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Meno lavoro, più figli? L'esperienza giapponese
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Articolo di Redazione
16 dicembre 2024 16:11
 
 Da aprile 2025 il governo metropolitano di Tokyo taglierà la settimana lavorativa dei suoi dipendenti, riducendola a quattro giorni. L’obiettivo, ha detto la governatrice della capitale giapponese Yuriko Koike, è far «recuperare tempo» alle madri lavoratrici e incentivare le nascite nel Paese più vecchio al mondo, per giunta noto per i suoi orari di lavoro massacranti (e il karoshi, la «morte per troppo lavoro»).
 
La misura, in realtà, non è nuova: le prefetture di Chiba e Ibaraki hanno già introdotto la settimana corta e lo stesso faranno a breve a Miyagi.
 
Ma basterà un venerdì libero?
 
Trent’anni di incentivi economici in Giappone non sono serviti a riscaldare l’inverno demografico. I fattori che influenzano la scelta di diventare genitori, si sa, sono molteplici. Come spiega Francesco Billari, demografo e rettore della Bocconi, non c’è una sola misura che da sola può invertire la curva demografica. Piuttosto serve un «ecosistema di politiche». 
 
Il lavoro, certo, è una variabile importante. E se in passato i tassi di occupazione femminile erano legati negativamente alla fertilità, ora vengono invece associati positivamente alla crescita demografica. Ma dipende molto da come le donne lavorano e in che condizioni. E non è detto che la settimana corta sia la soluzione. Anzi. 
 
Oggi in Giappone lavora l’80 per cento delle donne tra i 25 e i 54 anni. Una soglia raggiunta anche per far fronte alla grave mancanza di manodopera dovuta alla diminuzione del tasso di natalità, unita al numero crescente di pensionati. 
 
Ma le donne giapponesi rappresentano solo il 25 per cento dei lavoratori a tempo pieno e con contratto a tempo indeterminato. La maggior parte ha invece lavori a tempo e part-time, con stipendi più bassi degli uomini (una condizione simile a quella italiana dove però il tasso di occupazione femminile è al 53,6 per cento).
 
Ed ecco trovato il primo problema. Uno studio recente ha esaminato infatti l’associazione tra instabilità lavorativa delle donne e probabilità di avere un figlio. E i risultati dicono che, rispetto a quelle che hanno il posto fisso, avere un lavoro temporaneo per le donne è associato a probabilità inferiori di nascite (indipendentemente dalla situazione lavorativa degli uomini). 
 
Chi ha un lavoro stabile, invece, è più probabile che faccia figli. Ma un contratto da solo non basta.
 
Dipende anche dall’organizzazione del lavoro. Secondo i dati l’Ocse, il tasso di natalità è più alto nei Paesi non solo dove le donne lavorano di più, ma in quelli dove si riescono a conciliare meglio lavoro e vita familiare. In questi casi, il tasso di occupazione è alto, la natalità pure e le economie crescono. 
 
Ma la settimana corta può essere sempre uno strumento di conciliazione? Esistono sì diversi studi che dimostrano che dove ci sono condizioni di lavoro più flessibili la partecipazione femminile al lavoro e la natalità sono più alte.
 
Ma non è detto che la settimana corta, concentrando il lavoro di cinque giorni in quattro, sia la soluzione. Anzi. Come avevamo già scritto, il rischio è che quei quattro giorni diventino giorni in cui la vita lavorativa prende il sopravvento, senza di fatto avere tempo per fare altro. Un modo migliore per intervenire, invece, potrebbe essere quello di aggiungere flessibilità ai giorni di lavoro, senza ridurli. «Desincronizzando» le giornate, si darebbe ai dipendenti la possibilità di entrare e uscire dagli uffici con grande flessibilità di orari. Sia uomini che donne.
 
Senza sottovalutare, però, le variabili culturali. In Giappone la separazione dei compiti in famiglia in base al genere è ancora molto rigida e sbilanciata sulle donne. Compresa la cura dei genitori del marito quando sono anziani.
 
Nel 2021 il Parlamento giapponese ha introdotto il congedo di paternità, anche se breve. I padri possono prendere fino a quattro settimane di congedo nelle otto settimane successive alla nascita, ma lo fa solo il 15 per cento. Tant’è che una nuova norma ha previsto che tutte le aziende giapponesi con più di cento dipendenti debbano stabilire e rendere pubblici gli obiettivi per l’utilizzo del congedo di paternità. 
 
Last but not least, contano i servizi per l’infanzia. Non è un caso che il governo metropolitano di Tokyo, oltre alla settimana corta, abbia annunciato anche di voler rendere gratuiti gli asili nido per tutti i bambini in età prescolare a partire dal prossimo settembre.
 
L’Ocse ha dimostrato un’associazione positiva tra tasso di fertilità, occupazione maschile e femminile e spesa pubblica per i servizi per l’infanzia. Mentre i sostegni economici alle famiglie hanno un impatto nettamente inferiore. 
 
E invece sapete cosa ci sarà nella prossima legge di stabilità italiana? Sì, l’ennesimo bonus bebè. Che servirà al governo per fare grandi proclami, ma non certo agli italiani per fare più figli. 

(Lidia Baratta, newsletter Forza Lavoro de Linkiesta del 16/12/2024)

 
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