“Se tutto ciò che hai è un martello,
tutto comincia a sembrare un chiodo”.
Abraham Maslow in “The Psychology
of Science: A Reconnaissance”
Il precedente articolo (“
L’abuso della matematica-statistica in finanza”) ha stimolato un interessante dibattito all’interno dei commenti al
post di LinkedIn che lo presentava. Hanno partecipato a questo dibattito alcuni dei professionisti del settore che maggiormente stimo, insieme ad altri che non conoscevo, tra cui alcuni privati investitori e professionisti del settore.
Oltre a colleghi di grande esperienza come Lorenzo Ippoliti e Paolo Sironi, che condividono la visione del sottoscritto sulla radicale incertezza nei mercati finanziari, ho notato che sia i professionisti che gli investitori trovano difficile immaginare un modo completamente diverso di costruire portafogli finanziari. È generalmente accettato che l’approccio basato su formule matematiche, volto a “ottimizzare”, sia necessariamente superiore poiché ritenuto più “oggettivo”. Qualsiasi altro metodo che non si basi su formule matematiche viene considerato, nella loro mente, intermedio tra l’oggettività della matematica e l’andare a casaccio. Pertanto, sarebbe per definizione inferiore rispetto all’approccio che utilizza formule matematico-statistiche. Secondo questa visione, non può esistere un approccio non matematico che sia al contempo superiore.
Nel
dibattito su LinkedIn ho cercato di spiegare le ragioni per cui, anche se può sembrare controintuitivo, specialmente per chi non conosce la Teoria delle Decisioni, è vero esattamente il contrario. Per chi è abituato a un certo approccio da una vita, e magari ha costruito la propria identità professionale su di esso, è molto difficile immaginare l’esistenza di un approccio radicalmente diverso che metta in discussione le fondamenta del proprio. Serve molta apertura mentale, una spiegazione più ampia di quella che si può dare in un commento sui social, e del tempo per assimilare concetti totalmente diversi.
Ho pensato di scrivere un articolo in cui confronto gli approcci tradizionali con un approccio che parte dall’accettazione del fatto che i mercati finanziari sono
incerti e non semplicemente rischiosi (1).
L'approccio tradizionale: ottimizzare uno scenario
Nel mondo della finanza tradizionale ci sono diversi modi di costruire portafogli finanziari, ma tutti hanno in comune un obiettivo: massimizzare uno o più parametri matematici, tipicamente il rapporto tra rendimento atteso e oscillazione. Con l’espressione “costruire portafogli finanziari” mi riferisco al processo che determina che percentuale del portafoglio destinare inizialmente alle varie asset class e come modificare queste percentuali nel tempo in funzione dell’andamento del mercato e dell’eventuale strategia scelta.
Le tre macro-asset class principali sono: monetario, obbligazionario e azionario. Ognuna di queste asset class ha sottocategorie. Le asset class da scegliere possono essere svariate decine.
I parametri da massimizzare possono essere più o meno sofisticati (in genere il rendimento atteso in rapporto alla volatilità attesa), ma l’approccio tradizionale vede le decisioni di investimento come un
problema di ottimizzazione. Questo è ciò che ho definito, provocatoriamente,
“abuso della matematica-statistica”. Il processo per tentare di massimizzare il rendimento atteso a parità di oscillazione attesa passa necessariamente dalla stima di tre variabili per ciascuna delle asset class: rendimento medio atteso, volatilità attesa, e correlazione con tutte le altre asset class. Questo punto è fondamentale da comprendere. L’uso delle formule matematiche non implica affatto oggettività.
Queste stime sono opinioni soggettive. Esistono molti modi per determinare queste stime, ma ciascuno di questi implica una
credenza soggettiva non dimostrabile.
Stimare queste variabili sulla base delle serie storiche dei prezzi implica, implicitamente, ipotizzare che in futuro i prezzi si muoveranno come nel periodo storico analizzato. Questo assunto è irrealistico. Infatti, i professionisti della finanza utilizzano diverse metodologie di stima, più o meno discrezionali, ma tutte implicano assunzioni soggettive. Come ci ha insegnato Bruno de Finetti, questo è inevitabile.
Il ruolo dei backtest e l’analisi montecarlo
È utile spendere qualche parola sui backtest. È molto di moda mostrare come si sarebbe comportato un certo portafoglio in un passato periodo di tempo. Alcuni investitori inesperti commettono l'errore di scegliere il portafoglio sulla base di questi backtest, ritenendo che i rendimenti medi ottenuti siano statisticamente significativi. Non è così.
