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L’abuso della matematica-statistica in finanza
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Articolo di Alessandro Pedone
4 giugno 2024 9:58
 
“La scienza è credere 
nell’ignoranza degli esperti” 
Richard Feynman, 
in "What is Science?" (1966)
“La legge fondamentale degli 
investimenti è l’incertezza del futuro”
Peter L. Bernstein in 
"Against the Gods” (1996)
“Il rischio viene dal non 
sapere quello che stai facendo”
Warren Buffett nella lettera agli 
azionisti di Berkshire Hathaway, 1992


Giovedì scorso ho fatto una lunga e divertente intervista con Mr. Rip, un simpatico e preparato youtuber italo-svizzero che si occupa, tra altri temi, di finanza personale. Mr. Rip propone tesi molto radicate nella cosiddetta efficient market hypothesis, da cui deriva giustamente la tesi dell’investimento passivo attraverso ETF. Oltre due ore di chiacchiere a ruota libera!
Per chi è abbastanza "malato" di finanza il video - non ancora editato e in versione delistata - è disponibile su YouTube (ma consiglio di consultare prima il proprio medico di fiducia... ????). Tra un paio di settimane verrà messa online la versione editata (senza sigla di attesa iniziale e altre cose del genere).
 Pur essendo un super appassionato di questi temi, mi ha stupito la numerosa partecipazione (svariate centinaia di persone) a una diretta di due ore su argomenti così specifici e solitamente considerati noiosi. Abbiamo approfondito la questione dell'ipotesi dei mercati efficienti, scoprendo che le nostre rispettive posizioni, inizialmente in contrasto, sono in realtà abbastanza vicine. Tuttavia, su un altro aspetto siamo ancora molto distanti: quello che io definisco un "abuso" della matematica-statistica in finanza. Mr. Rip è rimasto molto perplesso, come anche alcuni consulenti finanziari che mi hanno scritto nei commenti a un post su LinkedIn dove parlavo di questo tema. Li comprendo perfettamente perché io stesso ho impiegato anni di studio per maturare questa posizione. Avevo investito molto, anche emotivamente, nell’idea di saper costruire portafogli d’investimento “ottimizzati” attraverso processi matematico-statistici apparentemente molto “scientifici”. Grazie alla mia formazione informatica, mi era anche particolarmente facile costruire complessi fogli di calcolo o software che utilizzassero queste formule. L’idea che fossero fondamentalmente sbagliati, all'inizio, mi è sembrata del tutto inaccettabile. Neppure da poter prendere seriamente in considerazione. “L’alternativa, poi, quale sarebbe? Andare a casaccio?” Per quanto le teorie che avevo studiato per anni potessero avere dei limiti, si poteva sempre cercare di migliorarle (negli anni sono state tentate tante strade in tal senso da numerosi accademici). In ogni caso - mi dicevo - anche se imperfette, erano pur sempre il meglio che l’accademia proponeva!

La grande crisi finanziaria del 2008 è stato l’evento che mi ha dato lo scossone psicologico necessario per rivedere dalle fondamenta le idee alla base della matematica finanziaria. La scoperta che Bruno de Finetti avesse scoperto prima di Markowitz la formula per l’ottimizzazione dei portafogli e l’avesse abbandonata ritenendola inutile, è stata scioccante. Se un genio come lui aveva prima teorizzato e poi scartato la formula, ci doveva essere qualcosa di enorme che avevo completamente ignorato. Ho iniziato quindi a scavare all’origine stessa del concetto di probabilità e ho scoperto che ci sono interpretazioni anche molto diverse (probabilità frequentista, bayesiana, soggettiva, assiomatica, solo per citarne alcune). Ho scoperto che mediamente i matematici ed in particolare gli statistici puri sono profondamente critici - per usare un eufemismo - nei confronti dell’uso che viene fatto in finanza della matematica statistica. Sono gli economisti, in genere, che amano utilizzare formule matematiche per dare credibilità alle proprie tesi, ma i matematici sono - come minimo - assai perplessi verso questo utilizzo.

Fu quando iniziai ad approfondire la Teoria delle Decisioni (1), circa dieci anni fa, che mi formai la convinzione che non si poteva semplicemente “migliorare” l’approccio della finanza tradizionale (la cosiddetta “Moderna Teoria di Portafoglio”), perché era la direzione stessa ad essere completamente sbagliata. Perfezionare qualcosa che va nella direzione sbagliata, non la fa diventare migliore, ma piuttosto perfeziona l’errore!

