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30 NOVEMBRE 1786-2007
OMAGGIO A PIETRO LEOPOLDO GRANDUCA DI TOSCANA CHE MISE A MORTE LA PENA DI MORTE
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 novembre 2007 0:00
 
Alle cinque della sera del 30 novembre 2000 in tutta la Toscana si sciolsero le campane di torri e campanili per celebrare con singolare e rincuorante unanimita' l'istituzione della Festa della Toscana che vuole essere memoria e omaggio all'abolizione della pena di morte. Essa fu sancita, per la prima volta nel mondo, con l'articolo LI della Legge di Riforma criminale promulgata a Pisa il 30 novembre 1786 dal Granduca Pietro Leopoldo. Tale legge prevedeva anche, all'articolo LIV, il rogo degli strumenti di tortura e d esecuzione capitale, che fu prontamente acceso nel cortile del Bargello a Firenze.
Ci sono documenti che parlano da soli. Questo, che porto' la Toscana all'avanguardia della civilta' tre anni prima della rivoluzione francese, e' senz'altro uno di quelli e gli lascio volentieri la parola per le parti che sono riuscita a rintracciare su pagine elettroniche e di carta, rimandando all'appendice una breve cronologia relativa alla pena di morte in Toscana (dopo il 1786) e in Italia. L'unica cosa che mi pare doveroso fare subito e' segnalare l'opera che senz'altro ispiro' e incoraggio' anche Pietro Leopoldo a guardare con occhi nuovi il rapporto tra delitto e pena e a scrollarsi di dosso l'abitudine alla crudelta', la concezione della pena come vendetta e la confusione tra reato e peccato; si tratta del saggio Dei delitti e delle pene (pubblicato per la prima volta a Livorno, anonimo, nel 1764), in cui il giovane milanese Cesare Beccaria (1738-1794) ebbe il merito di condensare, con grande chiarezza e razionalita', un sapere e un sentire che, gia' diffuso al suo tempo nelle menti piu' illuminate, rappresenta tutt'oggi il fondamento irrinunciabile di una legislazione penale che voglia davvero chiamarsi civile Ed ora ecco la citazione annunciata composta dal testo del Proemio e degliarticoli LI e LII (non sono, purtroppo, riuscita a trovare il testo dell'art. LIV che sancisce la distruzione degli strumenti di tortura).

EDITTO DEL 30 NOVEMBRE 1786
Legge di Riforma criminale

"Pietro Leopoldo, per grazia di Dio, principe reale d'Ungheria e di Boemia, arciduca d'Austria, granduca di Toscana ecc.


Fin dal Nostro avvenimento al Trono di Toscana riguardammo come uno dei Nostri principali doveri l'esame, e riforma della Legislazione Criminale, ed avendola ben presto riconosciuta troppo severa, e derivata da massime stabilite nei tempi meno felici dell'Impero Romano, o nelle turbolenze dell'Anarchia dei bassi tempi, e specialmente non adatta al dolce, e mansueto carattere della Nazione, procurammo provvisonalmente temperarne il rigore con Istruzioni ed Ordini ai Nostri Tribunali, e con particolari Editti, con i quali vennero abolite la pena di Morte, la Tortura, e le pene immoderate, e non proporzionate alle trasgressioni, ed alle contravvenzioni alle Leggi Fiscali, finche' non ci fossimo posti in grado mediante un serio, e maturo esame, e col soccorso dell'esperimento di tali nuove disposizioni di riformare intieramente la detta Legislazione.
Con la piu' grande soddisfazione dei Nostro paterno cuore Abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene congiunta con la piu' esatta vigilanza per prevenire le reazioni, e mediante la celere spedizione dei Processi, e la prontezza e sicurezza della pena dei veri Delinquenti, invece di accrescere il numero del Delitti ha considerabilmente diminuiti i piu' comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi Siamo venuti nella determinazione di non piu' lungamente differire la riforma della Legislazione Criminale, con la quale abolita per massima costante la pena di Morte, come non necessaria per il fine propostosi dalla Societa' nella punizione dei Rei, eliminato affatto I"uso della Tortura, la Confiscazione dei beni dei Delinquenti, come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicita' nel delitto e sbandita dalla Legislazione la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti di Lesa Maesta' con raffinamento di crudelta' inventati in tempi perversi, e fissando le pene proporzionate ai Delitti, ma inevitabili nei rispettivi casi, ci Siamo determinati a ordinare con la pienezza della Nostra Suprema Autorita' quanto appresso [.]

