Pur con tutte le sue lentezze e difficoltà, l’Unione europea è da sempre impegnata a garantire ai propri cittadini un’alimentazione il più possibile sana e sicura. Per questo motivo, nel corso degli anni, ha adottato alcuni tra i più efficienti e rigorosi standard di produzione alimentare al mondo. Tuttavia, l’efficacia di tali standard rischia di essere compromessa quando i prodotti che importiamo da paesi terzi non sono tenuti, a loro volta, a rispettarli. Ed è qui che entrano in gioco le clausole specchio. Ma andiamo con ordine.
L’Unione europea di regola non tollera l’importazione di prodotti alimentari da paesi extra UE che non rispettino gli stessi standard rigorosi previsti per i paesi membri. Esistono infatti delle regole ben precise che disciplinano l’importazione di alimenti in Europa volte a tutelare la salute dei cittadini e garantire la qualità dei prodotti.
Esistono, però, alcune eccezioni a queste regole. Ad esempio, l’UE può importare prodotti alimentari che non soddisfano pienamente i suoi stessi standard se:
- Non esiste un prodotto equivalente disponibile in Ue.
- L’importazione è necessaria per motivi di sicurezza alimentare (scarsa disponibilità) o per motivi umanitari.
- L’importazione è consentita da una specifica deroga.
La dipendenza dell’UE, e in particolare dell’Italia, dalle importazioni alimentari da paesi extra UE deriva da un insieme di fattori complessi e interconnessi, tra cui fattori storici, come ad esempio la riduzione della superficie agricola dovuta alla crescente urbanizzazione; ma anche e soprattutto da fattori economici, spesso infatti importiamo prodotti agroalimentari da paesi in cui manodopera e costi di produzione sono nettamente più bassi, il che li rende più competitivi sul prezzo rispetto a quelli prodotti in Europa.
Cosa sono e a cosa servono le clausole specchio?
Le clausole specchio, dette anche clausole di reciprocità o clausole mimando, sono disposizioni contrattuali che impongono ad una o entrambe le parti di un accordo di adeguarsi agli standard normativi e alle pratiche dell’altra parte. In altre parole, creano un “riflesso” degli obblighi, garantendo che entrambe le parti si conformino a regole equivalenti.
Le clausole specchio si pongono quindi come presidio a tutela del principio di reciprocità, garantendo che i prodotti agricoli importati da Paesi extra-UE soddisfino gli stessi requisiti ambientali, sanitari, di benessere animale e fitosanitari, nonché gli standard di produzione validi in Europa.
Ecco, quindi, a cosa servono le clausole specchio: servono ad esigere, nei trattati commerciali stipulati con paesi terzi, che i prodotti che l’UE acquista abbiano le medesime caratteristiche dei prodotti che l’UE produce.
Un ruolo trasversale
L’introduzione di clausole specchio (negli accordi commerciali con i paesi terzi) potrebbe essere quindi una risposta concreta a diverse sfide cruciali.
A livello europeo potrebbe assicurare una concorrenza leale tra produttori europei ed extraeuropei, oltre a supportare il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Green Deal.
Nei Paesi terzi che commerciano con l’UE potrebbe ridurre l’impatto delle pratiche agricole non sostenibili e contribuire ad ampliare e migliorare gli standard produttivi in essere.
Su scala globale promuove l’adozione di standard internazionali più ambiziosi, inderogabili e perentori.
Il caso studio
Per evidenziare le profonde differenze qualitative e per dimostrare le enormi discrepanze normative tra alcuni prodotti europei e quelli extraeuropei, Slow Food Italia, in collaborazione con Slow Food Germania, ha condotto un caso studio di natura comparativa su tre filiere produttive: quella della carne bovina, quella della soia e quella del riso.
Vediamo più nel dettaglio quanto emerso dall’analisi della filiera della carne bovina.
Carne bovina
L’Italia è il terzo maggior produttore europeo di carne bovina, con le sue 750mila tonnellate prodotte ogni anno, e ha davanti a sè solo Francia e Germania. Nonostante questo dato apparentemente rassicurante, l’Italia è anche il primo paese europeo per importazioni di carne bovina dal Brasile.
Un paradosso che emerge con ancora maggiore evidenza se si considera che una rinomata Igp italiana, la bresaola della Valtellina, viene spesso prodotta utilizzando carni brasiliane derivanti da una sottospecie bovina tropicale, lo zebù.
