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Da oggi l’umanita’ vive a credito
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Articolo di Redazione
2 agosto 2017 13:08
 
 La data e’ fatidica, e sempre piu’ precoce. Da oggi mercoledi’ 2 agosto, l’umanita’ vive a credito: essa ha consumato, e solo in sette mesi, tutte le risorse che la Terra puo’ produrre in un ano. Fino al 2017, per continuare a bere, mangiare, riscaldarsi o spostarsi, dobbiamo sovrasfruttare gli ecosistemi e compromettere la loro capacita’ di rigenerazione.
Questo “giorno di superamento della Terra” (Earth overshoot day) e’ calcolato ogni anno dal Global Footprint Network, un istituto internazionale di ricerche con base a Oakland (California), Grazie a piu’ di 3.000 dati delle Nazioni Unite, questo istituto compara l’impronta ecologica dell’uomo, che misura lo sfruttamento delle risorse naturali della Terra, con la biocapacita' del Pianeta, cioe’ la capacita’ di quest’ultimo di di ricostruire le sue riserve ed assorbire il gas ad effetto serra.
Secondo i calcoli, il consumo dell’umanita’ va oltre il 70% delle risorse disponibili. Cioe’ l’equivalente dell’1,7 del Pianeta e’ necessario per assolvere i bisogni degli umani.
Noi arriviamo a questo debito perche’ tagliamo alberi ad un ritmo superiore a quello della loro crescita, preleviamo piu’ pesci nel mare rispetto a quelli che nascono ogni anno, e espelliamo del carbone nell’atmosfera in quantita’ maggiore rispetto a quanto le foreste e gli oceani possano assorbirne. Le conseguenze di questo sovraconsumo si fanno gia’ sentire: deforestazione, declino della biodiversita’, penuria di acqua, acidificazione degli oceani, erosione dei suoli, accumulo di rifiuti o aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera, tutte cose che riguardano l’insieme del globo.

 Ancora in eccedenza nel 1961, con un quarto delle riserve non consumate, la Terra e’ diventata deficitaria agli inizi degli anni 1970. E il giorno del superamento e’ sempre piu’ precoce. Questa data cadeva il 5 novembre nel 1985, il 1 ottobre nel 1998, il 20 agosto nel 2009. Dall’inizio del decennio, tuttavia, l’accelerazione del calendario e’ meno rapida. Rimane il fatto che a questo ritmo, nel 2030 avremo bisogno di due Pianeti. In discussione la crescita demografica mondiale, ma soprattutto i modi di vita sempre piu’ esigenti in risorse e dipendenti dalle energie fossili (carbone, petrolio, gas).

 Comunque, tutti gli umani non sono responsabili nella medesima proporzione. Con il ritmo di vita americano o australiano, occorrerebbero pu’ di cinque Pianeti per vivere. I francesi ne avrebbero bisogno di tre, i cinesi di 2,1, molto al di sopra della frugalita’ indiana (0,6 pianeti). Rispetto alle risorse nazionali, il Giappone avrebbe bisogno di sette volte il suo Paese per soddisfare il proprio consumo attuale, l’Italia e il Regno Unito di quattro volte. Complessivamente, l’impronta ecologica dei Paesi sviluppati e’ cinque volte superiore rispetto a quella dei Paesi poveri.

