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Il canone del canonico Conti  
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Articolo di GianLuigi Corinto
19 febbraio 2025 16:18
 
 Qualcuno vorrebbe che il festival di Sanremo non finisse mai. È l'ultimo rito popolare collettivo che c'è rimasto, è l'anima, è lo specchio del Paese, che ora si deve chiamare Nazione perché governa Giorgia. In effetti Sanremo dura tutto l'anno, visto che l'identità nazionale si ritrova nello spirito delle canzonette presentate al Teatro Ariston, cuore  e amore, belcanto ieri, oggi rap e trap, impegno sociale un tanto al chilo, voglio divertirmi e intanto penso molto superficialmente ai bambini poveri, ai migranti, quest'anno alle mamme con l'Alzheimer, nascondendo un po' i troppi tatuaggi sul petto. La RAI, di tutto di più, da sempre, cioè dal 1951, trasmette le serate della gara tra artisti vari e canzoni rigorosamente italiane. Il popolo in massa per quasi una settimana di febbraio si mette davanti alla TV per vedere chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo attraverso i testi e le note delle canzoni in Gara al Festival di Sanremo, che il mondo intero ci invidia. Insomma chi controlla Sanremo impone la propria egemonia culturale al popolo della Nazione. 

Finita l'epoca di Amadeus e Fiorello, presunti comunisti, pareva giusto raddrizzare la barra e fare un Festival di destra. L'idea era quella di non parlare di politica, secondo la tesi che chi non parla di politica, ma con le canzoni si diverte e basta, sia di destra. Questo lo ha detto Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere? Boh, ma ci sta: il disimpegno è di destra, il fantasy è di destra, la storia infinita è di destra, lo Hobbit e gli anelli sono di destra. Il futuro ma il non progresso è di destra. Tutta l'arte è di destra, anche quella che prima era di sinistra. Solo che gente in grado di dire queste cose, confezionarle in uno spettacolo popolare per imporre finalmente l'egemonia culturale della destra, a destra non c'è. Sarà che sono stati troppo isolati, ma pare proprio il deserto.

Ecco allora che spunta Carlo Conti che magari proprio comunista non è. È un bravo presentatore molto curiale, molto vicino alla Chiesa e al Vaticano, un curato ben vestito e abbronzato, un canonico, il perfetto chierico del Canone della cattedrale RAI. È però anche uno che in qualche modo di musica se ne intende, anzi ha la parlantina e se la cava anche con Roberto Benigni. Ma il suo pregio maggiore è quello di essere erede democristiano di Pippo Baudo. Il resto conta poco, non chi ha vinto, né chi ha perso, non chi è arrivato ultimo ma venderà un sacco di dischi e avrà milioni di visualizzazioni sui social, non chi aveva una canzone bellissima, una voce la più bella d'Italia, ma questa volta non l'hanno capito e premiato: quello che conta è l'eterno ritorno della DC. Giorgia ne dovrebbe tenere conto, perché pur essendo solo canzonette, Sanremo è Sanremo e seppure dominando tutta la RAI, quello che Giorgia ha potuto fare è solo mandare Carlo Conti a dire una cosa di destra. Non le resta che sperare di trasformarsi in “Georgia on my mind” e sperare che Trump non la mandi a quel paese troppo presto.
 
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