LI. Abbiamo veduto con orrore con quanta facilita' nella passata Legislazione era decretata la pena di Morte per Delitti anco non gravi, ed avendo considerato che l'oggetto della Pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno, la correzione del Reo figlio anche esso della Societa' e dello Stato, della di cui emenda non puo' mai disperdersi la sicurezza nei Rei dei piu' gravi ed atroci Delitti che non restino in liberta' di commetterne altri, e finalmente il Pubblico esempio, che il Governo nella punizione dei Delitti, e nel servire agli oggetti, ai quali questa unicamente e' diretta, e' tenuto sempre a valersi dei mezzi piu' efficaci coi minor male possibile al Reo; che tale efficacia e moderazione insieme si ottiene piu' che con la Pena di Morte, con la Pena dei Lavori Pubblici, i quali servono di un esempio continuato, e non di un momentaneo terrore, che spesso degenera in compassione, e tolgono la possibilita' di commettere nuovi Delitti, e non la possibile speranza di veder tornare alla Societa' un Cittadino utile e corretto; avendo altresi' considerato che una ben diversa Legislazíone potesse piu' convenire alla maggíor dolcezza e docilita' di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo Toscano, Siamo venuti nella determinazione di abolire come Abbiamo abolito con la presente Legge per sempre la Pena di Morte contro qualunque Reo, sia presente, sia contumace, ed ancorche' confesso, e convinto di qualsivoglia Delitto dichiarato Capitale dalle Leggi fin qui promulgate, le quali tutte Vogliamo in questa parte cessate ed abolite.

LII. Resta in conseguenza, e tanto piu' proscritto ed abolito il barbaro, e detestabile abuso della facolta' concessa da alcune delle dette Leggi a ciascheduno di ammazzare impunemente, e con promessa di un premio i Banditi in contumacia per detti capitali Delitti; Volendo che riguardo a qualsiasi contumacia si osservi quanto e' stato ordinato di sopra, e specialmente all'Art. XLII, e cassata pure ed abolita ogni altra non meno barbara ed ingiusta Disposizione gia' vegliante nel Granducato, e specialmente per la Legge de' 31 Ottobre 1637 detta del Compendio contro i pretesi Assassini, o altri Facinorosi ivi nominati, che obbligava ognuno a perseguitarli ed ucciderli, anche non processati, ne' Condannati, ma solo sospetti, e vociferati per tali, benche' nel tempo del Nostro Governo non ne sia stata mai permessa l'Esecuzione.
[.]

Tale e' la Nostra volonta', alla quale Comandiamo che sia data piena Esecuzione in tutto il nostro Gran Ducato, non ostante qualunque legge, Statuto, Ordine, o Consuetudine in contrario.
Dato in Pisa li 30 Novembre 1786
".

APPENDICE
Breve cronologia riguardo alla pena di morte in Toscana (dopo il 1786) e in Italia (dal 1861).

Anche se la pena di morte in Toscana risulta abolita ufficialmente il 30 novembre 1786, era dal 1775 che a Firenze non veniva eseguita una condanna a morte. Pero' lo stesso Pietro Leopoldo onoro' la sua decisione per soli quattro anni; infatti ripristino' la pena di morte nel 1790, come reazione alla piega che stava prendendo la Rivoluzione francese, "per tutti coloro che ardiscano d'infiammare, di sollevare e mettersi alla testa del popolo per opporsi con pubblica violenza alle provvide disposizioni del Governo". Nel 1795 il nuovo Granduca Ferdinando III ne estese l'applicazione anche ai delitti di lesa maesta', e ad altri particolarmente gravi contro la religione, oltre che agli omicidi premeditati. Con l'annessione alla Francia (3 marzo 1809), fu applicato anche in Toscana il Codice penale francese, che prevedeva la pena di morte. La quale fu confermata anche al rientro dei Lorena in Toscana per essere estesa anche ai "furti violenti" (legge del 26 giugno 1816). In quell'occasione si stabili' che essa fosse eseguita con la decapitazione, pratica, quest'ultima, perche' "riconosciuta fisicamente meno dolorosa". Comunque nella pratica vi fu fatto ricorso molto raramente per due motivi: i giudici non la pronunciavano quasi mai e, una volta pronunciata, il sovrano esercitava il suo potere di commutarla nei lavori forzati a vita. Da notare che, proprio in quegli anni in Toscana si sviluppo' un serrato dibattito sulla pena di morte che, fra l'altro, ebbe come luogo di confronto la rivista di Gian Pietro Vieusseux, "Antologia" negli anni dal 1821 al 1833, quando Leopoldo II, cedendo alle pressioni austriache, la fece chiudere.
La pena di morte in Toscana fu definitivamente abrogata nell'aprile 1859 ad opera del Governo provvisorio instaurato dopo la cacciata dei Lorena, di cui fecero parte personaggi come Bettino Ricasoli, Cosimo Ridolfi e Raffaello Lambruschini. Infatti, i deputati toscani del primo parlamento italiano si opposero all'applicazione nella loro regione del Codice Penale Sardo che prevedeva la pena di morte. Fu cosi' che nel Regno d'Italia, relativamente alla pena di morte, si arrivo' a un doppio regime che duro' fino al 1889.
Il 1 gennaio 1890 entro' in vigore in tutta l'Italia il Codice Zanardelli che non prevedeva la pena di morte.
Essa pero' fu reintrodotta col Regime fascista nel 1930 dal nuovo codice penale, noto, dal nome del suo estensore, come "Codice Rocco".
La pena di morte fu cancellata dal Decreto Luogotenenziale 244/1944 ("Abolizione della pena di morte nel codice penale") per essere reintrodotta da un successivo Decreto Luogotenenziale 234/1945 ("Disposizioni penali di carattere straordinario"), a seguito del quale furono comminate ed eseguite alcune decine di condanne a morte, l'ultima a Torino il 4 marzo 1947.
Infine fu definitivamente abrogata dal D.L. 21/1948, che mise in pratica il dettato dell'ultimo comma dell'art. 27 della Costituzione, che recita: "Non e' ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra"
. Dal 25 ottobre 2007 e' caduta anche quest'ultima riserva grazie all'entrata in vigore della Legge costituzionale 2 ottobre 2007 n. 1, che modifica l'ultimo comma dell'art. 27 della Costituzione in questo senso: "Non e' ammessa la pena di morte". Questa dizione e' il naturale punto di arrivo dopo l'abrogazione della pena di morte dal codice penale militare di guerra sancita dalla L. 13.10.1994 n. 589.

