Quando si valuta qualsiasi tipo di investimento, compresi gli ETF, è fondamentale considerare attentamente i costi associati e le implicazioni fiscali. Nonostante gli ETF siano strumenti a basso costo, sussistono diverse componenti di spesa e aspetti normativi che possono influenzare significativamente i rendimenti netti a lungo termine. In questo articolo, esamineremo in dettaglio la struttura dei costi tipica degli ETF, le questioni fiscali correlate e le normative rilevanti nei vari mercati.
Struttura dei Costi
Commissioni di Gestione (Expense Ratio)
La voce più evidente nei costi di un ETF è la commissione di gestione annuale, chiamata expense ratio. Questa copre le spese operative e i compensi della società che gestisce l'ETF. Tipicamente, gli ETF hanno expense ratio nettamente inferiori ai fondi comuni tradizionali, spesso nell'ordine dello 0,03%-0,70% del patrimonio su base annua. A titolo di confronto, i fondi comuni attivi possono avere expense ratio anche superiori all'1-2%.
Un expense ratio più basso comporta un impatto minore sui rendimenti complessivi nel lungo periodo. Per esempio, su un investimento di 10.000€, con un rendimento annuo del 7% prima dei costi, un expense ratio dello 0,2% implicherebbe commissioni di soli 20€, mentre al 2% si arriva a ben 200€ di spesa, erodendo significativamente i guadagni.
Costi di Replica
A seconda della metodologia utilizzata per replicare l'indice sottostante (illustrate nel primo articolo), gli ETF possono incorrere in ulteriori tipologie di costi:
- Replica Fisica Integrale: In questo caso, l'ETF deve detenere tutte le singole componenti dell'indice nelle stesse identiche proporzioni. Ciò implica costi di transazione ogni volta che la composizione dell'indice viene ribilanciata periodicamente (es. rebalancing semestrale per gli indici azionari MSCI). Maggiore è il turnover dei titoli, più alti saranno questi costi;
- Replica Fisica a Campionamento: Per ragioni di efficienza e risparmio, alcuni ETF replicano l'esposizione dell'indice attraverso un sottocampione ottimizzato delle componenti principali. Anche qui si hanno costi di transazione sul ribilanciamento del campione, ma solitamente inferiori rispetto ad una replica integrale.
- Replica Sintetica: Per asset difficili da replicare direttamente, gli ETF possono utilizzare contratti swap con controparti, tipicamente banche di investimento. In questo caso, le commissioni includono i costi degli swap e i margini applicati dalla controparte. Inoltre, c'è un rischio di controparte aggiuntivo.
Spread Bid-Ask
Come per le azioni, quando si compra o vende un ETF in borsa si deve pagare lo spread bid-ask, ovvero la differenza tra il prezzo di acquisto (ask) e quello di vendita (bid). Maggiore è il volume di scambi giornaliero dell'ETF, minore tenderà ad essere questo spread. ETF molto illiquidi possono avere spread significativi.
Altri Costi Minori
- Commissioni di intermediazione: l’emittente dell’ETF per gli scambi di titoli sottostanti, sostiene commissioni alle banche o broker che eseguono gli ordini;
- utilizzo di derivati: ETF che fanno uso di futures, swap o opzioni possono sostenere costi impliciti aggiuntivi;
Tutti questi costi minori non sono specificatamente evidenziati, ma contribuiscono silenziosamente ad aumentare il tracking error, ovvero la deviazione rispetto alla performance dell'indice replicato.
Il Total Expense Ratio (TER)
Mentre l'expense ratio rappresenta la componente principale dei costi ricorrenti di un ETF, per avere un quadro veramente esaustivo è importante considerare anche il Total Expense Ratio o TER.
Il TER mira a fornire una misura complessiva di tutti i costi operativi e di struttura che annualmente gravano su un ETF, andando oltre la sola commissione di gestione (expense ratio).
Il TER si calcola solitamente come somma di tutte queste componenti di spesa sul patrimonio totale gestito dall'ETF durante l'anno. Rappresenta quindi la percentuale complessiva effettivamente "erosa" dai costi prima di arrivare al rendimento netto.
A titolo esemplificativo, un ETF potrebbe avere un'expense ratio dello 0,20%, ma un TER dello 0,35% a causa degli altri oneri accessori. Questa differenza, anche se apparentemente modesta in percentuale, può avere un impatto tutt'altro che trascurabile sui rendimenti composti nel lungo periodo.
È importante notare che, a differenza dell'expense ratio che è standardizzata e certificata, il calcolo del TER può variare leggermente tra gli emittenti di ETF. Ciononostante, rappresenta un dato fondamentale da valutare nella selezione di un ETF efficiente.
Un TER contenuto, combinato a un'elevata liquidità e metodologie di replica efficienti, è generalmente sinonimo di un ETF in grado di massimizzare i rendimenti netti per l'investitore minimizzando l'erosione dei costi.
Costi della copertura valutaria
Un'ulteriore componente di costo da considerare, soprattutto per gli ETF che investono in attività denominate in valute diverse da quella di riferimento, sono le spese legate alle operazioni di hedging o copertura del rischio di cambio.
Molti ETF infatti offrono anche versioni "currency hedged", in cui l'esposizione alle oscillazioni valutarie viene mitigata tramite contratti di cambio a termine o altri strumenti derivati.
