Rishi Sunak e il governo conservatore vogliono deportare i migranti irregolari in Ruanda, l’Australia li ha spediti in Nuova Guinea-Papuasia e nella mini-isola di Nauru, e l’Italia vuole farli soggiornare in Albania. Massimo Livi Bacci commenta queste storie, inefficienti strumenti per governare le migrazioni, ma costosi spot pubblicitari dei governi al potere.
Cosa hanno in comune l’Albania, il Ruanda, la Papuasia e l’isola di Nauru? Niente, se non l’appartenenza agli oltre 200 stati che compongono le Nazioni Unite e di essere la destinazione (dietro pagamento) di disperati profughi cui alcuni paesi ricchi (tra i quali l’Italia) chiudono le porte in faccia.
Il caso Ruandese
Lo scorso 22 aprile, il governo conservatore di Rishi Sunak ha approvato il progetto di legge che permette di trasferire, o meglio deportare, i migranti richiedenti asilo in un altro paese. Come ben si sa, questo paese è il Ruanda, col quale è stato sottoscritto un accordo che prevede l’accoglienza di immigrati irregolari sbarcati sulle coste del Regno Unito – dopo una rischiosa traversata della Manica – e da questo deportati nel paese africano. Qui il caso degli immigrati viene esaminato e se la richiesta viene approvata, il migrante riceve un permesso permanente di residenza, che gli consente di lavorare e di beneficiare di altri diritti. Se il caso non viene accettato, il migrante è rispedito nel paese di origine. Il Piano fu annunciato da Boris Johnson a fine 2021 e venne sottoscritto nell’aprile del 2022. Tuttavia l’Alta Corte britannica e la Corte Europea dei Diritti Umani bloccarono la partenza del primo aereo che avrebbe dovuto trasportare i primi 30 migranti a Kigali, capitale del Ruanda, nel maggio 2022, con la motivazione che il Ruanda non poteva essere considerato paese sicuro, e che quindi, secondo la normativa del diritto internazionale non poteva essere la destinazione dei richiedenti asilo. Ne è seguito un lungo dibattito legale; la Corte Suprema britannica, a fine 2023, ha dato ragione ai sostenitori della mancanza di sicurezza del Ruanda, ma il governo ha aggirato il problema approvando il Safety of Rwanda Act lo scorso 23 aprile. Con un tratto di penna il Ruanda è diventato paese sicuro; Rishi Sunak ha dichiarato che le prime partenze avverranno in giugno o luglio, che sono già stati formati 500 accompagnatori e prenotati i voli charter. Intanto infuriano le polemiche e i ricorsi legali.
Irrazionalità e politica migratoria
Perché mai, un grande e importante paese come la Gran Bretagna, ha elaborato un piano così complesso, irrazionale, e probabilmente destinato al fallimento, per liberarsi di qualche migliaio di migranti indesiderati? In primo luogo stanno le motivazioni ufficiali: il Rwanda Plan intende contribuire allo sviluppo del Ruanda con sostanziosi aiuti allo sviluppo; è una parte del programma di difesa dei confini del paese; è un monito per tutti coloro che intendano intraprendere il viaggio per mare su imbarcazioni precarie che spesso finiscono in tragedia; è una via per stroncare il traffico di essere umani. Tuttavia le cifre raccontano anche un’altra storia: l’Ufficio Nazionale di Bilancio (National Audit Office) ha stimato che solo per la deportazione dei primi 300 richiedenti asilo, il costo sarà pari a 650 milioni di dollari circa, oltre 2 milioni di dollari per ogni migrante1. Si valuta che il numero di migranti che potrà essere collocato in Ruanda consisterà in qualche migliaio di persone nei prossimi anni, non più di 5mila in totale. Per un paese come il Regno Unito che ha un saldo netto migratorio di molte centinaia di migliaia di migranti all’anno, che nel 2022 ha contato 45mila irregolari (Figura 1) arrivate sulle proprie coste; che ha un arretrato di oltre 100mila casi di richieste di asilo da esaminare, l’accordo col Ruanda avrà lo stesso effetti di una mezza aspirina somministrata a un elefante raffreddato. Per memoria: Kigali, capitale del Ruanda, sta nel centro dell’Africa, nella regione dei Grandi Laghi, distante da Londra – in linea retta – 7mila chilometri.
Perché rischiare le controversie legali, l’opposizione delle organizzazioni internazionali, le spese fuori misura, la palese inadeguatezza del piano e, aggiungerei, il ridicolo (se non fosse tragico per i migranti)? Il governo conservatore, da sempre paladino di politiche migratorie restrittive, spera di ricavare un dividendo politico dallo spot Ruanda, fermando la crisi dei consensi in vista delle prossime elezioni. La questione migratoria, si sa, è un’arma elettorale formidabile: nel caso del patto col Ruanda, però, l’arma sembra spuntata.
