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L’elefante nella stanza della finanza
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Articolo di Alessandro Pedone
31 maggio 2022 13:54
 
 Ieri sera si è svolta la quarta riunione del Club degli Investitori Adulti. Il tema era di quelli molto vasti ed impegnativi: dalle strategie ai piani d’investimento. 
Non esiste, in letteratura, una distinzione precisa fra questi due termini. Si tratta di una dicotomia che trovo utile introdurre per sottolineare alcuni concetti relativamente nuovi nel mondo delle scelte d’investimento. 
Nell’approccio tradizionale alla finanza si tende a far derivare le scelte d’investimento da una complessa serie di calcoli o ragionamenti logici che hanno sempre una matrice comune: tentare di anticipare il movimento dei prezzi nei prossimi giorni, settimane o mesi. 
Si può dividere l’analisi finanziaria, grossolanamente, in due filoni: quella quantitativa e quella fondamentale. La prima si fonda sulla matematica-statistica, la seconda - semplificando moltissimo - su derivazioni logiche di principi micro o macro economici. 
Nel caso dell’analisi quantitativa, si tende a pensare che più complesse sono le formule, più variabili si includono, più precisi sono i calcoli e più valore, più vantaggi, si potranno trarre dai risultati di questi calcoli. 
Nel caso dell’analisi fondamentale si tende a pensare che più complesse sono le analisi, maggiore è il numero di fatti e correlazioni che si prendono in considerazione e più valore, più vantaggi, si potranno trarre dai risultati di queste analisi. 

Questo modo di pensare è spontaneo e appare logico. Se, analizzando un certo numero di dati ottengo un certo risultato, se includo un numero maggiore otterrò un risultato migliore. E’ logico no? No. 

L’apparente paradosso deriva dal fatto che in finanza continuiamo, imperterriti, a voler ignorare l’elefante nella stanza, per tradurre una tipica espressione inglese. Non conosco in italiano un’espressione che sintetizza il concetto di “Elephant in the room”. Nei paesi anglofoni con questa espressione ci si riferisce ad un problema che tutti conosciamo, ma che tutti tentano, goffamente, di ignorare. Sebbene sia chiarissimo che l’unica cosa sensata di cui parlare in quella circostanza sia proprio quel problema, nessuno ha la volontà o la forza di affrontare la situazione di petto per i motivi più vari, magari perché il problema appare senza soluzione, perché è imbarazzante o - banalmente - perché non conviene. 
Ecco, l’elefante nella stanza della finanza è l’incertezza radicale (per citare il libro di Mervyn King e John Kay che nel marzo 2020 ha gettato il sasso nello stagno). 
Tutti sappiamo che il futuro è strutturalmente imprevedibile, ma (quasi) tutti basano le scelte d’investimento prevalentemente su qualche forma di previsione. 

Riducendo all’estremo i concetti relativi alla strategie d’investimento, tutte sono un tentativo di dare una risposta alla domanda: cosa conviene acquistare/vendere, in che misura e quando? 
L’elefante nella stanza che tentiamo di ignorare, cercando di rispondere a questa domanda, è che se per “conviene” intendiamo il ricavare, in uno spazio di tempo definito, un vantaggio economico superiore rispetto ad altre scelte possibili, allora l’unica risposta intellettualmente onesta che si può dare a questa domanda è: non è possibile saperlo.
L’aspetto apparentemente paradossale è che più ci sforziamo di trovare una risposta e più peggioriamo le cose.  Più variabili tentiamo di considerare nella nostra previsione, più energia mettiamo nel realizzare una cosa impossibile e più grave sarà il nostro fallimento. 

L’elefante nella stanza della finanza è lì, ma sono pochissimi quelli che ci fanno veramente i conti. Di tanto in tanto qualcuno premette ai propri ragionamenti finanziari che il futuro è imprevedibile, ma immediatamente dopo fa qualche forma di previsione. Frasi tipo: “Naturalmente nessuno può prevedere l’andamento futuro dei prezzi, però…”
Il fatto è che non ci vogliamo confrontare con l’elefante nella stanza perché dovremo mettere in discussione troppe cose e questo è faticoso. 

