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Migrazioni. Un mondo in fuga
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Articolo di Redazione
6 settembre 2024 11:45
 
 Il nuovo rapporto dell’UNHCR permette di fare il punto sugli ultimi sviluppi delle migrazioni forzate in tutto il mondo. Una situazione internazionale sempre più instabile ha determinato nel 2023 una ulteriore crescita delle persone sotto protezione internazionale, arrivate ormai a superare i 117 milioni. Alcuni dei temi trattati dal rapporto sono esaminati in questo articolo da Corrado Bonifazi, pubblicato su Neodemos del 06/09/2024.

Il quadro d’insieme
Il rapporto Global Trends1 che tutti gli anni viene pubblicato dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della protezione internazionale, fornisce numerose informazioni su un aspetto del fenomeno migratorio che l’aumento delle guerre e dei conflitti sta rendendo sempre più importante anche da un punto di vista quantitativo. Il quadro complessivo che emerge dai dati raccolti è purtroppo desolante e conferma come l’instabilità internazionale si traduca sempre più spesso in conflitti bellici, il cui inevitabile corollario, oltre a morte e distruzione, è la fuga delle persone dai luoghi interessati dalle operazioni militari. I dati non lasciano spazio a dubbi di sorta. In soli nove anni il numero delle persone sotto protezione in tutto il mondo è infatti quasi raddoppiato, passando dai circa 60 milioni del 2014 ai 117,3 della fine del 2023 (Fig. 1). E le cronache di questa prima metà del 2024 fanno ritenere che la tendenza stia continuando con un’ulteriore crescita dei valori.
 
a cifra complessiva fornita dall’UNHCR comprende 31,6 milioni di rifugiati, 6,9 milioni di richiedenti asilo, 6 milioni di rifugiati palestinesi sotto mandato dell’UNRWA2 (recentemente assurta agli onori delle cronache durante l’occupazione israeliana della striscia di Gaza), 5,8 milioni di altre persone sotto protezione internazionale e 68,3 milioni di sfollati interni3. I tre quarti di queste persone riceve assistenza e protezione in un paese a basso o medio reddito, mentre il 21% si trova in uno dei paesi meno sviluppati e il 69% di chi è stato costretto a lasciare il proprio paese è stato accolto in uno stato confinante.  

Paesi d’origine e d’asilo
Considerando i paesi di origine delle persone protette emerge una geografia delle migrazioni forzate che interessa una parte di mondo molto più vasta di quella che generalmente trova spazio sulle prime pagine dei giornali o nei notiziari della sera. Tra i paesi che contribuiscono di più a questa tragica classifica ne troviamo infatti alcuni che in questi ultimi anni sono stati al centro dell’attenzione mediatica accanto ad altri che ne sono rimasti decisamente ai margini (Fig. 2). La Siria con quasi 14 milioni di persone è il paese che più contribuisce alle migrazioni forzate, seguita dall’Ucraina con 12,3, dal Sudan con 10,8, dal Venezuela (10,6), dall’Afghanistan (10), dalla Repubblica Democratica del Congo (9,2), dalla Colombia (7,9), dalla Palestina4 (6), dalla Somalia (4,9), dallo Yemen (4,6) e dal Myanmar (4,2). Dopo quelli riportati nel grafico altri sette paesi sono i luoghi d’origine di più di un milione di persone sotto protezione internazionale alla fine del 2023: sei in Africa (Sud Sudan, Nigeria, Etiopia, Burkina Faso e Repubblica Centroafricana) e l’Iraq in Asia. 

Questi dati spiegano anche il mosaico di provenienze che si ritrova tra chi sbarca sulle nostre coste, frutto evidente del moltiplicarsi delle situazioni di crisi e di una pressione crescente che si è creata in questi ultimi anni in una molteplicità di paesi. Il peso delle diverse categorie è differente nelle varie situazioni, sia per le specifiche caratteristiche del conflitto sia per le modalità di azione della comunità internazionale. È ad esempio elevato il numero di rifugiati provenienti dalla Siria, dall’Ucraina e dall’Afghanistan ospitati in altri paesi, mentre questa categoria assume negli altri casi considerati un rilievo decisamente minore a vantaggio dei profughi interni o delle “Altre categorie”. In quest’ultimo gruppo sono soprattutto comprese persone che sono state costrette a lasciare il proprio paese e che, pur non rientrando nelle altre categorie, hanno ugualmente bisogno di protezione internazionale.
A scopo puramente indicativo è stata calcolata la percentuale dell’insieme delle persone sotto protezione sull’ammontare degli abitanti dei paesi considerati. Non si tratta evidentemente di un rapporto di derivazione, anche perché è difficile stabilire come i diversi paesi considerano queste persone nelle statistiche fornite alla Population Division delle Nazioni Unite da cui sono stati presi i dati sulla popolazione, ma si tratta di una indicazione utile ad avere almeno un’idea di massima di quanto la situazione di crisi pesi nelle varie realtà. Da questo punto di vista la situazione peggiore è quella dei palestinesi, dato che in questo caso il numero dei protetti è addirittura superiore a quello degli abitanti dello Stato di Palestina5, risultato emblematico di una crisi che si è aperta con la prima guerra arabo-israeliana del 1948 e che i recenti sviluppi stanno drammaticamente peggiorando. Nel caso siriano si arriva quasi al 60%, segue il Venezuela con il 37,4%, quattro paesi hanno valori superiori al 20% (Ucraina, Somalia, Afghanistan e Sudan), mentre gli altri presentano percentuali inferiori sino al minimo del 7,8% del Myanmar, dove la situazione di crisi riguarda la minoranza dei Rohingya. 