Cosa intendiamo per “abuso”?
È chiaro ed evidente che per prendere decisioni finanziarie la matematica e la statistica sono utili e necessarie, ma trasformarle nello strumento principale, in alcuni casi quasi esclusivo, attraverso il quale scaturiscono le scelte, costituisce un abuso dello strumento, non un sano utilizzo. La statistica, in finanza, dovrebbe avere lo stesso ruolo che ha lo studio della storia nelle decisioni politiche. Purtroppo, la storia è utilizzata troppo poco per orientare le scelte politiche e la statistica è abusata in finanza. Permettetemi di utilizzare un’iperbole ai soli fini retorici: a nessuno - si spera - verrebbe in mente di fare una media dei risultati delle guerre passate per valutare se far entrare o meno in guerra una nazione, vero? Giustamente ci sembra assurdo anche solo il paragone. Questo perché tutti comprendono che i fatti storici scaturiscono da specificità che non potranno mai ripetersi nelle stesse modalità. Sappiamo che la storia non si ripete, sebbene - come si usa dire - faccia “la rima”. In misura ovviamente meno accentuata, lo stesso vale per i mercati finanziari. Il rendimento medio passato, la volatilità passata, la correlazione fra asset possono essere grossolani indicatori di massima. Vanno presi come informazioni qualitative, non quantitative. Non ha alcun senso inserire quei parametri statistici in formule matematiche per calcolare valori da utilizzare nelle scelte su investimenti futuri. Fare questo rappresenta un abuso della matematica-statistica ed è sbagliato per tre ordini di ragioni:
- È teoricamente infondato.
- Tende ad essere gravemente fuorviante e a fornire una rappresentazione molto diversa rispetto a ciò che i numeri realmente dicono.
- Focalizza l’attenzione dell’investitore nella direzione sbagliata.

Teoricamente infondato
Nel 2019, al termine dei miei studi durati circa 10 anni sulla Teoria delle Decisioni, ho avuto il piacere di confrontarmi con il prof. Bruno Chiandotto su questi temi e ho pubblicato un articolo più strutturato che spiega in modo abbastanza rigoroso, sebbene sempre con finalità divulgative, le ragioni per cui l’uso di euristiche ben studiate in finanza sia più efficace rispetto alle formule matematico-statistiche. Consiglio caldamente chi fosse seriamente interessato a comprendere le ragioni teoriche per cui non ha senso usare la statistica come oggi viene utilizzata in finanza di leggere questo articolo, al quale sono particolarmente affezionato: “Decisioni, probabilità e investimenti finanziari”.

Volendo sintetizzare, se si desidera che il risultato sia sensato e utilizzabile, non si può pensare di applicare la statistica a qualunque insieme di numeri. La saggezza popolare ci dice che non si possono “mettere insieme le mele con le pere”, ma è quello che in finanza facciamo regolarmente. I mercati finanziari sono un fenomeno sociale, non fisico. I prezzi di oggi non rappresentano lo stesso fenomeno dei prezzi di venti anni fa, che non erano i prezzi di cinquanta anni fa, ecc. La finanza prima dei computer - quella delle telescriventi - non era minimamente lo stesso fenomeno della finanza degli anni ‘90. La finanza dell’era di internet è ancora un’altra finanza. La prossima finanza, quella dell’era dell’intelligenza artificiale, sarà ancora diversa. E ho analizzato uno solo dei tanti fattori, quello tecnologico, che costituisce l’ambiente finanziario. Ci sono poi gli aspetti regolamentari, macroeconomici, sociali, ecc. Pensare che tutto si sintetizzi nel prezzo significa abusare della statistica. I prezzi si muovono per una serie di ragioni, la maggioranza delle quali non solo non sono statisticamente identificabili, ma ci sono del tutto ignote! La finanza è un ambito incerto, non rischioso! Come ho già scritto, questo non significa che i dati statistici siano inutili, significa solo che devono essere utilizzati in modo qualitativo, non quantitativo. Un uso quantitativo rappresenta un abuso, non un utilizzo saggio.

