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LIBERTA' DI STAMPA , DI CRITICA E DI RIVALSA
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Comunicato 
20 luglio 2000 0:00
 


LA CONDANNA DI FERRARA E MARCENARO NON E' UN SEGNALE DI GIUSTIZIA, MA DI SOFFOCAMENTTO DELLA LIBERTA' DI STAMPA E DI OPINIONE.

Firenze, 20 Luglio 2000. Il giornalista di Panorama Andrea Marcenaro, e il suo direttore dell'epoca, Giuliano Ferrara, sono stati condannati rispettivamente a otto e sette mesi di prigione, oltre a versare temporaneamente 750 milioni in attesa che il giudice stabilisca l'entita' del risarcimento. Avrebbero diffamato l'ex procuratore della Repubblica di Palermo, Giancarlo Caselli, e altri 12 magistrati. L'articolo risale al 1997, e la condanna viene dal Tribunale di Milano.
Interviene il presidente dell'Aduc, Vincenzo Donvito.
Da oggi continuiamo ad essere tutti meno liberi. Continuiamo, perche' non e' una novita' che chi scrive, chi fa le vignette, chi parla, se non ha l'immunita' per qualche carica istituzionale, e' soggetto ad un ricatto continuo da parte dell'autorita' giudiziaria, sulla cui indipendenza ci sarebbe da scrivere romanzi e drammi.
Quello che e' successo a Marcenaro e Ferrara suona quasi come una minaccia, perche' si tratta di magistrati che hanno condannato per difendere altri magistrati.
Non avrebbero dovuto farlo? Dovrebbe esistere il diritto a diffamare, di chiunque contro chiunque altro? Ovviamente no, ma non crediamo che sia questo il modo di fare, per stile e per legge.
Non ci interessa sapere se Marcenaro abbia scritto delle terribili baggianate o illuminanti verita', con la complicita' del suo direttore Ferrara che gliele ha pubblicate, ma ci interessa difendere la liberta' di stampa e di opinione, anche quella piu' scomoda e quella da cui siamo piu' lontani.
Alla base di cio' che favorisce l'oppressione della liberta' di stampa e il servilismo giornalistico c'e' un metodo sbagliato: chi di penna ferisce e' chiamato a darne conto con tutto se stesso, patrimonio e lavoro incluso. Perche' non ci si limita ad una contesa con gli strumenti dei fatti e delle opinioni? Nei casi sentenziati come diffamazione -in assenza di conseguenze che siano scadute in storie riguardanti codice civile e penale- non sarebbe sufficiente una condanna che obbligasse l'editore a dare uguale spazio e rilievo alle ragioni del diffamato? Per i nostri codici questo non e' sufficiente, perche' la condanna e la pena non devono solo essere risarcitorie, ma anche educative e devono spaventare il condannato perche' non ci riprovi: una impostazione confessionale di uno Stato che, ponendosi in posizione di superiorita' rispetto al pensiero del suo amministrato, ha la pretesa di indicargli la retta via, e non solo di sanzionarlo quando viola le leggi.
In questa situazione legislativa, ovviamente, c'e' chi ci sguazza, invece di sentirsi imbarazzato. E non a caso dicevamo: stile! Perche' Giancarlo Caselli e gli altri magistrati si sono rivolti ai loro colleghi per avere giustizia? Forse se avessero chiesto al direttore di Panorama uguale spazio per contrastare cio' che loro ritenevano diffamante, Giuliano Ferrara non glielo avrebbe concesso? Crediamo che per Ferrara sarebbe stato come un invito a nozze, e altrettanto per i lettori del suo settimanale che, invece, allo stato dei fatti non vengono coinvolti dalle conseguenze di cio' che ha scritto Marcenaro, ma gli e' solo concesso di essere partigiani per simpatia.
Caselli e i suoi colleghi hanno creduto di dare un segnale perche' su di loro si dica sempre cio' che -sempre per loro- e' la verita'? Se e' questo che volevano, non ci sono riusciti, perche' la verita' non e' unica e indivisibile, ma dialettica. Ed e' proprio questa dialettica che a loro e' mancata, e ci hanno trasmesso solo segnali di soffocamento di liberta' di stampa e di opinione.
 
 
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