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NEL DESERTO PER TROVARE LA PROPRIA INTEREZZA
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 marzo 2007 0:00
 
Otto giorni fa, nella cristianita' occidentale, e' cominciata la Quaresima, che intende preparare alla celebrazione della memoria della morte e resurrezione di Gesu' di Nazaret, ricordando i 40 giorni che egli trascorse nel deserto prima di iniziare la vita pubblica.
Tre sono le narrazioni evangeliche di questo evento e tutte affascinanti e dense di spunti di riflessione importanti proprio per la vita personale e al di la' del fatto di "credere" o di "non credere", come, del resto, secondo me, puo' accadere anche per un brano dell'Odissea di Omero o dell'Antigone di Sofocle.
Il racconto piu' essenziale, praticamente telegrafico, dell'evento e' quello di Marco, il piu' antico degli evangelisti, al quale il teologo tedesco Eugen Drewermann dedica una riflessione, tutt'altro che telegrafica, che tuttavia desidero partecipare e dedicare a chi legge queste note, sia perche' mi sembra che l'autore affronti un tema molto importante della psicologia umana, sia perche' questo saggio fa capire bene che cosa significa quell'interpretazione della Bibbia alla luce della psicologia del profondo, che Drewermann sta proponendo da molti anni e che ha anche sistematizzato in diversi suoi approfonditi studi.
Propongo il testo integralmente, con la sola esclusione dell'ultimissima parte, che e' un discorso piu' tecnico, fra teologi. Ho cercato di "vivacizzare" visivamente il lungo pezzo, mettendo in grassetto quelli che per me sono i punti chiave, e ci tengo a precisare che queste sottolineature non sono nel testo originale, mentre ci sono le virgolettature e i corsivi.
Ecco, dunque, col gentile permesso della Casa editrice Queriniana (clicca qui) il capitolo "Mc 1,12-13: Nel deserto e nella vicinanza di Dio: in armonia con le fiere e con gli angeli", tratto da: EUGEN DREWERMANN, Il vangelo di Marco (Immagini di redenzione), trad. di A. Laldi, Queriniana, Brescia, 1994, pp. 124-140.

Il brano del Vangelo di Marco (Mc 1,12-13):
"Subito dopo lo Spirito lo spinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e li angeli lo servivano".

Il commento di Eugen Drewermann:
Meno una persona va d'accordo con se stessa, piu' si sforzera' di fuggire da se stessa. Per questo, dappertutto troviamo che sono proprio le persone piu' scisse e piu' scontente di se' a impegnarsi a dimostrare che le situazioni in cui vivono vanno riformate e che le persone che hanno intorno devono cambiare; e intanto elaborano programmi di cambiamento del "sistema" esistente che a loro risulta insopportabile. Tutto questo affaccendarsi non ha mai prodotto risultati positivi degni di nota; a dire il vero, somiglia maledettamente al gioco dell'uomo nero, in cui la carta perdente non viene mai eliminata dal gioco, limitandosi semmai a cambiare di mano. Chi intenda adoperarsi seriamente a districare un qualunque problema della vita umana non puo' esimersi dal cominciare non dagli altri, ma da se stesso, andando a guardare nel proprio cuore se tutto e' in ordine (cfr. Mt 7,3.5); e viceversa: potra' dire qualcosa di giusto solo chi abbia imparato a fare un po' d'ordine in se stesso.
         La cosa piu' difficile nella nostra vita e' percio' anche quella piu' necessaria: smettere di fuggire verso gli altri e accettare il momento inesorabile e tremendo della solitudine, che e' l'unico in cui ci possiamo trovare faccia a faccia con noi stessi, senza finzioni e diversioni. Per imparare a conoscere la verita' della nostra vita, le voci degli altri devono essere messe a tacere. Quello che e' determinante non e' cio' che gli altri pensano e consigliano, lodano e criticano, ma cio' che si trova veramente dentro di noi.
