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Preparandosi al dunque/1
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
12 luglio 2012 10:20
 
A chi piangeva per la morte di una persona cara, un saggio buddhista fece osservare che, volendo proprio piangere, sarebbe meglio piangere quando una persona nasce, perché è lì, proprio lì, che comincia il morire.
Ritengo da tempo molto valida questa osservazione, per lo meno da quando ho scoperto il mio morire. All’ingresso nei 50 anni –quindi un bel po’ di anni fa– mi colsi a considerare il fatto che … ero mortale. In realtà, il pensiero che mi colse come un lampo, fu questo: ho vissuto 49 anni; altrettanti non ne camperò. E poi, a mo’ di tuono, qualcosa borbottò ancora dentro di me: e neppure me lo auguro.
Quello fu un anno faticoso. Vennero al dunque tanti di quei nodi a livello fisico e psicologico che mi stupii di averne collezionati in numero così elevato (in fondo, oltre tutto, mi pareva, negli ultimi anni, di avere vissuto in modo abbastanza consapevole). Però, avendo la passione di rilegare i libri, sapevo per esperienza quanto sia facile che si formi un nodo, senza che ce ne accorgiamo. Il filo a doppio si torce su se stesso e, se non si sta attenti –ma attenti bene-, ecco pronto un bel nodo, tanto più rognoso quanto più sottile è il filo. E dalla stessa rilegatura ho imparato anche che, se i nodi non ci si mette a scioglierli completamente con una pazienza più che certosina, compromettono senza pietà tutto il lavoro. E nella vita le cose non funzionano diversamente. Lo so per certo.
E quindi, da allora, mi sono disposta a osservare i diversi nodi che mi si presentavano davanti, cercando di venirne a capo. E con buona grazia, perché questa cosa qui obtorto collo non si fa. Neppure per sogno.
Lì per lì, presa da un grande smarrimento, l’impresa mi sembrò tremendamente faticosa e anche sgradevole, un po’ come lavorare in un pozzo nero. Ma poi, lentamente, la cosa si chiarificò, anche grazie alle molteplici mani soccorrevoli che scoprii protese verso di me e il cui aiuto accettai con senso di riconoscenza. Mani soccorrevoli sotto forma di persone in carne e ossa che mi misero a disposizione la loro competenza e umanità, come un paio di medici della medicina che oggi si chiama complementare, ma anche sotto forma di incontri, alcuni dei quali potrei definire fortuiti, e poi, frasi colte sul treno o per strada, che sembravano proprio rivolte a me, e letture, come quella che proporrò fra poco.
All’inizio della presa di consapevolezza dei 50 anni, quella appunto del morire, in un certo senso, mi trovai, come accennato, fra l’incudine e il martello: non vivrò altrettanto a lungo, e anche: e neppure me lo auguro. Perché, a conti fatti, mi piacerebbe, uscire di scena se non proprio “in bellezza”, quanto meno con dignità. Ma non dipende da me, lo so perfettamente. Comunque, il punto è che, prima o poi, verrò al dunque, e anche a me, abbastanza vigliacca come sono, toccherà l’atto eroico di accogliere sorella Morte. E che succederà? Anche quando la cosa era ancora teorica, mi vedevo aperta a tutto (compreso, ovviamente, il nulla). Come si fa a sapere come stanno davvero le cose? Io per lo meno non lo so proprio, e quindi … sarà quel che sarà. Una cosa, però, si dice abbastanza sicura: che in punto di morte si sveli la verità sulla vita che è stata, e allora, se mi capitasse di vedere di avere sbagliato tutto – o quasi? Di non avere fatto che un milionesimo di quello che avrei potuto/dovuto fare? Penso che comunque, ci sia o non ci sia qualcosa dopo la morte, la disposizione ad accettare l’evidenza dei fatti faccia la differenza fra esalare l’ultimo respiro con angoscia o con serenità. Insomma, di fronte alla morte, si impone un atteggiamento di onestà, nient’altro che onestà. E proprio a questo proposito, ecco uno dei soccorsi, di cui ho parlato; si trova in quella autentica miniera di tesori che sono i Racconti dei Chassidim (raccolti da Martin Buber, Garzanti, Milano 1985, traduzione di Gabriella Bemporad). Si intitola Le risposte e lo condivido volentieri con chi vorrà leggerlo:

Rabbi Elimelech disse un giorno: "Sono sicuro di partecipare al mondo venturo. Quando sarò davanti al tribunale supremo e mi domanderanno: 'Hai studiato come è giusto?', io risponderò: 'no'. Poi domanderanno di nuovo: 'Hai pregato com'è giusto?', e io risponderò nuovamente: 'no'. poi domanderanno per la terza volta: 'Hai fatto il bene com'è giusto?, e anche questa volta non potrò rispondere altro che 'no'. Allora pronunceranno il giudizio: 'Tu dici la verità. Per amore della verità è giusto che tu partecipi al mondo venturo'".
 
 
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