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Elogio della rivolta
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Editoriale di Vincenzo Donvito
22 dicembre 2010 7:45
 
Le rivolte sono diverse dalle rivoluzioni. Queste ultime hanno tanti riferimenti nella storia ma, sostanzialmente, oggi, nelle nostre societa' non ce ne sono, e la parola viene usata in modo esagerato rispetto al significato etimologico.
Ma le rivolte, invece, ci sono e frequenti.
Violente o meno, sono comunque espressione di uno stato d'ansia e di disagio percepito dai rivoltosi che, non trovando risposta e certezza nella politica, nell'economia e nella societa', riescono solo ad urlare il proprio disagio.
Le rivolte sono sempre generate da qualcosa di preciso, ma e' sostanzialmente una scusa per un disagio maggiore che ha solo “colto l'attimo”. L'esempio e' quello che accade in questi giorni con gli studenti. Il motivo per cui scendono in piazza e' la riforma Gelmini e, indipendentemente dalle valutazioni che si possono esprime sull'impossibile riforma del ministro della Pubblica Istruzione (non c'e' un centesimo... e quindi andrebbe riscritta a partire da questo semplice dato di fatto), non si puo' non scorgere negli slogan e nei discorsi che la questione e' piu' ampia: diciamo generazionale. Come sempre i giovani nei confronti degli adulti... dira' qualcuno... No, perche' negli anni passati questi giovani non hanno mostrato l'attuale determinazione e dopo le rituali occupazioni con gli amori che sbocciavano nelle aule dei licei, la cosa finiva li'. Cio' che oggi manca e' la ritualita': c'e' una rottura col passato e la presa d'atto di un futuro inesistente. Non e' un trend. Andare in strada con la consapevolezza che quasi sicuramente sarai menato da un poliziotto, pur non facendo parte di gruppi che usano la violenza distruttiva di tutti i simboli e provocano per far reagire le forze dell'ordine, non e' roba da sfogo temporaneo. Estremizzando: una volta si diceva degli eroi, sprezzanti del pericolo “o la morte o la vita”; considerato che siamo nel 2010 e non ci sono piu' Robin Hood e Pietro Micca, il paragone concettuale e' calzante.
Ecco la rivolta. La lasciamo gestire ai soliti, capaci di un ordine pubblico fatto solo di repressione? Dobbiamo far reiterare gli errori del passato, quando (l'esempio e' quello dei primi anni '70) alle rivolte lo Stato rispose solo con manganelli e il mantenimento/peggioramento di quello status quo che i rivoltosi contestavano? All'epoca il potere consegno' i piu' esasperati al cosiddetto partito armato e, a parte piccoli gruppi legati a forme non violente di lotta, assorbendo i molti nella macchina del regime: giornalisti e direttori di grandi giornali cartacei e televisivi, o dirigenti d'azienda o parlamentari del centro-destra e del centro-sinistra convinti di dare concretezza alla loro rivolta di un tempo... ma... PUM! Ecco che molti dei figli di queste persone sono oggi in piazza come rivoltosi.
E allora? Bisogna ascoltarli? Male non fa, ma e' altamente probabile che non serva a nulla. Sempre facendo l'esempio dei rivoltosi dei primi anni '70: il partito comunista, il partito socialista e la democrazia cristiana (partiti leader del regime dell'epoca), ognuno a modo proprio ascoltava i rivoltosi, ma non andarono oltre... e i figli dei rivoltosi sono oggi in piazza. Piu' che ascoltare, occorre che chi puo', e chi ha, dia. Se chi ha il potere e' solo in grado di assorbire e cooptare sudditi per la continuita' di un assetto di governo che crede funzionale, il mantenimento di questo potere attraverso la violenza istituzionale e fisica e' la sola possibilita' che ha. La questione e' tutt'altro che semplice e non si esaurisce in un elenco di cose buone contro un altro elenco di cose cattive. E' una tendenza, la manifestazione di una disponibilita' che deve essere creduta dai rivoltosi grazie a piccoli atti concreti e tangibili.
Faccio un esempio per restare all'universita': investimenti nella ricerca non solo da parte dello specifico ministero, ma di tutti i ministeri perche' la ricerca serve a tutta la societa' e, se ci sono progetti in corsa, arrivano anche quegli investitori stranieri che oggi sono praticamente assenti dal nostro non-mercato. E tutto il resto... ma non avevo scritto che mancano soldi per la riforma Gelmini? Si', mancano per le politiche dello specifico ministero, ma non mancano a tutti i ministeri, che' spostino l'asse della loro attenzione dalla gestione dell'esistente ad un'organizzazione del futuro in cui la ricerca sia il punto di partenza. Investimenti come segnale per chi vuole approfondire e dare il proprio contributo al miglioramento della vita; lo potra' fare senza andare in Usa, in Canada, in Francia, in Spagna, in Germania o in Gran Bretagna, anche se ci dovra' necessariamente andare un domani per lo scambio delle proprie ricerche e conoscenze.
L'elogio della rivolta serve a capire lo stato di insofferenza del rivoltoso, perche' tutti ci si faccia parte delle sue aspettative e speranze, dando, ognuno coi propri mezzi e possibilita', segnali di certezza.
 
 
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