         Il 'deserto', in cui Gesu' entra immediatamente prima dell'inizio della vita pubblica, e' proprio questo spazio in cui e' possibile ritirarsi per prendere le distanze da ogni azione e giudizio altrui. Gesu' ci si deve evidentemente recare "sospinto dallo Spirito", come sottolinea la Scrittura. Infatti e' una legge dello spirito che chi non abbia ancora trovato se stesso non possa neppure trovare la via per arrivare all'altro; sara' piu' facile che invada l'altro con le sue angosce e i suoi conflitti irrisolti e non potra' fare ne' ricevere niente di autentico. Anche quando il discorso riguarda Dio, chi non e' arrivato a se stesso, ne dara' un'immagine deformata come quella di una figura riflessa in uno specchio mal levigato. Soltanto chi ha imparato una volta per tutte a relativizzare quello che gli altri gli dicono, quello che egli e' o potrebbe essere agli occhi degli altri e come gli altri si rapportano a lui, acquista l'indipendenza e la liberta' per essere autentico. E c'e' bisogno di un momento del genere, un momento in cui la persona si presenta al cospetto del suo creatore completamente da sola, lontana da ogni intromissione altrui e da ogni rispetto umano.
         La parola 'deserto' e' molto appropriata per indicare questo spazio in cui si puo' vivere con naturalezza e liberta'; infatti qui non conta piu' nient'altro che la propria vita al cospetto del proprio Dio. Le antiche profezie pensavano che Israele, durante i cinquecento anni di monarchia, avesse smarrito sempre di piu' la verita' di se' e della sua vocazione a causa di compromessi accettati sostanzialmente per pigrizia e rispetto umano; bisognava, dunque, che Dio gli riprendesse tutto, il regno, la terra, la citta' santa (cfr. Ger 2,4-9), bisognava che tornasse un'altra volta nella solitudine e nel deserto per ritrovare la sua autenticita' sotto la guida del suo Dio. In effetti, al tempo di Gesu' esisteva il gruppo degli Esseni, che attendevano, nella zona montuosa del deserto di Qumran, la venuta del Messia; anche Giovanni Battista sembra aver fatto parte in certo qual modo di questo ambiente. Ma il 'deserto', di cui si tratta qui non e' un paesaggio o una scena di memorie storiche; esso rappresenta, invece, il vuoto e la liberta' interiori; non si tratta percio' neppure d'Israele, si tratta piuttosto di una legge a cui, peraltro, anche Israele deve sottostare in origine, e che recita:
soltanto chi non ha niente da perdere acquista il coraggio della verita'.
         O meglio, in realta', non sarebbe il caso di parlare di coraggio, perche', quando Marco sottolinea esplicitamente che Gesu' viene sospinto dallo Spirito di Dio nel 'deserto', lo fa evidentemente per dire che non possiamo sceglierci da noi tempo e luogo della sosta nel deserto. Non e' una cosa da fissare in anticipo, come se fosse la seduta di un training, e, anzi, non le va data neppure una motivazione psicologica. A dire il vero, dal punto di vista psicologico non esiste forse niente di piu' augurabile che venire messi, ad un certo momento, di fronte a se stessi senza orpelli, ma non e' una cosa che si puo' forzare. Si presenta quando e' matura, e non siamo noi a recarci in questo genere di 'deserto'; ma, come dice Marco, in questi spazi decisivi dell'esistenza ci veniamo "sospinti".
         E' per questo che non si puo' neppure parlare di "coraggio" o di 'decisione'. Non ha senso dire: "Non devi avere paura di te", quando abbiamo paura di noi stessi e soprattutto quando solo per paura di noi abbiamo evitato fino a quel momento di conoscerci. Con tutta la migliore buona volonta' non e' possibile sapere se non ci sia davvero motivo di avere paura di se stessi. Soltanto quando si puo' avere, in qualche modo, fiducia di essere accettati in una maniera assoluta, a prescindere da quello che abbiamo dentro, e' possibile, costi quel che costi, recarci in questo deserto della verita' senza riserve. Non e' col coraggioso eroismo, ma solo con una fiducia aperta alla guida interiore di Dio che si puo' sostenere questo spazio del silenzio e della solitudine con se stessi. Chi non viene letteralmente 'sospinto' nel deserto 'dallo Spirito', o si limita a essere un frettoloso turista nella terra di nessuno dell'anima o si rovina con la sua stessa presunzione. In un modo o in un altro non ottiene niente.