Queste operazioni di copertura comportano ovviamente dei costi impliciti, come:
- Commissioni pagate alle controparti dei contratti derivati
- Roll cost per il rinnovo periodico dei contratti
- Potenziali inefficienze nella replica del sottostante dovute all'hedging
Questi costi di hedging valutario vengono generalmente sostenuti dagli ETF stessi e contribuiscono ad aumentare il tracking error rispetto all'indice sottostante, impattando quindi i rendimenti netti per gli investitori.
La loro entità può variare sensibilmente a seconda della divisa di riferimento, dell'orizzonte temporale e della volatilità dei cambi. Mediamente si stima che i costi di hedging valutario possano erodere lo 0,1-0,4% annuo dei rendimenti.
È quindi un fattore critico da tenere in considerazione soprattutto per gli investitori che scelgono la versione hedged di un ETF, in quanto va ad aggiungersi alle altre componenti di spesa già analizzate in precedenza.
Tassazione degli ETF
Oltre ai costi diretti ed indiretti, un altro aspetto cruciale da considerare per gli ETF è il trattamento fiscale che possono ricevere, il quale può variare a seconda della giurisdizione fiscale e della tipologia di ETF.
Tassazione sui dividendi
Come per le azioni ordinarie, gli ETF azionari che distribuiscono i dividendi delle società sottostanti sono soggetti a una tassazione su tali proventi (26% se dividendi o cedole di obbligazioni societarie, 12,5% per le obbligazioni governative e sovranazionali).
Negli ETF ad accumulazione invece, i dividendi vengono automaticamente reinvestiti senza tassazione immediata.
Tassazione sulle plusvalenze
Quando un investitore vende quote di un ETF a un prezzo superiore rispetto al prezzo di acquisto, la differenza è soggetta a una tassazione sulle plusvalenze secondo l'aliquota applicabile sui guadagni in conto capitale (26% o 12,5% come appena riportato).
Per gli ETF ad accumulazione l'impatto fiscale avviene solo al momento del realizzo. Per gli ETF a distribuzione, anche il reinvestimento delle cedole periodiche può comportare una parziale tassazione anno per anno.
Normative di Riferimento
A livello regolamentare, gli ETF sono soggetti a diverse normative a seconda del paese/regione in cui vengono commercializzati. Queste riguardano aspetti quali requisiti di trasparenza, metodologie di replica consentite, tipologie di asset trattabili e misure di tutela degli investitori.
In Europa, gli ETF devono rispettare la direttiva UCITS IV (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities) che stabilisce linee guida armonizzate per lo sviluppo di prodotti d'investimento negoziabili a livello transfrontaliero. Alcune delle regole chiave includono:
- Limiti di leva finanziaria consentiti
- Obblighi di diversificazione dei portafogli
- Requisti di trasparenza informativa
- Segregazione patrimoniale delle attività sottostanti.
È quindi fondamentale che gli investitori si informino adeguatamente in merito al contesto normativo di riferimento laddove intendano allocare capitali in ETF, sia dal punto di vista della supervisione e tutela, sia per quanto attiene agli obblighi fiscali vigenti.
Per gli ETF diversi da quelli armonizzati e soggetti alla vigilanza dell'Unione Europea (ad esempio gli ETF statunitensi), il trattamento fiscale per un investitore europeo è differente e più articolato.
I proventi derivanti da questi ETF non-UE concorrono infatti alla formazione del reddito complessivo dell'investitore. Vanno quindi indicati nel Rigo RL2 del Modello Redditi Persone Fisiche utilizzando il codice 4 (art. 10-ter co. 6 e 7 della Legge n. 77/83).
Sebbene su tali proventi venga applicata la ritenuta d'acconto del 26%, questa è scomputabile dall'IRPEF definitiva.
Inoltre, per gli ETF non soggetti a vigilanza UE, l'investitore può beneficiare del credito per le imposte eventualmente pagate all'estero secondo quanto previsto dall'art. 165 del TUIR, da indicare nel Quadro CE del Modello Redditi.
In sintesi, rispetto agli ETF armonizzati UCITS, il regime fiscale per i fondi non sottoposti alla vigilanza europea risulta più articolato in termini di modalità di tassazione e adempimenti dichiarativi richiesti.
Conclusione
In questa analisi approfondita abbiamo esaminato le diverse componenti dei costi associati agli ETF e le principali implicazioni fiscali e normative di cui gli investitori devono essere consapevoli.
È emerso chiaramente come, nonostante gli ETF siano strumenti a basso costo, sussistano numerose voci di spesa implicite.
Dalle commissioni di gestione ai costi di replica, spread bid-ask, imposte e inefficienze fiscali, l'impatto complessivo può facilmente superare l'1% annuo.
Questo non significa che gli ETF non rappresentino comunque un'opzione conveniente rispetto ad altre tipologie di fondi tradizionali, che spesso hanno costi anche superiori al 2% annuo. Tuttavia, ribadisce l'importanza di valutare attentamente l'intera struttura dei costi di un ETF specifico prima di investire, non fermandosi alla sola expense ratio dichiarata.
Allo stesso modo, le questioni fiscali e normative non devono essere trascurate. Il trattamento tributario su dividendi, plusvalenze ed eventuali inefficienze da riequilibri può avere un impatto sostanziale sulla performance netta, e varia notevolmente tra giurisdizioni.
Spero che questa analisi approfondita vi sia stata utile per comprendere appieno l'impatto dei costi e della tassazione quando si investe in ETF. Nel prossimo articolo ci concentreremo su una guida pratica per valutare e scegliere gli ETF migliori in base a criteri oggettivi. Continuate a seguirci!
Qui i precedenti articoli
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1
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2
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