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Basta di stare a guardare. Sempre più tedeschi si trovano nelle carceri turche. Senza una pressione politica non li libereremo
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Articolo di Redazione
23 novembre 2019 9:54
 
 Saide Inaç è una cantante tedesca che ha radici curde (nome d’arte: Hozan Canê) e da un anno mezzo si trova dietro le sbarre di una prigione turca. La donna, quarantasettenne, fu arrestata a giugno, l’anno scorso a Edirne, dove avrebbe dovuto esibirsi durante una manifestazione elettorale dello HDP [Partito Democratico dei Popoli], di cui sarebbe anche membro (come testimonierebbe una fotografia che la mostra insieme con un funzionario del PKK [Partito dei Lavoratori del Kurdistan, considerato dalla Turchia un’organizzazione terroristica].
Già quando aveva venti anni fu arrestata dopo un concerto, stette nove mesi in prigione, soffrì torture. Allora andò in Germania, dove è stata attiva in un centro culturale curdo.
Il giorno dopo la prima udienza di Canê il presidente turco Erdogan era in visita in Germania. Dalla prigione la cantante scrisse ad Angela Merkel di essere in prigione ingiustamente e di non stare bene di salute. Pregava la cancelliera di affrontare la sua situazione nei colloqui con Erdogan.
In precedenza, il governo turco aveva già preso in “ostaggio” Mesale Tolu, Peter Steudtner e Deniz Yücel con accuse illegali, tentando di utilizzarli come una risorsa nelle trattative. Per Cané la visita di Erdogan a Berlino non cambiò alcunché. In un modo insolitamente veloce per la Turchia la donna fu condannata, dopo tre udienze, a sei anni e tre mesi di carcere per appartenenza al PKK.
Ma non basta. Successivamente è stata accusata di offesa al presidente della Repubblica. Un reato popolare: nel 2017 fu individuato in 20.000 casi, nel 2018 erano già diventati 26.000. Soltanto nel 2018 si è arrivati a oltre cinquemila processi, la metà dei quali sono finiti con una condanna. Il motivo per il processo contro Canê è stato probabilmente una caricatura di Erdogan postata da lei su Facebook. Ma la spiegazione fornita dalla sua avvocata che né l’account né la posta appartenevano alla donna ha avuto considerazione. Sono bastate solo due settimane per condannare Canê a un anno e cinque mesi di carcere. Ma non basta. Quando la figlia di Canê, Gönül Örs, questa primavera, è andata in Turchia per far visita alla madre, non le è stato consentito di lasciare il Paese a causa della partecipazione a una dimostrazione a Colonia. E quando, a settembre, ha provato a uscire dalla Turchia illegalmente, è stata arrestata.
Adesso madre e figlia sono dietro le sbarre. In una intervista con la “Deutsche Welle” [radio tedesca] la cantante ha detto di trovarsi in un’ala del carcere con altre 35 detenute: “Le condizioni nel carcere sono molto dure. Nonostante tutte le difficoltà cerco di sopravvivere. Ma coi miei problemi di salute, purtroppo, non è così semplice. Una cura in ospedale si scontra con molti ostacoli”.
Alla richiesta avanzata dalle deputate della “Linke” [Sinistra] Sevim Dagdelen e Gökay Akbulut il ministero degli Esteri ha risposto che nei primi sei mesi del 2019 il numero di Tedeschi imprigionati in Turchia è salito da 47 a 62.
In questi giorni è atteso per Canê il processo di revisione. Fiducia nella giustizia non ce l’ha più nessuno, e quindi si spera nella diplomazia. La deputata Abkulut dichiara di aspettarsi dal governo tedesco non che si metta a fare trattative, bensì che si impegni per la liberazione di Canê.
Quando Erdogan prese in ostaggio il pastore Andrew Brunson, il presidente Trump minacciò di paralizzare l’economia turca, e alzò dal 25 al 50 percento il dazio sull’importazione di acciaio dalla Turchia. Due mesi più tardi Brunson era libero. Subito dopo il dazio fu di nuovo riportato al 25 percento. Dove non regna il diritto, funziona, purtroppo, soltanto la politica della forza.

(Articolo di Can Dündar su “Die Zeit” n. 47/2019 del 13 novembre 2019)
 
 
 
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