Guardando il fenomeno dal lato dei paesi che ricevono le migrazioni forzate6, quelli che nel mondo ospitano il maggior numero di persone sotto protezione originarie di un altro stato sono l’Iran (3,8 milioni), la Turchia (3,3), la Colombia (2,9), la Germania (2,6) e il Pakistan (2) (Fig. 3). La quasi totalità dei rifugiati ospitati in Iran e Pakistan è costituita da afghani, come quasi tutti quelli accolti in Turchia sono siriani. Durante l’ultimo decennio, il numero degli stranieri protetti è aumentato in tutti e cinque i principali paesi d’asilo, anche se in Turchia i valori sono diminuiti a partire dal 2021.

La Germania è, tra i paesi considerati, il solo a non confinare con quelli di origine dei rifugiati che ospita ed è anche quello che presenta un più ampio ventaglio di provenienze. La maggior parte dei rifugiati presenti in Germania proviene infatti dall’Ucraina (1,1 milioni), dalla Siria (706 mila), dall’Afghanistan (255 mila) e dall’Iraq (146 mila).

Conclusioni
Il quadro che emerge dall’ultimo Global Report dell’UNHCR non lascia certo spazio all’ottimismo. La situazione mondiale presenta, come si è visto, numerose criticità ben lontane dal poter trovare soluzioni soddisfacenti in tempi rapidi e, anzi, a rischio di registrare ulteriori peggioramenti. Purtroppo, come ha ammonito Papa Francesco «il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito terza guerra mondiale a pezzi in un vero e proprio conflitto globale»7. Finché la comunità internazionale non riuscirà a trovare equilibri più stabili, in grado di assicurare la pacifica convivenza tra gli stati e all’interno dei paesi, le migrazioni forzate continueranno a crescere. Anche perché in molte realtà ai conflitti si sovrappongono gli effetti dei cambiamenti climatici. Nella regione centrale del Sahel, ad esempio, la grave crisi umanitaria che ha già costretto oltre 4 milioni di persone ad abbandonare le proprie case sta peggiorando a causa dei cambiamenti climatici, che stanno aggravando il conflitto per le scarse risorse disponibili8. Come tutto questo si leghi a quanto avviene sulle nostre coste è ben sintetizzato dalla mappa sulle principali rotte che dall’Africa conducono nel Mediterraneo centrale e occidentale riportata nel rapporto dell’UNHCR (Fig. 4). 

Una fitta trama di percorsi lega quasi tutti i paesi riportati nella figura, utilizzando le vie che per secoli hanno collegato attraverso il deserto l’Africa sub-sahariana al mondo mediterraneo e a quello arabo. Per molte di queste zone il traffico dei migranti, con il suo costo di vite umane, è diventato una importante attività economica e gli stessi stati di transito non esitano a utilizzare il controllo su questi flussi come merce di scambio nelle relazioni con i paesi d’arrivo. Senza dimenticare il ruolo crescente nell’area di due potenze, come la Russia e la Cina, che in questo momento non hanno grande interesse a ridurre un problema soprattutto europeo. Se non si interviene sulle cause del fenomeno, iniziando da quelle politiche e dai conflitti che alimentano un mondo in fuga grande ormai due volte l’Italia, qualsiasi soluzione non potrà che essere effimera. Le migrazioni irregolari più che il problema sono il risultato di processi complessi e tra questi l’instabilità delle relazioni internazionali sta acquistando un peso sempre più elevato. 

Note
1 UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees), Global trends. Forced displacement in 2023, Copenhagen, UNHCR.
2 L’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) si occupa specificatamente di fornire assistenza e protezione ai rifugiati palestinesi registrati.
3 La somma di questi valori dà una cifra superiore al totale di 117,3 milioni riportato sopra in quanto alcuni gruppi di persone sotto protezione rientrano in più di una categoria. 
4 Nel rapporto dell’UNHCR viene riportato l’ammontare complessivo dei profughi palestinesi sotto mandato dell’UNRWA ma non i valori più specifici disponibili per gli altri paesi.
5 Riconosciuto da 147 paesi, ha lo status di osservatore permanente presso le Nazioni Unite e rivendica la sovranità sui territori palestinesi della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e della striscia di Gaza. 
6 Il rapporto dell’UNHCR non riporta i dati relativi ai profughi palestinesi per paese d’asilo che, secondo le stime dell’UNRWA (), sono 2,5 milioni in Giordania, 1,34 milioni nella striscia di Gaza, 871 mila nella West Bank, 438 mila in Siria e 270 mila in Libano.
7 Chiesa di Milano – Papa Francesco: «La terza guerra mondiale a pezzi è un conflitto globale»
8 UNHCR – Sahel emergency



 
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