I backtest non hanno alcuna rilevanza statistica. Dopo aver scelto una certa composizione di portafoglio, i backtest possono essere interessanti per osservare dati qualitativi, come il comportamento in specifiche fasi di mercato, e verificare se il comportamento del portafoglio è stato coerente con le aspettative di chi lo ha costruito. Al massimo, i backtest possono dirci cosa non scegliere, non cosa scegliere.
Sia che le stime siano fatte sulla base dell’andamento storico, sia che siano costruite in altri modi, l'importante è comprendere che, utilizzando queste stime in una formula per massimizzare il rapporto rendimento atteso / variazione attesa, in realtà stiamo massimizzando quel parametro
solo se si realizzerà uno tra i moltissimi scenari futuri possibili. Le stime rappresentano solo uno scenario tra i molti possibili. La formula matematica non ci dice nulla su cosa accadrà se si realizza un altro scenario. In finanza, quando scegliamo una combinazione di parametri per ottimizzare un parametro, stiamo scommettendo che si realizzerà uno scenario futuro specifico. Spesso non ce ne rendiamo conto, pensando che la formula valuti tutti gli scenari possibili e ci dica quale è migliore. Alcuni, ingenuamente, pensano che l’analisi montecarlo, in realtà, risolva il problema delle serie storiche e analizzi tutti gli scenari futuri possibili, non è così, ma per non entrare troppo nel tecnico preferisco accennare al discorso il nota (2).
Un approccio radicalmente diverso
Il problema di fondo dell’approccio tradizionale, in qualunque delle infinite varianti in cui può essere declinato, è che si ostina a voler ottimizzare il rendimento futuro. Questo obiettivo è irrealizzabile, semplicemente perché il futuro è determinato da una serie di concause concatenate attraverso catene di retroazioni positive e negative impossibili da calcolare.
Se vogliamo essere intellettualmente onesti, tutto ciò che si può dire circa i rendimenti dei mercati finanziari è di tipo
qualitativo, non quantitativo. L’uso della statistica e della matematica è utile e necessario per estrarre dati qualitativi, non quantitativi. Se affermiamo che è logico e ragionevole attendersi che le azioni abbiano un rendimento superiore rispetto alle obbligazioni, stiamo esprimendo una qualità intrinseca delle azioni, confermata anche dalla statistica, ma non per questo maggiormente vera. Al contrario, se proviamo a quantificare questa qualità, cadiamo in una serie di problematiche che portano più problemi che informazioni realmente utili.
Accettare questa verità è difficilissimo per i professionisti del settore. Tuttavia, una volta fatto questo passo, ci si rende conto che non è assolutamente necessario stimare i rendimenti futuri per prendere scelte finanziarie migliori rispetto a quelle che si possono prendere attraverso portafogli costruiti sulla base di illusorie formule matematiche.
Abbandonata l’idea di calcolare, ciò che rimane è l’analisi qualitativa delle componenti di un portafoglio finanziario: monetario, obbligazionario e azionario. Sappiamo che il monetario ha i rendimenti più bassi, spesso negativi in termini reali (aggiustati per l’inflazione). Ne consegue che dobbiamo averne lo stretto indispensabile per far fronte a eventuali spese indispensabili e impreviste. La quantità di monetario necessaria dipende dal singolo investitore, quindi è necessariamente soggettiva.
L’obbligazionario ha un rendimento inferiore rispetto all’azionario, ma se parliamo di singoli titoli, ha il grande vantaggio di avere una data di scadenza con un valore futuro contrattualmente certo. Quindi è ottimo per costruire una riserva di capitale futura per affrontare spese che possiamo stimare. Inoltre, sappiamo che l’oscillazione dell’obbligazionario è inferiore rispetto a quella dell’azionario, proprio per la caratteristica implicita di avere una data di scadenza e flussi cedolari certi (3). Questa componente ci può dare una riserva di capitale meno redditizia, ma utile nei momenti in cui l’azionario attraversa periodi di panic selling, che non si possono prevedere, ma ai quali ci si può adattare.
Infine, sappiamo che l’azionario deve avere, nel lungo termine, rendimenti decisamente più elevati rispetto alle obbligazioni. Tuttavia, sappiamo anche che possono esserci periodi, anche di svariati anni, in cui i prezzi possono essere inferiori rispetto ai massimi precedentemente raggiunti. In tali periodi può non essere conveniente vendere nel caso dovessimo far fronte a spese future. Sappiamo inoltre che i mercati azionari sono soggetti a rare fasi di movimenti del tutto irrazionali, che non possono essere previsti, ma ai quali ci si può adattare.
Queste sono tutte informazioni qualitative che non ci permettono di fare calcoli precisi, ma sono sufficienti per prendere decisioni razionali e più efficaci rispetto a quelle basate su calcoli.
