
Con degli amici, Beatrix ha organizzato a mieta’ settembre un “festival” a Ketama, il “Bombola Ganja” -di fatto, una serata tra amici fumatori davanti alla piscina dell’hotel. Sul manifesto diffuso sulla pagina Facebook dell’evento, le piante di cannabis messe in secondo piano rispetto al DJ fanno un mix con la “trance psichedelica”, Gli organizzatori hanno anche messo un messaggio che perora la legalizzazione della cannabis a fini terapeutici.
Perche’ hanno scelto Ketama? “Difficile rispondere”, elude con prudenza Abdelhamid, direttore dell’hotel. "Alcuni sono attirati dalle montagne, le camminate, il clima”, dice, senza evocare l’attrazione della coltivazione locale di hashish.
Qualche migliaio di turisti viene ogni anno a Ketama, essenzialmente dall’Europa, ma anche dalle grandi citta’ marocchine. Ma “la regione non e’ ben organizzata e ci sono delle disfunzioni (…), le strade sono disastrate, manca l’acqua”.
E l’immagine della citta’ e’ decaduta col tempo. Negli anni 1960 e 1970, Ketama era molto frequentata dagli hippy. Ma poco a poco, il luogo ha cominciato ad accreditarsi una reputazione di “zona di non-diritto” -la Guide du Routard faceva appello gia' alla fine degli anni 1990 ai turisti perche’ “eliminassero completamente” questa regione dei loro programmi.
“Il turismo ha conosciuto un netto calo”, conferma Mohamed Aabbout, un militante di associazioni locali. E spiega anche questa disaffezione grazie “all’estensione della coltivazione del kif in altre citta’ del nord del Marocco”.
Citta’ blu col pollice verde
Ad un centinaio di chilometri di volo d’uccello, la citta’ di Chefchaouen, con la sua medina blu arroccata a fianco della montagna, ha progressivamente levato a Ketama la sua posizione di destinazione per eccellenza.
Con le sue case pittoresche, i suoi vicoli intrecciati, le stradine lastricate, quella che e’ stata soprannominata “Chaouen” e’ il capoluogo di un’altra regione rinomata per la sua produzione di kif.
Qui, piccoli trafficanti e false guide accostano immancabilmente i turisti per proporre loro dell’hashish o una visita nelle fabbriche per incontrare dei “coltivatori di kif”. Alcuni alberghi offrono anche questo servizio per una quindicina di euro. Senza pero’ menzionarlo nei loro cataloghi.
Nella terrazza di un caffe’ in posizione strategica, un uomo avvicina dei potenziali acquirenti: “Questa e’ la migliore, fratello”, dice Mohamed, che espone al nuovo arrivato la sua grossa palla di hashish.
Ma non e’ vietato? “Qui tu puoi fumare quanto vuoi, ma non davanti al commissariato”, dice prima di suggerire di andare sui luoghi specifici per sapere come si lavora il kif.
Messicano, afghano e beldia
Mohamed accompagna un gruppo di turisti a qualche chilometro, in un villaggio povero dove il verde dei campi si estende a perdita d’occhio.
“Qui c’e’ la pianta messicana, l’afghana, la beldia (ndr. - pianta locale, in lingua araba)”, dice la guida. Secondo lui la maggior parte delle fabbriche importano dei semi in modo da ottenere maggiori quantita’.
A qualche metro piu’ in la’, dei giovani francesi visitano le piantagioni con una guida, tappa podromica alla “dimostrazione”.
I due gruppi si ritrovano davanti ad una modesta fabbrica dove un agricoltore, dopo aver preso un secchio, recupera la polvere che si e’ depositata nel fondo, ed entra nel suo negozio. Poi torna dopo qualche minuto con il prodotto finito. Alcune donne del villaggio assistono alla scena, l'aria divertita, mentre i polli beccano intorno alla piccola casa.
“Questa va diretta in citta’. Diretta a Saint-Ouen” nella regione parigina, dice uno che ha assistito alla scena, in maglietta e scarpette da calcio della squadra Paris-Saint-German, che sta acquistando 200 euro di cannabis.
Come questi giovani, sono in tanti che vengono da Chaouen per il proprio kif.
La citta’ e’ riuscita in qualche anno ad aumentare la gamma dei suoi visitatori.
“Venti anni fa, i turisti erano essenzialmente dei giovani spagnoli che venivano a fumare. Ora, i non-fumatori vengono il colore blu della citta’, molto apprezzato dai turisti cinesi”, spiega il proprietario di un’agenzia di viaggi.

(articolo pubblicato sul portale lexpress.mu, a cura del gruppo editoriale Lasentinelle.mu in data 04/12/2017)
 
 
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