Prima ancora che il primo aereo con i deportati prenda il volo per Kigali, sono nate complicazioni con l’Irlanda che teme si ingrossi il numero dei migranti irregolari che già sbarcano sulle loro coste. I quali, probabilmente, preferiscono i centri di accoglienza di Dublino a quelli di Kigali, dove verrebbero rispediti se approdassero in Cornovaglia o altrove lungo la costa britannica.
Ruanda recidivo
I vantaggi per il Ruanda sono evidenti, sia per i cospicui contributi finanziari, sia per i crediti che accumula in campo internazionale (o in una sua parte), di cui ha molto bisogno dato il suo controverso ruolo nella turbolenta regione africana. Tuttavia i precedenti in tema di accordi migratori non sono rassicuranti. Un accordo non pubblicizzato per deportare nel paese i richiedenti asilo venne concluso con Israele, che tra il 2012 e il 2018 vi spedì 4mila Eritrei e Sudanesi, prima che l’accordo venisse abbandonato. In Israele, il migrante poteva scegliere tra rientrare nel paese di origine, o ricevere 3.500 dollari e un biglietto di sola andata per l’Uganda o il Ruanda. Anche la Danimarca avrebbe intavolato (2022) negoziati col governo ruandese per avviare un accordo analogo a quello concluso dalla Gran Bretagna. Non è dato di conoscere lo stato attuale della questione.
Dal Pacifico al canale di Otranto
La tentazione di deportare su altri territori i migranti in arrivo ha una lunga storia e molte varianti. Limitandoci al nostro secolo, va ricordata la cosiddetta Pacific Solution (nome che evoca un torbido passato) consistente nel dirottamento dei migranti irregolari che sbarcano sulle coste dell’Australia alla Papua-Nuova Guinea e all’isola di Nauru (stato sovrano di 19 Kmq, e 13mila abitanti), che li trattengono in appositi centri di accoglienza. Il piano riguardò gli anni 2001-2008, fu poi sospeso, ripreso e modificato più volte, ma è ancora parzialmente in vigore.
Nel novembre del 2023, come noto, il nostro governo ha firmato un protocollo con l’Albania che fa onore alle astute capacità giuridiche del paese, e conferma la sua mancanza di senso pratico. Stiamo costruendo una sorta di CpR (Centro per Rimpatri) a Gjadër (ex base militare, nel nord-ovest dell’Albania) con la capacità di 3mila ospiti; questi saranno
1) solo maschi adulti;
2) provenienti da paesi che l’Italia considera “sicuri”;
3) intercettati e selezionati in mare da mezzi di soccorso italiani (non di Ong).
Il loro caso deve essere deciso dalla Commissione competente entro 28 giorni, trascorsi i quali, se l’eventuale richiesta di protezione viene accettata, vengono condotti in Italia e affrontano i consueti percorsi. Se la protezione vien rifiutata, i migranti sono rispediti al paese di origine, ma ben si sa per esperienza che questo avviene solo per una modesta quota di loro. Gli altri – la maggioranza – dovranno essere trattenuti in un CpR (e quindi ricondotti in Italia, perché in quello di Gjadër occorrerà far posto per i nuovi arrivi) per un massimo di un anno e mezzo. Se in questo lasso di tempo non si riesce a rimpatriarli (come normalmente avviene) dovranno essere lasciati liberi… e entreranno così nella “clandestinità”. Il solo impianto della “soluzione albanese”, secondo calcoli attendibili3, costa circa 650 milioni di Euro.
Domanda: perché affrontare tali spese e tali complicazioni? Perché non fare il nuovo CpR in Italia? Non siamo forse il paese che sventola in ogni occasione il concetto di “sovranità”? Perché appaltare all’esterno la guardiania di profughi e rifugiati? La risposta è solo una: perché si tratta di un gigantesco e costoso spot pubblicitario, pagato dalle pubbliche finanze, e dal quale ci si attende un buon dividendo politico.
Note
1 - What is the Rwanda Policy? U.K.’s Plan for Asylum Seekers, The New York Times, 24 aprile 2024
2 - Fonte figura 1: https://www.gov.uk/government/collections/migration-statistics#data-tables3
3 - Milena Gabanelli e Simona Ravizza, Accordo Italia-Albania: uno spot da 650 milioni, Corriere della Sera, 25 marzo 2024
(Massimo LIvi Bacci su Neodemos del 24/05/2024)
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