Guardiamo ora da vicino le significative differenze tra la regolamentazione europea e quella brasiliana in termini di tracciabilità, alimentazione e uso di antibiotici.
Tracciabilità
In Europa la tracciabilità gli animali dalla nascita fino alla macellazione (pur non riguardando i preparati a base di carne) è d’obbligo. Tuttavia, per i prodotti animali importati da Paesi terzi, la tracciabilità è limitata alle sole fasi di ingrasso e finitura.
Il Brasile è proprio uno dei paesi sprovvisti di vincoli rigorosi sulla tracciabilità, il che rende impossibile determinare con precisione l’origine della carne acquistata. Tutto quello che possiamo sapere è che l’animale ha trascorso l’ultima fase della sua vita in Brasile.
Alimentazione
In Europa, il
Regolamento n. 999/2001, recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili (BSE), preclude la somministrazione ai ruminanti di tutte le proteine di origine animale.
Tuttavia, per quanto riguarda le carni importate lo stesso divieto si applica solo a quelle di bovini provenienti da regioni o paesi a rischio conclamato.
Diversamente, per i bovini provenienti da paesi con rischio trascurabile o controllato di BSE (ovvero la maggior parte dei partner commerciali dell’Europa) il certificato sanitario per l’importazione in Europa non è tenuto a menzionare l’obbligo di non somministrare farine di origine animale. È giusto però precisare che in linea di massima le normative dei Paesi extra-Ue in materia di alimentazione animale non sono tanto meno rigorose di quelle previste nell’Unione.
Antibiotici
In Europa importazione di carne bovina trattata con ormoni è vietata già dal 1996, mentre l’uso di antibiotici come promotori della crescita è proibito dal 2006. Tuttavia, l’applicazione di una normativa speculare è ancora in fase di attuazione, con un primo regolamento specifico in arrivo solo nel marzo 2026.
In Brasile, invece, l’uso di antibiotici è permesso a scopo terapeutico, profilattico e metafilattico. Negli ultimi anni, sono state introdotte alcune normative per limitare l’impiego di antibiotici critici come promotori della crescita, ma molte molecole rimangono ancora in uso.
Le differenze tra Europa e Brasile sono evidenti anche nei limiti massimi di residui (LMR) di antibiotici e altri farmaci nella carne. In Europa, questi limiti sono stabiliti in modo rigoroso dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA). Al contrario, i limiti massimi nei paesi extra-UE possono essere significativamente più alti. Ad esempio, l’LMR per la monensina nel muscolo bovino è di 2 µg/kg in Europa, mentre sale a 5 µg/kg per la carne proveniente dal Canada e addirittura a 10 µg/kg per le importazioni dal Brasile.
Disparità simili si osservano anche per altri prodotti veterinari, pesticidi e antiparassitari. La lista delle sostanze autorizzate in Europa è spesso più restrittiva rispetto a quella di altri paesi, con differenze quantitative e qualitative.
Conclusioni
Le disparità normative tra l’Unione europea e i Paesi terzi nella produzione alimentare sono evidenti e significative. La mancata adozione di clausole specchio pone i prodotti europei in una posizione svantaggiata, compromettendo non solo la concorrenza leale, ma anche gli elevati standard di sicurezza e sostenibilità che l’Europa ha faticosamente costruito. L’introduzione di queste clausole nei trattati commerciali non è solo una questione di equità, ma di coerenza con i principi del Green Deal e della protezione del consumatore.
Le clausole specchio rappresentano una soluzione pragmatica e necessaria per garantire che i prodotti importati rispettino gli stessi criteri rigorosi di quelli prodotti internamente. Questo non solo protegge i produttori europei, ma promuove anche un’adozione globale di standard più elevati, incentivando pratiche agricole più sostenibili in tutto il mondo.
In definitiva, l’applicazione delle clausole specchio è un passo decisivo per un mercato più equo e trasparente, che rispetta i valori di qualità, sicurezza e sostenibilità tanto cari ai cittadini europei. Senza queste misure, rischiamo di compromettere non solo la competitività dei nostri produttori, ma anche la fiducia dei consumatori e la sostenibilità del nostro sistema alimentare.
(Giulia Spadafora su Ruminantia del 17/07/2024)
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