Nella vita di tutti i giorni, ci troviamo quasi sempre a fare i conti con decisioni riguardanti contesti in cui non possiamo fare calcoli precisi. Gli esseri umani, infatti, non prendono decisioni tentando di massimizzare l’utilità attesa. Gli umani, e in generale gli esseri viventi, non calcolano ma applicano delle euristiche, ovvero delle scorciatoie. Lo scopo di queste scorciatoie non è massimizzare un parametro, ma evitare tutti i possibili scenari il cui esito potrebbe essere catastrofico, ovvero minare la sopravvivenza. Al tempo stesso, le euristiche puntano a massimizzare non l’utilità attesa, ma il numero di scenari futuri nei quali l’esito sarà
sufficientemente soddisfacente.
Questo è l’approccio decisamente migliore che possiamo applicare anche in finanza. Invece di massimizzare il rendimento nel caso si realizzi uno specifico scenario, che è ciò che facciamo quando applichiamo formule matematico-statistiche per determinare i pesi delle varie asset class, dobbiamo massimizzare il numero di scenari possibili nei quali abbiamo rendimenti considerati accettabili per le nostre specifiche necessità. Al contempo, dobbiamo assicurarci di eliminare il più possibile il rischio di incappare in qualsiasi scenario che possa condurre a esiti catastrofici, sempre in base alle nostre specifiche caratteristiche.
È importante evidenziare che quando scrivo “massimizzare il numero di scenari futuri” non mi riferisco a qualcosa di matematico, perché il numero di scenari futuri non è conosciuto né conoscibile: potenzialmente è infinito. Proprio per questo applichiamo euristiche e non formule. Uso l’espressione “massimizzare” solo a scopo argomentativo, per contrapporre questo concetto alla tentata “massimizzazione” del rendimento atteso attraverso i calcoli. Nell’approccio euristico facciamo un lavoro qualitativo, non quantitativo, ma non per questo inferiore o meno valido. Tutt’altro! Si tratta di un approccio molto più adeguato al contesto, perché la consapevolezza di non poter calcolare consente di fare meno ipotesi e assunzioni, favorisce un approccio adattativo e rende il processo
enormemente più resiliente.
Un’altra caratteristica delle decisioni che applichiamo nella vita di tutti i giorni è che si adattano continuamente al contesto. In finanza, proprio a causa di questo abuso della matematica, c’è la mania di prevedere. Tuttavia, l’approccio più salutare non è quello previsionale, ma adattativo. La costruzione dei portafogli finanziari basata sugli aspetti qualitativi, per sua natura, non può essere previsionale ed è quindi naturale che tenda a utilizzare regole per aggiustare in futuro le scelte di oggi in funzione di ciò che realmente accadrà nei mercati e nella vita dell’investitore. Un esempio concreto di questo approccio, rispetto a quello tradizionale, è lo schema a piramide descritto nell’articolo
“Investitori Indipendenti: mini-guida per il 2024”.
Questo approccio permette di determinare la componente monetaria, obbligazionaria e azionaria non sulla base di calcoli matematici, ma sulle possibili spese previste e impreviste dell’investitore. Questo metodo è superiore rispetto alla classica “torta” alla Markowitz, perché non punta a massimizzare il risultato in uno scenario specifico. Punta, invece, in primo luogo a escludere scenari che portino l’investitore a risultati indesiderabili e, secondariamente, a massimizzare il numero di scenari futuri nei quali l’investitore può raggiungere risultati soddisfacenti, anche se non necessariamente i migliori possibili.
Note:
1 - Sul concetto di incertezza radicale nei mercati finanziari è consigliato il libro “Radical Uncertainty: decision-making beyond the numbers” di Mervyn King e John Kay, due importanti economisti inglesi. John Kay è stato primo decano alla Oxford’s Said Business School e ha avuto cattedre alla London Business School, all’University of Oxford e alla London School of Economics. Mervyn King è stato capo economista alla Banca d’Inghilterra dal 2003 al 2013.
2 - A differenza dell’analisi dei dati storici, con la simulazione Montecarlo si parte da ipotesi di rendimento atteso e volatilità attesa e si simulano migliaia di possibili andamenti. Tuttavia, le simulazioni partono dalle variabili inserite e assumono una funzione di distribuzione delle probabilità nota (spesso gaussiana, sebbene non sia così). L’analisi Montecarlo è una tecnica raffinata ma fuorviante, poiché non possiamo dire nulla di matematicamente preciso sull’andamento futuro dei mercati finanziari. Possiamo solo fare osservazioni qualitative.
3 - Il mondo dell’obbligazionario è vario. Qui ci riferiamo alle obbligazioni più tradizionali, titoli di stato con scadenze ragionevoli sotto i 10 anni.
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