Fuorviante
Anche volendo ignorare il problema teorico, la psicologia degli esseri umani tende a fornire un’interpretazione dei valori statistici errata. Un po’ per ignoranza, un po’ perché gli esseri umani non hanno un cervello adatto a fare calcoli, il fatto è che usare elaborazioni statistiche come parametro principale di scelta può portare a trarre conclusioni fortemente errate. Il problema della non ergodicità dei mercati finanziari è un esempio eclatante di quanto la statistica possa portare a conclusioni clamorosamente errate.

L’articolo scientifico più letto nel 2019 della prestigiosa rivista Nature Physics è stato “The ergodicity problem in economics” a firma del matematico inglese Ole Peters. Dopo quell’articolo si è formato un movimento culturale per un’economia ergodica. Sono processi che richiedono svariati decenni prima che questi concetti diventino di dominio pubblico e si traducano in cambiamenti dell’operatività diffusa, ma questo non impedisce a ciascuno che ne venga a conoscenza di poterli far propri, prima che lo faccia la società nel suo complesso. Ovviamente è più facile seguire il gregge, ciascuno può scegliere in base alle proprie propensioni personali.

Per spiegare il problema della non ergodicità in finanza in modo estremamente semplice, ho creato un foglio di calcolo accessibile a tutti per calcolare una ipotetica proposta d’investimento apparentemente meravigliosa. Immaginate che, attraverso qualche diavoleria finanziaria, io vi proponga di investire giornalmente in uno strumento che abbia esattamente il 50% di probabilità di guadagnare e il 50% di probabilità di perdere, ma le volte che guadagnate, guadagnate il 60% del capitale investito, mentre quando perdete, perdete solo il 40%. Immaginate che non ci sia nessun trucco: è tutto vero! Il valore atteso di questo investimento è il 10% medio giornaliero! Ovviamente non può esistere nessun investimento del genere, ma ipotizziamo che esista. Se proponessi - senza che ci possa essere alcun sospetto sulla disonestà del meccanismo - a ciascuno dei lettori di questo articolo di investire 10 euro in una “scommessa” del genere, è ragionevole pensare che oltre il 90% dei lettori accetterebbe.

Ebbene, purtroppo, la quasi totalità dei partecipanti perderebbe i 10 euro! Questo accadrebbe non perché non sia vero che il rendimento medio di quell’investimento è il 10% medio giornaliero, ma perché questo dato statistico non ha alcun significato in quel contesto! Rappresenta una statistica totalmente fuorviante! Nessun investitore incassa la media. In questo caso, quale sia il rendimento medio (cioè tra le varie ipotetiche serie di investimenti giornalieri) non fornisce alcuna rappresentazione utile di ciò che realmente accade all’interno della specifica e reale successione di investimenti giornalieri! Attraverso un gioco del genere, un investitore tra centinaia trasformerà 10 euro in svariate centinaia di milioni, ma oltre il 95% di coloro che partecipano perderanno tutto. La media, quindi, rimane elevatissima e super-allettante, ma semplicemente esprime un dato che non è minimamente significativo, né per la maggioranza delle persone che partecipano perdendo tutto, né per quei pochissimi fortunati che ottengono rendimenti incommensurabilmente superiori a quelli espressi dalla media.

Per verificare questa realtà matematica che può sembrare impossibile a chi è abituato a credere acriticamente al concetto di valore atteso, ho sviluppato un semplice foglio di calcolo accessibile in sola lettura a tutti (ciascuno può fare una propria copia per giocarci e fare tutte le simulazioni che vuole). Il foglio è composto da due sezioni. La prima simula una sola serie con 100 “investimenti” giornalieri e serve per farsi un’idea della variabilità dei risultati con pochi giorni di “investimento”. Creando una propria copia del foglio (andando nel menu “file”) si possono modificare sia la percentuale di volte che si vince, sia quanto si guadagna o perde. Nella seconda sezione, invece, si simulano contemporaneamente cento serie, ciascuna con una successione di mille “investimenti” giornalieri. Ogni volta che si modifica un numero o si spunta la check-box nella casella “A1” del foglio vengono ricalcolate tutte le probabilità (ci mette un po’ di tempo perché sono decine di migliaia di formule).
Di seguito si può vedere una schermata con una simulazione per cento casi.
 Se è vero che mediamente l’investimento ipotizzato moltiplica 10 euro per oltre settecentomila volte (sigh!), questa media non ci dice assolutamente niente di significativo. È solo uno specchietto per le allodole! È un dato statistico totalmente fuorviante che serve solo a prendere una cantonata perché 95 casi su 100 perdono tutti i soldi.

