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 U.E. - U.E. - Pubblicita'. Corte Strasburgo: si' ad uso immagini Cristo e Madonna
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30 gennaio 2018 16:04
 
Non si puo' vietare l'uso delle immagini di Gesu' e della Madonna in pubblicita', perche' sarebbe una compressione della liberta' di espressione, garantita dalla Convenzione per la tutela dei diritti umani. Lo ha stabilito la Corte europea di Strasburgo, che ha accolto il ricorso presentato contro la Lituania da un'azienda produttrice di abbigliamento, la Sekmadienis Ltd, che tra settembre e ottobre del 2012 aveva pubblicizzato i suoi prodotti con fotografie di modelli truccati da Cristo e Maria. Le immagini erano state diffuse sia con affissioni sia on line, ma pochi giorni dopo l'Autorita' lituana per la difesa dei consumatori aveva ricevuto varie denunce di cittadini che si sentivano offesi da quella reclame. Si era percio' attivata l'Agenzia di concessione della pubblicita', altra authority governativa, che aveva ravvisato violazioni dei limiti sulla decenza e sul rispetto della religione e aveva imposto il ritiro della campagna. L'azienda, dopo aver percorso senza successo tutti i gradi di giudizio in Lituania, si era rivolta alla Corte europea dei diritti umani che ora le ha dato ragione. La quarta sezione della Corte, presieduta dalla giudice Ganna Yudkivska, ha ritenuto all'unanimita' che anche alla pubblicita' si debba applicare il principio della liberta' di espressione ha condannato la Lituania a rimborsare alla ditta la multa da questa pagata (580 euro) e ogni altro danno pecuniario subito per l'ingiusta inibizione della pubblicita'. 
 I fatti risalgono al 2012 quando una società lituana che produce vestiti lancia una campagna pubblicitaria utilizzando la foto di un uomo e una donna con l'aureola, lui in jeans e tatuato, lei con un vestito bianco e una collana di perline, accompagnati dalle frasi "Gesù, che pantaloni!", "Cara Maria, che vestito!" e "Gesù e Maria, cosa indossate!". Le pubblicità hanno innescato una serie di proteste inviate all'Agenzia nazionale per la difesa dei diritti dei consumatori. Quest'ultima dopo aver domandato l'opinione dell'organo autoregolamentato degli specialisti di pubblicità e della conferenza episcopale lituane ha concluso che le pubblicità non rispettavano la religione e quindi erano una violazione della morale pubblica e ha imposto all'azienda una multa di 580 euro. Nella sentenza odierna, che diverrà definitiva tra 3 mesi se le parti non faranno appello, i giudici affermano che le autorità nazionali hanno un ampio margine di manovra su questioni simili in particolare in casi che riguardano un uso commerciale dei simboli religiosi. Tuttavia i togati evidenziano che le pubblicità in questione "non sembrano essere gratuitamente offensive o profane" e "non incitano all'odio", e che quindi le autorità sono tenute a fornire ragioni rilevanti e sufficienti sul perché nonostante questo sarebbero contrarie alla morale pubblica. Invece in questo caso le ragioni date dalle autorità "sono vaghe e non spiegano con sufficiente esattezza perché il riferimento nelle pubblicità a simboli religiosi era offensivo". In particolare, la Corte critica le autorità per aver giudicato che le pubblicità "promuovevano uno stile di vita incompatibile con i principi di una persona religiosa" senza spiegare quale fosse lo stile di vita incoraggiato e come le foto e le didascalie in questione lo stessero favorendo. I giudici sono anche critici sul fatto che il solo gruppo religioso consumltato per giudicare del caso sia stato quello cattolico.
 
 
 
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Direttore Domenico Murrone
 
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