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Ideologia e scienza. Il grano di Nikolai Vavilov e quello di Trofim Lysenko
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Articolo di Gian Luigi Corinto *
2 giugno 2022 16:29
 
 L’umanità è da sempre in lotta per acquisire quantità sufficienti di alimenti. La popolazione mondiale aspira ad avere sufficiente cibo per le generazioni presenti e quelle future dandosi obiettivi di alto profilo etico in nome della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Però, ogni tanto, qualcuno fa guerra per accaparrarsi risorse e terre dove coltivare grano mentre molti ricercatori cercano altre vie per dare da mangiare al mondo intero.
Già nei primi decenni del Novecento lo scienziato sovietico Nikolai Ivanovich Vavilov (1887-1943) aveva ipotizzato che la coltivazione delle piante avesse avuto origine nelle aree geografiche di maggiore concentrazione delle diversità genetiche. Viaggiò in tutte le parti del mondo per collezionare piante e semi per aumentare la produzione agricola usando le tecniche di miglioramento genetico note in Occidente. Diversità e miglioramento genetico erano le leve per aumentare la produzione agricola, innanzitutto di grano. Dopo la rivoluzione di ottobre anche gli scienziati “borghesi” come Vavilov avevano un certa libertà di azione in Unione Sovietica perché utili alla causa rivoluzionaria. Vavilov era a capo dell’Istituto pansovietico per l’allevamento delle piante, presso il quale svolgeva importanti ricerche di miglioramento genetico. Il regime stalinista aveva bisogno di risultati immediati per combattere la fame di una popolazione che si ritrovava in condizioni miserabili dopo la fine della Prima guerra mondiale. Il regime comunista imponeva i dogmi rivoluzionari a tutto, compresa la scienza, in nome della rivoluzione. Se Darwin aveva scoperto le leggi dell’evoluzione delle specie, Marx aveva individuato le leggi della storia: il comunismo era pertanto una scienza.
 (Nikolai Ivanovich Vavilov)

Negli anni Trenta, mentre Vavilov sviluppava le proprie teorie genetiche, in Unione Sovietica Stalin imponeva un regime totalitario. Nessuna idea diversa da quelle del partito comunista era ammessa. Prevalevano gli interessi immediati e pratici e all’economia fu imposto un piano di riforme per lo sviluppo industriale immediato. All’Istituto di Vavilov fu dato l’obiettivo di fornire varietà più produttive in meno di cinque anni. Un acceso rivale scientifico e soprattutto politico di Vavilov, Trofim Denisovic Lysenko (1898-1976) sosteneva idee molto diverse sul miglioramento delle piante. Egli sosteneva che la variazione e l’adattamento delle specie botaniche dipendevano semplicemente da risposte ai cambiamenti dei fattori esterni, secondo la teoria del francese Jean Baptiste Lamarck per la quale le caratteristiche acquisite per variazioni ambientali sarebbero trasmissibili. Lysenko pertanto proponeva la vernalizzazione dei semi per aumentare la produttività del grano e risolvere il problema delle carestie. Bastava sottoporre i semi a tecniche di raffreddamento per avere grano che germogliasse velocemente anche se seminato in primavera e non durante l’inverno. Il confronto tra Vavilov e Lysenko non avvenne però sul piano scientifico ma su quello ideologico, che scoppiò in modo drammatico durante il convegno annuale del 1936 dell’Accademia sovietica per le scienze agrarie. Lo scontro era tra le teorie genetiche del monaco Gregor Mendel e i principi scientifici di Ivan Michurin basati sul materialismo dialettico che vedeva la pratica di coltivazione di milioni di contadini sovietici come fondamento dei miglioramenti produttivi. La teoria mendeliana era accusata di essere “idealista e “metafisica” perché basata solo su pochi esperimenti di laboratorio, borghesi e capitalistici, senza una vera prova di campagna. Le teorie Lysenkoiste prevalsero e furono adottate dal regime stalinista. I genetisti che usavano i metodi della comunità scientifica internazionale furono considerati reazionari e fascisti, imprigionati e ridotti al silenzio. Nikolai Vavilov, dopo un dibattito violentemente ideologico, fu accusato di essere nemico del popolo, arrestato nel 1940 e condannato a morte, senza che la sentenza fosse eseguita. Morì in carcere nel 1943 di polmonite e riabilitato solo nel 1955.
 (Trofim Denisovic Lysenko)

Gli intellettuali comunisti italiani non furono distanti da questo dibattito, dividendosi in schieramenti opposti, uno timido e l’altro molto più agguerrito. I timidi più che altro evitavano di prendere posizione. Il Partio Comunista Italiano (Pci) aveva vietato di discutere la questione nelle sezioni, ma le discussioni elitarie c’erano, di fatto giustificando le purghe degli scienziati. I fedeli alla linea presero le difese del Lysenkoismo, in nome della prevalenza dell’ideologia sulla scienza. Emilio Sereni, stimatissimo studioso di agricoltura e uomo di partito sostenne il carattere partitico della scienza e la necessità di restare fedeli all’URSS. I contrari alla teorie di Lysenko furono espulsi dal partito come reazionari e lacchè dell’imperialismo. Persino Italo Calvino – intellettuale di certo sensibile – nel dicembre 1948, a poche settimane dalla preferenza accordata da Stalin a Lysenko, scriveva sull’Unità: “In un paese socialista il progresso della cultura non è staccato dal progresso comune di tutta la società. Bisogna che lo scienziato non si proponga la scienza per la scienza. Il primo criterio deve essere ‘serve o non serve allo sviluppo della rivoluzione’”.
C’è da chiedersi a che punto siamo, oggi?

* Gian Luigi Corinto, Geografo culturale, consulente Aduc
 
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