
Martedì, all'età di 91 anni, è morto Frits Bolkestein. Al di fuori dell'Olanda, dove ha avuto una lunga e importante carriera politica, il suo nome è legato principalmente al ruolo che ebbe come Commissario europeo al mercato interno tra il 1999 e il 2004, sotto la presidenza di Romano Prodi. Bolkestein è stato un convinto assertore del mercato interno europeo, a cui si è sforzato di dare corpo attraverso un pacchetto di misure finalizzate ad abbattere le barriere alla libera circolazione dei servizi sul territorio dell'Unione. Il risultato, che vide la luce due anni dopo la fine del suo mandato al costo di molti annacquamenti, è la direttiva 123/2006, che tutti ricordano appunto come direttiva Bolkestein.
Diversamente dai beni, per i quali il superamento delle barriere interne è stato relativamente rapido con l'azzeramento dei dazi intra-europei, la concorrenza nel settore dei servizi è molto più complicata, perché la regolamentazione può essere utilizzata in modo opportunistico per prevenire, aggirare o impedire il confronto competitivo. Bolkestein fu il protagonista del più importante tentativo di disboscare questa foresta normativa che, nei fatti, protegge gli operatori nazionali dai più agguerriti concorrenti esteri, a detrimento dei consumatori.
L'elemento centrale della proposta originaria di Bolkestein era il principio del paese d'origine, in base al quale un fornitore di servizi avrebbe potuto applicare, nelle sue attività, le regole del paese di provenienza e non quelle del paese di destinazione. Questo principio venne fortemente criticato soprattutto dai sindacati, che temevano avrebbe potuto portare a forme di "dumping sociale" (preoccupazioni in gran parte infondate, anche perché il distacco transfrontaliero dei lavoratori era già disciplinato da un'altra direttiva). A ogni modo, il tema degli standard sociali e lavoristici fu il cavallo di Troia attraverso cui la proposta di Bolkestein venne pesantemente indebolita attraverso svariate esclusioni e limiti. Vennero inoltre previste numerose eccezioni, specie nel campo dei servizi pubblici, lasciando ampia libertà agli Stati membri per quanto riguarda, per esempio, le modalità del loro affidamento o la scelta se erogarli attraverso società pubbliche in regime di monopolio.
Nel nostro paese, la direttiva è nota soprattutto per le feroci polemiche sulle concessioni balneari o l'assegnazione degli stalli per gli ambulanti. Ma il principio che essa afferma è di puro buonsenso: se una risorsa pubblica è scarsa, la sua gestione può essere affidata ai privati ma ciò deve avvenire attraverso procedure competitive e per un periodo di tempo prefissato, in modo da evitare la creazione di rendite. Il dibattito di questi ultimi mesi non solo sulle concessioni balneari ma anche su temi quali le reti di distribuzione elettrica e le grandi derivazioni idroelettriche dimostra quanto profondo sia stato il rigetto culturale dei fondamenti della direttiva.
A quasi vent'anni dalla sua approvazione, la Bolkestein rimane il più attrezzato, organico e serio tentativo di fare del mercato interno una realtà concreta e non una mera dichiarazione di principio. Il fatto che se ne trovino echi nel rapporto Draghi e nel rapporto Letta - quest'ultimo propone tra l'altro l'introduzione di un ventottesimo regime regolatorio applicabile a tutte le imprese europee, che è una variazione sul principio del paese d'origine - dice quanto Bolkestein fosse avanti nei tempi, quanto le sue ambizioni siano state frustrate, e quanto molte risposte alla stagnazione europea stiano proprio in quelle incrostazioni regolatorie che l'ex commissario aveva tentato di scalfire.
Che non ci sia più Frits Bolkestein è, purtroppo, nella natura delle cose. Che in Europa non ci siano più Frits Bolkestein è, invece, una delle cause del nostro declino.
(Carlo Stagnaro, Direttore ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni 22/02/2025)
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