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A OGNI STAGIONE LA SUA POESIA . 11 NOVEMBRE: SAN MARTINO
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
1 novembre 2007 0:00
 
A ogni stagione la sua poesia. Ma non si potrebbe anche dire tranquillamente: a ogni istante la sua poesia? Perche', non ha forse ogni istante una sua propria originalita', una sua intensita', densita', una tensione particolare che e' gia' di per se' poesia? Poesia, s'intende, nel piu' ampio senso che questo termine puo' suggerire: dall'epico al riflessivo al nostalgico, dal giocoso e gioioso fino alla lamentazione o all'invettiva dettata magari dalla piu' sconsolata amarezza. E non importa se solo alcuni di questi istanti sono stati registrati materialmente solo da alcune persone che poi, in realta', sono davvero tante, quando si ponga mente alla vastita' della produzione poetica fino dai tempi piu' antichi e si tenga conto di quanta parte di essa sia andata perduta, o, per limitarci ai nostri giorni, sia rimasta e rimanga sepolta nel segreto di un cassetto. Perche', appunto, cio' che e' riuscito a rapprendersi in parole e' testimonianza di un evento, e, fra le tante cose che puo' esprimere, dice pur sempre alla persona, che quelle parole legge o ascolta, che anche a lei di certo e' capitato, sta capitando e capitera' qualcosa di particolare, e la invita a destarsi per prestare all'esistenza l'attenzione giusta e necessaria per poterla vivere in tutta la sua semplicita' e pienezza.
Mi piace collocare in questa prospettiva di testimonianza di un vivere attento alle piccole cose, che spesso ci affrettiamo a liquidare come noiose o banali, una poesia di Giosue' Carducci, che da moltissimi anni accompagna nella mia mente lo scandire dei primi giorni di novembre e mi invita a cogliere in essi, anche adesso che il loro clima e' sensibilmente cambiato, la singolarita' che li distingue. Si tratta di San Martino, e sono certa che i miei due lettori (non oso dire cinque perche' questo era il numero di lettori che sperava di avere Alessandro Manzoni per i suoi Promessi Sposi) la ri-conosceranno immediatamente, dato che per molto tempo e' stata fatta imparare sin dalla scuola elementare. Ma attenzione all'equazione che puo' scattare: elementare=semplicistico o, peggio, superficiale, perche' in tal caso si renderebbe grave ingiustizia a questa poesia oltre che alla stessa scuola elementare. Elementare, si', ma nel senso autentico del termine, cioe' basilare, che e' ben altra cosa. E infatti, a leggerla con attenzione, e magari trattenendoci dal rischio oggettivo di cadere nella cantilena con quel "piovigginando" del secondo verso, si vedra' che l'evento, di cui Carducci rende testimonianza con maestria, e' complesso perche' coinvolge diversi piani: la vastita' della natura e dei suoi elementi, ritratta nella prima strofa, l'opera umana che vi si inserisce con il borgo e il vino e gli effetti benefici di quest'ultimo, l'intimita' della casa in cui c'e' calore e cibo, e, infine, il ritorno alla vastita' della natura esterna (il cielo con le sue "rossastre nubi" e "gli stormi di uccelli neri"), questa volta collegata alla mente umana con i suoi "esuli pensieri" -notazione, quest'ultima, oggi molto interessante perche' l'accostamento cielo/mente e uccelli/pensieri e' il primo suggerimento dato a chi vuol cominciare la pratica della meditazione.
Un'ultima parola sul paesaggio che e' quello della costa toscana fra Bolgheri e Castagneto Marittimo (oggi: Castagneto Carducci), in cui il poeta trascorse l'infanzia e che resto' il suo "paesaggio dell'anima" tanto da ri-evocarlo in diverse poesie, di cui San Martino, scritta l'8 dicembre 1883, e' appunto un esempio. Un paesaggio che e' noto e caro anche a me, avendo avuto la fortuna di apprezzarlo in stagioni diverse dell'anno e della mia vita.
Ecco, dunque, tratta da "Le Rime Nuove" che Giosue' Carducci compose fra il 1861 e il 1887 (e nella grafia originale):


S A N M A R T I N O

La nebbia a gl'irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;

Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de' tini
Va l'aspro odor de i vini
L'animo a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar

Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar.