         Ma cosa succede se uno intraprende il cammino nel proprio intimo con sincera fiducia -ecco che tutto retrocede davanti a lui, il mondo che gli e' familiare, con i suoi legami e i suoi doveri, perde la sua presa, tutto quell'interrogarsi sullo scopo e l'utilita' delle cose perde d'importanza, e resta soltanto una domanda: chi sono io in realta'? -che succede allora? "Stava con le fiere", dice la Scrittura in questo passo, "e gli angeli lo servivano".
         Ma cos'e' l'incontro col mondo delle 'fiere'? Questa immagine e' stata sempre interpretata nel senso delle antiche profezie, dicendo che qui diventa realta' la promessa messianica, l'armonia dell'essere umano con la creazione; come un tempo, nel paradiso, il genere umano si sentiva in armonia con tutta la creazione, cosi' il mondo appare, qui, in Cristo, di nuovo come era prima della caduta e come specialmente Isaia l'aveva profetizzato per la fine dei tempi (Is 11,6-9; 65,25). Inoltre troverebbe realizzazione quanto fa sperare il libro di Giobbe (Gb 5,22-23) a chi si mantiene fedele a Dio: "Della rovina e della fame ti riderai, ne' temerai le bestie selvatiche; con le pietre del campo avrai un patto e le bestie selvatiche saranno in pace con te". Queste citazioni della Scrittura sono ovviamente pertinenti sotto il profilo formale, ma non forniscono spiegazioni sul significato intrinseco di tali immagini mitiche. Il mondo, che Dio ha fatto, e' com'e'; se la persona lo sperimenta come unita' o lo percepisce come contraddizione e scissione, dipende da chi e' e com'e' in se stessa quella persona. Una persona deve essere in armonia con se stessa, se vuole vedere, come dice Isaia, il 'leone' giacere in pace accanto all''agnello'. E' del tutto evidente che in queste immagini non si tratta di una armonia con la natura esterna; infatti essa, come insieme di dati oggettivi, e' del tutto indipendente dall'uomo. Si tratta unicamente dell'essere umano, come egli puo' o non puo' essere in accordo con la 'natura animale' che ha in se'.
         Le 'fiere', dunque, nel vangelo di Marco
, come nelle antiche profezie, non rappresentano affatto entita' della natura esterna, ma sono soltanto simboli dell'anima umana. Ed e', di conseguenza, sul piano simbolico che va cercato e trovato il loro significato, e non nella ripetizione esteriore di mitemi storici.
         Nei miti e nelle fiabe dei popoli, prima di partire per liberare il mondo da draghi e demoni, gli eroi entrano sempre in contatto con ogni genere di animali, e se li conquistano come alleati, trattandoli bene e risparmiando loro la vita. E' noto, ad esempio, il racconto dei 'due fratelli', che e' diffuso in tutto il mondo, ma che, nella raccolta dei fratelli Grimm, e' proposto in una versione splendida. In questo racconto, ancor prima che i due fratelli comincino ad agire nel mondo, si uniscono a loro sei coppie di animali che piu' tardi aiutano uno dei due a uccidere un drago a sette teste che pretende che gli sia offerta una vergine illibata. Per salvare l''anima', che le fiabe amano rappresentare come una vergine, e' evidentemente indispensabile l'alleanza con gli animali. -In modo perfettamente analogo, cosi' e' lecito presumere sul piano psicologico, sara' da intendere anche l'immagine che ci mostra Gesu' nel deserto in compagnia delle fiere, immediatamente prima dell'inizio della vita pubblica per la redenzione dell'umanita'.