L’esercizio riecheggia un famoso (in matematica) problema, passato alla storia come “paradosso di San Pietroburgo”, proposto dal matematico Bernoulli nel ‘700 per contestare il concetto di “valore atteso” (termine che si utilizza più in economia, in matematica si tende a chiamarlo “speranza matematica”... anche dai termini si comprende che l’economia è una scienza più “politica”, mentre la matematica è più aderente alla cruda realtà). Nei tempi più recenti, Morgenstern e Von Neumann riprendono questo problema e trovano una “soluzione” al paradosso di San Pietroburgo attraverso il concetto di “funzione di utilità”. La funzione di utilità è uno degli “attrezzi matematici” indispensabili per poter realizzare i portafogli finanziari cosiddetti “ottimali”, ma secondo Ole Peters è la strada sbagliata. Non è un problema di preferenze personali (cioè della propria “funzione di utilità”), è la natura stessa del processo, il quale, non essendo ergodico, genera questa distorsione.

Focalizzazione sbagliata
Il problema più grave dell’abuso della matematica-statistica in finanza è il fatto che spinge l’investitore a focalizzare la propria attenzione nella direzione per lui meno utile. L’abuso della matematica-statistica in finanza spinge gli investitori a ritenere che gli investimenti finanziari siano un problema di ottimizzazione mentre semplicemente non può essere così. Vediamo di scavare un po’ più in profondità in questa questione attraverso il pensiero di Herbert Simon (1916-2001), un economista, scienziato politico, psicologo e pioniere nel campo dell'intelligenza artificiale. Ha vinto il Premio Nobel per l'Economia nel 1978 per le sue ricerche sul processo decisionale all'interno delle organizzazioni economiche. Simon ha contribuito in modo significativo a molte discipline, tra cui la teoria dell'organizzazione, la psicologia cognitiva, l'informatica e la filosofia della scienza. È noto per aver introdotto concetti fondamentali come la "razionalità limitata" e per il suo lavoro pionieristico sulla modellazione dei processi decisionali umani.

"The Sciences of the Artificial" è una delle sue opere più influenti nella quale esplora la natura dei sistemi progettati dall'uomo e come questi differiscono dai fenomeni naturali studiati nelle scienze naturali. Il termine "artificiale" si riferisce a tutto ciò che è stato creato dall'uomo per uno scopo specifico, inclusi dispositivi tecnici, organizzazioni e programmi informatici. I mercati finanziari, chiaramente, sono un calzante esempio di sistema artificiale. In questa opera introduce la distinzione tra problemi ben strutturati e problemi mal strutturati.

I problemi ben strutturati sono quelli che possono essere definiti chiaramente in termini di obiettivi, vincoli e soluzioni possibili. Hanno una formulazione chiara e precisa, con un insieme di regole e procedure ben definite per arrivare alla soluzione. Gli esempi tipici includono problemi matematici, puzzle logici e molti problemi ingegneristici. Questi problemi possono essere risolti utilizzando algoritmi specifici o metodi standardizzati. Il percorso verso la soluzione è ben definito e può essere seguito sistematicamente.

I problemi mal strutturati sono quelli che non possono essere definiti facilmente e mancano di una struttura chiara. Hanno obiettivi vaghi, vincoli non chiaramente definiti e soluzioni che sono spesso soggette a interpretazione. Questi problemi non hanno una procedura standard per essere risolti e richiedono creatività e giudizio umano. Questi problemi non possono essere risolti con algoritmi standardizzati e spesso richiedono un approccio iterativo e esplorativo. La soluzione può essere soggettiva e dipendere dal contesto e dalle preferenze degli stakeholder coinvolti.

Simon sottolinea che molti problemi del mondo reale sono mal strutturati. Per affrontare questo genere di problemi è necessario un approccio che integri sia la razionalità formale che la creatività. Utilizzo di regole empiriche o "regole del pollice" per guidare la ricerca di soluzioni. Un processo di tentativi ed errori dove le soluzioni vengono continuamente riviste e migliorate. Comprendere e utilizzare modelli mentali per rappresentare e esplorare problemi complessi.