NOTE
Ho ripreso il testo dalla mia vecchissima Antologia carducciana, Zanichelli, Bologna (6.a edizione 1921).

Un'altra poesia di Giosue' Carducci, Pianto Antico, e' stata offerta alla lettura in queste noterelle il 1 giugno 2007
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Mi sembra giusto aggiungere qui una scoperta che ho fatto su Internet:
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Secondo due studiosi (Dante Isella e Arnaldo Di Benedetto), per la struttura e la metrica di questa poesia, e anche per alcune sue immagini, Carducci avrebbe preso ispirazione da due componimenti di Ippolito Nievo, autore che egli conosceva e apprezzava. Il confronto e' senz'altro interessante e l'ipotesi e' probabile. In tal caso, San Martino di Carducci sarebbe una doppia testimonianza di amore: verso quello che ho chiamato il suo "paesaggio dell'anima" e verso il poeta che ammirava. Oppure, se vogliamo, nei confronti di Nievo, una sorta di filiazione, dove somiglianza non significa fotocopia. E in effetti, basta leggere i componimenti dei due poeti per vedere la loro diversa "personalita'". Un'altra considerazione mi viene anche spontanea: a prescindere dal fatto che una persona trovi espressamente l'ispirazione del suo fare nell'opera di un'altra, e' evidente che niente si puo' dire o pensare che non sia gia' stato detto e pensato da qualcun altro, salvo, e' ovvio, in rari casi eccezionali. Ma cio' non toglie niente, secondo me, al fatto che si puo' essere tutti quanti originali nel momento in cui diamo onesta testimonianza del nostro vivere -ciascuna persona nel modo che piu' le e' proprio. A questo punto, anzi, le somiglianze che scopriamo possono diventare un motivo di gioia per l'esistenza di spiriti a noi piu' affini.

Giosue' Carducci nacque a Valdicastello (Pietrasanta) in Versilia il 27 luglio 1835 e mori' a Bologna nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 1907. Figlio di un medico, Michele Carducci, che era sospettato di appartenere alla Carboneria, trascorse l'infanzia in contrade allora remote della Maremma pisana (Bolgheri, Castagneto e Laiatico). Dopo che il padre fu trasferito a Firenze, nel 1849, Giosue' frequento' li' le scuole degli Scolopi e nel 1853 ottenne un posto gratuito alla Scuola Normale di Pisa dove si laureo' in lettere e filosofia nel 1856. Comincio' subito a insegnare nel Ginnasio di San Miniato al Tedesco, ma l'incarico non gli fu confermato perche' la sua condotta fu giudicata "immorale e irreligiosa". Nel 1858 torno' a Firenze dove insegno' privatamente e collaboro' con la casa editrice Barbera. Gli anni 1857 e 1858 furono anche anni di gravi lutti che segnarono profondamente il poeta; dapprima, in circostanze non chiare, mori' il fratello Dante e poi il padre, e cosi' Carducci si dovette fare carico del sostentamento della madre e del fratello minore Valfredo. Nel 1859 si sposo' con una cugina, Elvira Menicucci, dalla quale ebbe il figlio Dante (1867-1870), e le figlie Bice, Laura e Liberta'. Nel 1860 fu nominato docente al liceo di Pistoia, ma subito dopo ricevette dal ministro Terenzio Mariani la cattedra di "eloquenza (letteratura) italiana" all'universita' di Bologna, dove insegno' ininterrottamente fino al 1904, quando dovette abbandonare l'insegnamento per gravi motivi di salute. Nel 1906, quando era gia' vicino alla morte, ricevette, primo fra gli italiani, il Premio Nobel per la Letteratura. Nel corso della sua vita, Carducci si dedico' anche all'attivita' politica, ma senza grande successo. Nel 1890 era stato nominato senatore del Regno, e dal 1904 gli era stata assegnata una pensione vitalizia, mentre la regina Margherita aveva acquistato la casa del poeta e la sua biblioteca, lasciandogliene l'uso vita natural durante.
Per ulteriori informazioni anche sul pensiero e le opere di Giosue' Carducci:
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