         Una cosa comunque si puo' dire con certezza: una delle prove piu' terribili per una persona e' quella di avvedersi dell'animalesco nella propria natura, senza eliminarlo. Seguendo una tradizione posteriore, gli evangelisti Matteo e Luca trasformano tutta la scena nel deserto in un incontro col diavolo. In un certo senso, la loro descrizione e' piu' articolata sul piano delle idee, ma anche piu' facile da capire. Infatti, riguardo al diavolo basta dire: "Vattene, Satana!" (Mt 4,10). Al contrario, l''animale' che e' nell'uomo non e' in se' gia' cattivo o diabolico, e tutta l'abilita' consiste proprio non nel cacciarlo o ucciderlo, ma nel lasciarlo in vita e utilizzarlo. Il problema percio' e' che cosa renda tanto difficoltoso ammettere nella vita della persona la componente 'animalesca' e come sia eventualmente superabile questa resistenza alla possibilita' di una integrazione superiore.
         La prima difficolta' nel rapporto con la propria 'natura animale' sta gia' nel riconoscere che dietro la maschera dell'umanita' possano essere in agguato impulsi bestiali; infatti, constatare una cosa del genere sconvolge tutta la soddisfazione superficiale che uno ha di se stesso. E' una cosa che preferiremmo nascondere nel modo piu' assoluto a chiunque altro, e non solo; non riusciremo a confessarla neppure a noi stessi se non quando siamo davvero soli con noi stessi come lo era Gesu' nel deserto. Se ci vogliamo fare un'idea di come funziona la contestazione che la natura animale di fondo fa all'umanita' di superficie dell'individuo, possiamo, pensando proprio all'inizio della vita pubblica di Gesu', riflettere sull'ambivalenza che, a prescindere dal suo scopo, presenta ogni azione vista dall'esterno.
         Vuoi andare dalla gente e parlarle di Dio? -E chi te lo garantisce? Non e' invece che vorrai soltanto soddisfare la tua ambizione e metterti al centro dell'interesse della gente? Probabilmente vuoi solo soddisfare la brama di potere dell'animale che e' in te e, allora, osi chiamare Dio la tua ambizione?
         Vuoi annunciare alla gente la vicinanza di Dio e predicarle il perdono e l'amore? -Non e', per caso, che vorrai soddisfare in realta' il tuo personale desiderio di amore nei tuoi ascoltatori e ambisci a ottenere il loro favore e la loro approvazione? Non puo' essere che tu voglia semplicemente appagare il tuo estremo bisogno di amore mascherandolo da amore per il prossimo?
         Pretendi di denunciare pubblicamente ingiustizia e ipocrisia, fariseismo e presunzione? -Ma che ne diresti se in realta' tu volessi solo sfogare la tua aggressivita' primitiva? -E non sarebbe possibile che dietro ciascuna delle tue intenzioni, che presenti come buone e nobili, ci fosse al contempo un altro impulso brutale e bestiale? Non puo' essere che, in generale, nella nostra capacita' di compassione si celi una connivenza appena dissimulata con la crudelta'? Che non sappiamo provare amore, senza il segreto desiderio di possesso, appropriazione e sadico annientamento? Che non riusciamo a provare entusiasmo e stima, senza essere capaci contemporaneamente di disprezzare e di calpestare gli altri? Che non possiamo dire di si', senza insieme negarci, e che non siamo capaci di dare aiuto, senza una certa intima soddisfazione narcisistica? E ora, tirando le somme: come ci sentiremo se tutto cio' non fosse solo una speculazione ipotetica, ma rappresentasse regolarmente e senza fallo la realta'? -Un filantropo sarebbe alla disperazione!