NOTA
1. PIETRO LEOPOLDO (Peter Leopold) (Vienna 5 maggio 1747 - 1 marzo 1792) era il terzo figlio maschio (ma il nono dei sedici figli e figlie) di Maria Teresa d'Austria e di Francesco Stefano di Lorena. Dal 1761, alla morte del fratello maggiore Karl Joseph, fu destinato a diventare Granduca di Toscana e per questo sposo' l'Infanta di Spagna, Maria Luisa (1745-1792), con la quale ebbe 16 fra figli e figlie. Fu proprio durante i festeggiamenti per il suo matrimonio che, il 18 agosto 1765, mori' improvvisamente, a Innsbruck, il padre Francesco Stefano, e cosi' Pietro Leopoldo divenne Granduca di Toscana a poco piu' di 18 anni. Arrivato a Firenze nel settembre 1765, ricevette in Palazzo Vecchio il giuramento di fedelta' del Senato Toscano la domenica di Pasqua (31 marzo) del 1766.
Pietro Leopoldo e' un grande esempio di sovrano illuminato. Avvalendosi della collaborazione di funzionari lungimiranti quali, fra gli altri, Giulio Rucellai, Pompeo Neri, Francesco Maria Gianni e Angelo Tavanti, avvio' subito tutta una serie di riforme in ogni settore della vita pubblica che fecero della Toscana uno Stato moderno: inizio' la bonifica delle paludi della Maremma, della Val di Chiana e della Val di Nievole, favori' lo sviluppo dell'Accademia dei Georgofili, liquido' le corporazioni e introdusse la liberta' di commercio e di impresa industriale, riformo' il sistema doganale e fiscale, fece un accurato censimento che rappresento' anche la base del nuovo catasto. Comunque, a detta di molti, il vertice della sua opera fu proprio la riforma del Codice penale con l'abolizione della pena di morte, che mise la Toscana all'avanguardia della civilta' giuridica.
Anche in campo ecclesiastico, a partire dal Concordato del 1775, con cui si stabiliva che le pensioni delle prebende toscane dovessero rimanere in Toscana, intraprese radicali riforme, affermando il diritto dello Stato a controllare la vita e l'organizzazione delle Chiese: aboli', fra l'altro il diritto di asilo e il tribunale dell'inquisizione (5 luglio 1782), mentre riservo' allo Stato il diritto di giudicare i religiosi che si fossero macchiati di reati comuni. Favori' inoltre il Giansenismo e promosse, con l'aiuto del vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci, il Sinodo di Pistoia del 1786 che avrebbe dovuto riformare l'organizzazione ecclesiastica toscana secondo i principi giansenisti e affermare l'autonomia delle Chiese locali rispetto al papa. Questa riforma tuttavia non fu realizzata a causa dell'opposizione di gran parte del clero e del popolo, anche se da parte pontificia la condanna delle tesi del Sinodo arrivo' soltanto nel 1794, nel terzo anno di regno del nuovo Granduca, Ferdinando III.
Rimasero anche irrealizzati altri due progetti di riforma cari a Pietro Leopoldo: quello del Codice civile e quello di una Costituzione concepita come un contratto tra il popolo e il sovrano, il quale avrebbe dovuto mantenere il potere esecutivo, lasciando al popolo, rappresentato dai suoi eletti, quello legislativo.
Pietro Leopoldo lascio' la Toscana il 1 marzo 1790 per succedere al fratello Giuseppe (morto il 20 febbraio) sul trono austriaco ed essere il penultimo sacro romano imperatore. Anche da imperatore agi' con quella stessa lungimiranza e quello stesso realismo che lo avevano contraddistinto come Granduca di Toscana. Mori' a Vienna il 1 marzo 1792.

2. La legge istitutiva della festa regionale e' la L.R. 26 del 21 giugno 2001, che fu approvata all'unanimita'.

3. A riprova dell'unanimita', anche fuori dell'aula del Consiglio regionale toscano, con cui fu accolta la proposta di fare del 30 novembre la festa della Toscana, si allega il documento dei Vescovi della Toscana in data 30 novembre 2000 ("Un decalogo contro la pena di morte") (ALLEGATO n. 1).
 
 
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