L’abuso della matematica-statistica in finanza porta a ridurre il problema della costruzione di portafogli finanziari nell’ottenere un indice di Sharpe più alto possibile, quando non è quello che realmente interessa all’investitore. Può darsi che un cosiddetto esperto del settore lo spinga a credere che il suo obiettivo sia quello di massimizzare il rendimento in rapporto all’oscillazione del valore del portafoglio, ma quella non è la realtà! In oltre vent’anni di professione non ho mai sentito un mio cliente dire a sua moglie: “Cara, possiamo stare sereni perché i nostri investimenti hanno un elevato indice di Sharpe”. Ciò che gli investitori desiderano dai propri investimenti è qualcosa di non definibile con un numero. Cercano serenità, aumentare le opzioni di scelta, gratificazioni. È ovvio che l’aspettativa sia che il capitale cresca! È ovvio che si desidera che oscilli il meno possibile! Ma non è una questione di numeri, è una questione di bilanciamento psicologico tra rimpianti e rimorsi, paura e avidità. Le scelte finanziarie non sono principalmente una questione di numeri, ma di psicologia. Nei termini cari a Simon, sono chiaramente problemi non strutturati. Le formule matematiche possono aiutare tanto quanto un cucchiaio, da solo, possa aiutare a mangiare un piatto di spaghetti. Serve prima di tutto la forchetta, cioè affrontare gli aspetti psicologici e gli obiettivi di vita collegati ad esigenze finanziarie. Personalmente amo mangiare gli spaghetti ovviamente con la forchetta, ma anche con il cucchiaio facendoci ruotare la forchetta sopra, invece che sul piatto. Molti si accontentano della forchetta. Il problema, in finanza, non è se usiamo il cucchiaio insieme alla forchetta, il problema è che mangiamo gli spaghetti solo con il cucchiaio. Non ci dovrebbe stupire se la maggioranza fa un gran pasticcio!


Note / Riferimenti bibliografici
1 - Per chi volesse approfondire il tema della Teoria delle Decisioni ecco un elenco degli autori che per me sono stati più significati, ovviamente non ha la pretesa di essere completo o in nessun senso esaustivo, sono solo autori che ha me hanno particolarmente influenzato.

John von Neumann e Oskar Morgenstern,  "Theory of Games and Economic Behavior" (1944) - Fondatori della teoria dei giochi, che è una parte fondamentale della Teoria delle Decisioni. Hanno sviluppato il concetto di utilità e le basi matematiche per l'analisi delle strategie di decisione in contesti competitivi.

Herbert A. Simon,  "Administrative Behavior" (1947) e "The Sciences of the Artificial" (1969). Introdusse il concetto di "razionalità limitata" e sviluppò modelli per il processo decisionale che tengono conto delle limitazioni cognitive degli individui.

Bruno de Finetti, “Theory of Probability" (1974) Sviluppò la teoria della decisione soggettiva e la nozione di utilità attesa soggettiva, che ha influenzato profondamente l'approccio alla decisione in condizioni di incertezza.

Daniel Kahneman e Amos Tversky  "Prospect Theory: An Analysis of Decision under Risk" (1979), "Thinking, Fast and Slow" (2011) di Kahneman.  Fondatori della teoria del prospetto (Prospect Theory), che descrive come le persone effettivamente prendono decisioni sotto rischio, sfidando il modello di utilità attesa. Hanno introdotto concetti come l'avversione alla perdita e l'effetto di framing.

Kenneth Arrow  "Social Choice and Individual Values" (1951) - Introdusse il teorema di impossibilità di Arrow, che dimostra le difficoltà di aggregare preferenze individuali in una decisione collettiva coerente.

James March "A Behavioral Theory of the Firm" (1963, con Richard Cyert) -  Ha esplorato il comportamento decisionale nelle organizzazioni, mettendo in luce i processi di decisione non razionali e le dinamiche politiche interne.

Frank Knight  "Risk, Uncertainty, and Profit" (1921) - Distinse tra rischio (quantificabile) e incertezza (non quantificabile), influenzando la comprensione delle decisioni economiche in condizioni di incertezza.

Gerd Gigerenzer "Simple Heuristics That Make Us Smart" (1999, con altri autori) - Ha studiato le euristiche e il processo decisionale intuitivo, sostenendo che le decisioni possono essere razionali anche senza l'uso di processi statistici complessi.
 
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