         Gli umanisti e i moralisti di tutti i secoli hanno infatti invitato anche con molta enfasi a dichiarare guerra all''animale nell'uomo' per cacciarlo e reprimerlo ovunque si trovi. Gli ideali umani venivano chiamati in campo come bellicose potenze del cielo a vincere e a distruggere l''animale' nell'essere umano, come fa l'arcangelo Michele col diavolo o come, nei miti dei popoli, l'aquila con il serpente. Ma se identifichiamo il retaggio biologico animale presente nell'essere umano con il male metafisico, col diavolo, allora le distese del cielo degli alti ideali non saranno piu' popolate di spiriti soccorrevoli, ma di una schiera di arpie che si precipiteranno sull'uomo come su carne sacrificale che viene gettata loro in pasto. Se l'istinto, l'animalesco nell'uomo, come ha insegnato Immanuel Kant, e' davvero il "male radicale", ecco che tutti gli ideali etici e le potenze dello spirito non potranno che essere inesorabili, mortali antagoniste dell'essere umano, e la dissociazione assoluta dell'uomo e' la conseguenza diretta e ineliminabile di questa mentalita'. Accade senz'altro che molti, per timore della propria depravazione animalesca, si diano alla fuga rifugiandosi in ideali angelici; ma, diversamente da quanto succede nel vangelo, gli 'angeli', in questa circostanza, non si rivelano piu' come potenze servizievoli, ma si tramutano immediatamente in crudeli aguzzini. Per l'orrore di essere un animale, questi ideali costringono gli esseri umani a vivere come angeli e pretendono da loro che non si accettino prima di essere riusciti a soffocare la 'natura animale' che hanno in se'. In realta', cosi' facendo, sottopongono la psiche umana a un circolo vizioso che non ha fine. Una persona non puo' vivere con l'obbligo di essere un angelo e, per uccidere in se' l''animale', dovrebbe annientare contemporaneamente se stessa. La sua volonta' di vivere e' quindi cio' che cerca di scuotersi di dosso la tirannia degli 'angeli', per trovare rifugio nel tepore animalesco delle 'bestie'. Ma anche questo non le e' concesso. Ecco che la discesa nella parte animale le ripugna subito come qualcosa di indegno e di offensivo, e torna a desiderare di librarsi nelle pure altezze.
         E cosi', la persona continua a volteggiare in questo cerchio, perennemente rimbalzata fra la bestia e l'angelo, fra il disprezzo di se' e la pretesa della perfezione, ora mostro, poi puro spirito, sempre uno dei due, ma in realta' nessuno dei due. Se da' retta allo splendido isolamento dei suoi ideali, le sue pulsioni naturali le appaiono brute fiere volgari e, per pura angoscia nei confronti della minaccia che rappresentano, e' costretta a fuggire. Ma non appena si paralizzano quelle sue forze che aveva artificiosamente spinte in alto, la persona si abbandona un'altra volta alle potenze dell'inconscio e fa subito con autentica bramosia proprio quello che poco prima voleva assolutamente evitare. Ancora una volta i suoi ideali e i suoi principii le appaiono come odiosi spiriti vendicativi che la torturano con idee di punizione e di condanna e che non la lasciano in pace neppure nel regno degli 'animali'. In discordia con se stessa, una persona del genere abita inevitabilmente un mondo pieno di bestie feroci e di apocalittiche schiere di spiriti, ed e' ridotta a essere una palla nelle mani del suo Es e del suo Super-Io, impotente, in balia di se stessa e quasi morendo di paura, perpetuamente rimbalzata, come una pallina da ping-pong, fra i due estremi della sua psiche.
         Per uscire da questa oscillazione della dialettica psichica, c'e' bisogno di avere fiducia nella bonta' dell''animale', una fiducia che non trova giustificazione sul piano umano.