Eppure, come per ogni paura, una volta che affrontiamo di petto il problema e facciamo pace con l’idea che semplicemente non sappiamo, ci apriamo alla possibilità di fare scelte finanziarie fondate su presupposti molto più solidi. Inizialmente costa un po’ di fatica, ma poi tale fatica è ripagata con grande serenità e semplicità nelle scelte per molti anni futuri. 
Invece di tentare di indovinare se la correzione in corso dei prezzi dell’azionario è terminata o è solo all’inizio, se l’inflazione sta dando i primi segnali di inversione o continuerà ad essere un problema per anni (e di indovinare le conseguenze nei prezzi delle obbligazioni), è molto più saggio fondare le scelte finanziari su questi tre pilastri:
- I propri obiettivi di vita collegati ad esigenze economiche. Sebbene non sappiamo se la correzione in atto nell’azionario possa degenerare in un crollo o possa essere recuperata, quello che invece possiamo determinare - sulla base dei propri obiettivi - è quanto azionario abbia senso - mediamente - tenere in portafoglio. Questo è un dato di partenza fondamentale sulla base del quale poi possiamo fare una serie di altre considerazioni, ma sempre partendo da questo fondamento.
- La proprie propensioni psicologiche. Gli esseri umani possono avere caratteristiche psicologiche profondamente diverse. L’80% delle scelte d’investimento dipendono dagli aspetti psicologici e sono quelli che vengono sistematicamente ignorati. Tutto ciò che è psicologico tende ad essere considerato come se fosse, in fondo in fondo, poco importante, troppo effimero, poco serio, qualcosa per i deboli di carattere. 
E’ fondamentale, invece, basare le scelte finanziarie su quegli aspetti che rendono il progetto d’investimento confortevole, comodo, per quello specifico investitore. E’ saggio utilizzare quelli che una certa finanza comportamentale chiama “trappole mentali” o “bias comportamentali” a vantaggio dell’investitore. Un tipico esempio sono i conti mentali. Crearsi dei conti mentali rende il piano d’investimento molto più sostenibile nel tempo. 
- La propria filosofia d’investimento consente di fare un’analisi dello scenario attuale, non in chiave previsionale, ma in chiave adattativa. In sostanza, dobbiamo avere degli strumenti per avere una mappa del mondo finanziario che ci circonda. Sappiamo che la mappa non è il territorio e conoscendo tutti i limiti della mappa possiamo usarla solo per quello che ci può fornire. Ad esempio non tenteremo di decidere in quale ristorante mangiare attraverso una cartina, perché non troveremo niente che ci possa aiutare nella cartina. Allo stesso modo non possiamo pretendere di farci dire dalla filosofia d’investimento se - in questo momento - convenga avere più azionario o meno azionario. La filosofia d’investimento, però, può farci maturare una propria, personale, idea sullo scenario attuale ed usare questo riferimento, in congiunzione con i punti precedenti, per realizzare una serie di regole d’investimento da utilizzare in questo momento e in tutti i momenti futuri. 

L’uso di euristiche in finanza
Personalmente ho fatto tanto fatica a fare “amicizia” con l’elefante nella stanza della finanza. Ho impiegato anni di studio, ma alla fine non l’ho più potuto ignorare.  
Per questo comprendo molto bene sia gli investitori che i colleghi professionisti del settore che continuano a fare da anni sempre lo stesso errore: fare scelte finanziarie orientate prevalentemente da forme più o meno camuffate di previsioni.
Gli studi recenti della psicologia cognitiva ci dicono che i comportamenti della psiche umana si sono evoluti in migliaia di anni, per fronteggiare un ambiente dominato dall’incertezza, con processi adattativi, non previsionali. 
Quelli che - inizialmente - la finanza comportamentale ha bollato come “trappole mentali”, dopo studi più approfonditi compiuti - tra gli altri - per oltre 15 anni dal Center for Adaptive Behavior and Cognition del Max Planck Institute for Human Development, si sono rivelati utili comportamenti adattativi per fronteggiare situazioni nelle quali è inutile e perfino dannoso tentare di fare calcoli o ragionamenti previsionali. 
Il modo in cui un cane afferra al volo un frisbee lanciato dal padrone, oppure il modo con il quale un calciatore adatta la corsa ed i movimenti del corpo per intercettare un lungo passaggio di un compagno non è quello di calcolare tutte le variabili che incidono sulla traiettoria dell’oggetto. Esiste una precisa euristica adattativa - che la maggioranza di noi ignora - la quale consente di non fare tutti quei calcoli ed essere molto più precisi. Durante il tragitto del frisbee o del pallone - infatti -  può esserci una folata di vento o qualsiasi altra cosa che incida in quella traiettoria che renderebbe inutili tutti quei calcoli (ammesso che fossero realizzabili). Invece di fare calcoli, è molto, molto più utile avere dei processi adattativi guidati dal contatto visivo.
Lo studio di euristiche di questo tipo è utilissimo anche in finanza. Sono ancora pochi i professionisti della finanza che studiano seriamente le euristiche per applicarle in questo campo, ma la letteratura scientifica è ormai molto vasta e consolidata. 
Cito l’enorme raccolta pubblicata nel 2011 dalla Oxford University Press e curata da Gerd Gigerenzer, Ralph Hertwig, and Thorsten Pachur dal titolo “Heuristics - The foundations of adaptive behavior". Si tratta di una raccolta di studi scientifici per complessivi 1400 pagine (suddivise in 40 capitoli e centinaia di pagine solo di riferimenti bibliografici). In questi articoli si dimostra con grande efficacia come in condizioni di incertezza, applicare regole di decisione semplificate adattative è molto più efficace che tentare di decidere sulla base di calcoli o ragionamenti che tentano di modellizzare il passato per ricavare informazioni su come andrà il futuro. 
Passeranno ancora molti anni prima che in finanza si inizi ad usare questo tipo di informazioni scientifiche in modo diffuso. Ci vuole molto tempo affinché nuove informazioni scientifiche si traducano in comportamenti consolidati, specialmente se c’è una forte convenienza a resistere al cambiamento da parte degli attori economicamente più forti del sistema nel quale queste nuove conoscenze dovrebbero diffondersi. 
Nel frattempo, lo sparuto gruppetto di persone più propense all’approfondimento ed alle novità può trarre grande vantaggio nell'usare informazioni consolidate scientificamente, ma non ancora diffuse nella prassi. 


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