 “Il nostro Pianeta e’ limitato, ma le possibilita’ umane non lo sono. Vivere secondo i mezzi che ci da’ il nostro Pianeta, e’ tecnologicamente possibile, finanziariamente benefico e la nostra unica possibilita’ per un prospero avvenire”, dice Mathis Wackernagel, presidente di Global Footprint Network. Se noi arriviamo a far regredire la data del giorno del sorpasso mondiale di 4,5 giorni ogni anno, calcola la ONG, ritroveremo l’equilibrio consumando le risorse di una sola Terra entro il 2030.
Indicatore imperfetto ma pertinente
Se ha il merito di sensibilizzare l’opinione pubblica, l’indicatore dell’impronta ecologica e’ criticato. Diversi studi scientifici hanno mostrato che esso semplifica la realta’ ed utilizza metodi di calcolo e dei dati talvolta incompleti. Non tiene per esempio conto della distruzione della biodiversita’ o dell’esaurimento del sottosuolo e non contabilizza direttamente il consumo di acqua.
“Come tutti gli indicatori che aggregano, soffre di alcuni limiti; e’ anche il caso del prodotto interno lordo -ricorda Dominique Bourg, filosofo ed insegnante all’Universita’ di Losanna. Questo non delegittima pero’ l’impronta ecologica: e’ uno strumento pedagogico che mostra delle tendenze, facendoci sapere che viviamo al di sopra dei nostri mezzi, e che puo’ guidare le persone verso il cambiamento”.
“Lo strumento e’ imperfetto ma resta pertinente. Esso tende a minimizzare la realta’”, conferma Aurélien Boutard, consulente e coautore dell’Impronta ecologica (La Découverte, 2009), Secondo lui, ha permesso di “prendere coscienza dei limiti planetari” e di generalizzare una forma di compatiblita’ attraverso l'impronta -carbone, acqua azoto o biodiversita’- che “imputa la responsabilita’dell’impatto ambientale al consumatore finale”. “Se si guardano le sole emissioni di gas ad effetto serra, per esempio, si puo’ avere l’impressione che i Paesi ricchi le hanno ridotte. In realta’, essi hanno dirottato una parte di queste verso i Paesi poveri”. L’impronta carbone della Francia e’ anche di circa il 40% superiore rispetto alle emissione di carbone”.
Ridurre le impronte carbone e alimentare
Come invertire la tendenza? Limitando le emissioni di gas ad effetto serra che rappresentano di per se’ solo il 60% dell’impronta ecologica mondiale. Per riuscire a contenere l’aumento delle temperature ben al disotto dei 2 gradi -obbiettivo previsto dall’accordo di Parigi sul clima di dicembre 2015- “l’umanita’ dovra’ superare le energie fossili entro il 2050”, ricorda Mathis Wackernagel.
“Il meccanismo e’ attendere un picco delle emissioni entro il 2030 -dice Pierre Cannet, responsabile del programma clima ed energia del Fondo Mondiale per la natura (WWF) Francia, uno dei partner dell’operazione. Questo punto di inflessione deve essere trovato per la produzione di elettricita’ ma ugualmente per il consumo di trasporti e l’insieme delle attivita’ industriali”. Le misure sono conosciute, sia che si tratti di mettere un limite e poi ridurre la produzione di centrali a carbone, di distribuire piu’ rapidamente le energie rinnovabili o di migliorare l’efficacia energetica. Ridurre le emissioni di carbone del 50% permetterebbe di riportare il giorno del sorpasso indietro di tre mesi.
Altra iniziativa: limitare l’impronta alimentare. “Per questo e’ indispensabile di fermare la deforestazione, di diminuire il nostro consumo di prodotti derivati da animali, di lottare contro lo spreco alimentare e di optare per dei modi di produzione piu’ durevoli, come il bio, l’agroecologia o la permacoltura”, dice Arnaud Gauffier, responsabile agricoltura e alimentazione del WWF.
Segnali incoraggianti
Il Global Footprint Network come il WWF notano dei segnali incoraggianti. L’impronta ecologica per abitante degli Usa e’ diminuita di circa il 20% tra il 2005 (il suo punto piu’ alto) e il 2013 (l’ultimo dato disponibile) grazie alla diminuzione delle emissioni di carbone, e questo malgrado la ripresa economica. Nello stesso tempo, la Cina, che ha la piu’ grossa impronta ecologica nazionale, sta sviluppando massicciamente le energie rinnovabili, tant’e’ che il suo consumo interno di carbone e’ in calo -malgrado la costruzione di nuove centrali.
In Francia, l’espansione dei terreni coltivati biologicamente (+17% nel 2016) e l’aumento del consumo di prodotti bio (+22% per le famiglie, a casa, in un anno) “costituiscono dei segnali positivi”, per Arnaud Gauffier, anche se “questi sforzi sono ancora troppo deboli”.
“Non ci sono dei Paesi che si presentano come un campione della rivoluzione dei modi di produzione, dice Pierre Cannet. Il rischio e’ che i Paesi in via di sviluppo vedano la loro impronta ecologica aumentare rapidamente e che questo aumento non sia compensato da un calo sufficiente della pressione dei Paesi sviluppati. Bisogna arrivare ad un equilibrio”. Per sperare di vivere di nuovo, un giorno, entro i limiti del nostro Pianeta.

(articolo di Audrey Garric, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 02/08/2017)
 
 
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