         Immediatamente prima che Gesu' fosse sospinto nel deserto, al momento del suo battesimo nel Giordano, stando alla testimonianza del vangelo di Marco, il cielo si apri', e lo Spirito di Dio scese su di lui mentre una voce diceva: "Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Mc 1,11). Anche queste parole vengono spiegate di solito rifacendosi alle profezie di Isaia (42,1; cfr. Ger 31,20; Sal 2,7) sulla 'messianita'' di Gesu', cosa anche questa perfettamente corretta dal punto di vista della storia delle religioni. Ma ancora una volta sembra che l'esperienza della 'figliolanza divina' possieda prima di ogni altra cosa un significato in se', che bisognerebbe comunicare psicologicamente. Quando, ad esempio, gli Egizi parlavano del faraone come del 'figlio di dio', lo chiamavano anche "colui che unisce i due paesi", e oggi sappiamo che non si riferivano a un potere politico esteriore, ma, a quanto pare, usavano questa formula come immagine archetipica. Una persona regale, un figlio del sole, era per gli Egizi qualcuno che aveva 'unito' in se' 'sopra' e 'sotto', spirito e istinto, conscio e inconscio, e che, essendo unito con se stesso, si insediava sul trono della propria vita come una creatura della luce, sovrana e libera come il vento. Spesso nel Nuovo Testamento l'idea del 'Figlio di Dio' o del 'Messia' trapassa nell'immagine del 'Figlio dell'uomo', e lo stesso Gesu' designa se stesso soltanto in questo modo. L'espressione 'Figlio dell'uomo' descrive l'essenza dell'uomo quale e' o dovrebbe essere, in ultima analisi, davanti a Dio. Ma allora non e' possibile pensare che per lo stesso Gesu' fosse di grande importanza sentirsi accettato da Dio proprio come un figlio, e come tale 'riconciliato' con Dio? E, partendo da qui, non si potrebbe anche pensare che proprio questa certezza di essere figlio di Dio abbia moltissimo a che fare con la possibilita' di Gesu' di essere 'riconciliato' anche con se stesso, e di realizzare la figura dell'uomo, del 'Figlio dell'uomo' in se stesso? Comunque, nel vangelo di Marco risulta essere una diretta conseguenza delle parole di Dio sul Giordano il fatto che Gesu' stia nel deserto "con le fiere", in forza del medesimo Spirito che gli aveva detto: "Tu sei il mio figlio prediletto", e che ora anche gli 'angeli' lo servano. Nella relazione con noi stessi, tutto dipende evidentemente da come ci rapportiamo col retaggio animale, quando lo scopriamo in noi stessi: se lo avvertiamo soltanto con lo sgomento della contraddizione morale, obbligandoci a rimuoverlo come qualcosa di disumano, o se impariamo ad accettarlo come qualcosa che Dio stesso ha creato e che quindi non puo' essere a priori falso o sbagliato.
         Anzi, per fare un esempio riprendendo quelle obiezioni che avevamo riferito poco fa, puo' benissimo essere che, ogni volta che ci impegniamo pubblicamente a favore della verita', ci portiamo dietro anche un po' di ambizione e di gusto esibizionistico, ma se Dio ha creato l'uomo in modo che egli e' ambizioso, non si puo' e non si deve davvero demonizzare l'ambizione che troviamo dentro di noi; quello che conta e' lo scopo per cui viene impiegata. Oppure, se ad ogni amore inerisce anche un qualche desiderio di possesso, non va bene separare dall'uomo questa tendenza; cio' che conta e' volere l'altro per se' in un modo che non sia divorante. Se, al contrario, si volesse distruggere l''animale' nell'uomo, egli resterebbe soltanto un mezzo animale, senza istinti, che non sa di vivere ed e' destinato necessariamente a perire per mancanza di energia e di sangue. Non solo: e' certo che un'operazione del genere riuscirebbe soltanto per un tempo limitato e presto o tardi riesploderebbero piu' violenti di prima gli istinti repressi.
         Il mistero del 'Figlio dell'uomo' e' percio', letteralmente, "stare con gli animali" (Mc 1,13) e accettare il retaggio animale che abbiamo in noi, nella fiducia che niente di quanto Dio ha creato puo' essere pericoloso o cattivo in se'. In effetti e' questo l'unico atteggiamento che consente di arrivare a se stessi in quanto esseri umani; infatti e' solo questo l'atteggiamento che ci offre la pazienza e la certezza di vivere in modo integrato con la parte 'animale' della psiche umana. Ed e' solo cosi' che e' possibile farsi portare senza angoscia dalle potenze primordiali della natura e provare infine persino gratitudine per la forza e la saggezza che sono riposte in esse. Ed e' soltanto in questo modo che sparisce quell'arroganza che ci obbliga a far nascere da noi un individuo piu' bello e piu' puro di quello che Dio ha creato, -in lotta contro se stesso e in perpetuo conflitto con la propria natura.
         Di fronte a un atteggiamento meno ansioso, meno orgoglioso, meno ostinato, quale e' quello di Gesu' nel 'deserto', le 'fiere' nell'uomo perdono la loro pericolosa ferocia. Tutto cio' che nell'uomo viene ingabbiato per angoscia, represso con violenza e perseguitato con disgusto e ribrezzo, aumenta e ingrossa necessariamente fino a raggiungere quella ferinita' che non e' addomesticabile e prevedibile e che giustifica un'estrema angoscia e un'estrema sfiducia verso se stessi, ma che puo' essere del tutto estranea agli istinti naturali. Non sono che gli istinti accumulati quelli che, come un fiume in piena, posso straripare travolgendo le dighe. Al contrario, senza angoscia e resistenza, essi possono essere servizievoli, come ci narra il mito greco di Arione, che un delfino prese sulla sua groppa, facendogli attraversare gli abissi del mare.
         Allo stesso modo in cui le 'fiere' depongono la loro ferocia indotta dall'ansia e si mostrano capaci di aiutare e di essere compagne dell'uomo, anche gli 'angeli' acquistano la loro caratteristica essenziale di 'spiriti buoni'. Anche gli 'angeli' possono e devono diventare alleati dell'essere umano, non tormentandone piu' l'Io con punizioni e ordini severi, ma mettendosi al suo fianco e aiutandolo a dare ordine alla sua vita con consigli e insegnamenti. La loro rigidita' terroristica scompare, quando il disgusto per la propria animalita' non gli conferisce piu' il potere eccessivo che assumono come istanze di fuga e spiriti vendicativi; e cosi', a loro volta, gli 'animali', non vengono piu' vissuti come divoranti e pericolosi non appena nell'uomo il puro mondo dello spirito non venga piu' contrapposto in modo rigido e assoluto alla 'natura animale'. I due mondi si condizionano reciprocamente. 'Angeli' e 'fiere' possono incontrarsi, se e' possibile accettare il lato animalesco invece di reprimerlo, e considerare la sfera 'angelica' come immagine protettiva del proprio essere e non come forma coercitiva. 'Angeli' e 'fiere' hanno una loro precisa funzione nello sviluppo del 'Figlio dell'uomo'.
         Realizzare questa unita' dei contrari, questa sintesi di spirito e istinto nell'uomo rappresenta senza dubbio l'abilita' piu' impegnativa di tutta la vita umana; ma finche' non si e' realizzata non e' neppure possibile agire in modo benefico verso l'esterno. E' dunque molto giusto che questa scena nel deserto sia messa all'inizio della vita pubblica di Gesu'. Le prime parole che Gesu' dira' piu' tardi, quando, concentrato in se stesso, ritorna dal deserto al mondo degli uomini, consistono coerentemente nell'appello a un cambiamento interiore nel senso di questa fiducia incondizionata che consente l'integrazione dell'anima, e accompagna queste parole anche con la promessa che gli viene dalla sua fede che Dio sta certamente e assolutamente dalla nostra parte. Sara' soltanto con una fiducia come quella che Gesu' stesso ha sperimentato in se stesso in questo periodo trascorso nel deserto, che ci sara' possibile smettere definitivamente di oscillare tra la 'fiera' e l''angelo'. Poiche' e' figlio di Dio, a ogni individuo basta essere soltanto figlio di un uomo. [.]


NOTA:
Per le notizie biografiche e bibliografiche su Eugen Drewermann, vedere nelle note agli altri scritti che riportano omelie del teologo tedesco:
15.12.2005: SOLSTIZIO D'INVERNO -BISOGNO DI LUCE
clicca qui
e
15.12.2006: ET INCARNATUS EST . OVVERO: UN INNO ALLA LIBERTA', ALL'AMORE E ALLA BELLEZZA
clicca qui
 
 
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