La relazione fra costo pagato e qualità del prodotto/servizio ricevuto, pur con notevoli eccezioni, è un fatto del quale ciascuno di noi ha avuto più volte esperienza diretta.
In genere, un prodotto di grande qualità costa di più di un prodotto di scarsa qualità.
Si può dire la stessa cosa anche per i prodotti/servizi finanziari?
La risposta veloce è un “NO” secco e forte. Vediamo perché?
La triade: rischio-rendimento-costo
In finanza esiste un rapporto ineliminabile fra rischio e rendimento
atteso (da ribadire l’aggettivo “atteso”). A maggior rendimento atteso corrisponde un aumento del rischio.
Quando sottoscriviamo un prodotto finanziario o acquistiamo uno strumento finanziario (1) lo facciamo puntando ad un certo rendimento atteso. Per far tentare di ottenere un certo rendimento atteso dobbiamo sopportare un certo livello di rischio. Se, nel sottoscrivere un prodotto finanziario subiamo dei costi, il rendimento atteso al quale possiamo puntare, a parità di rischio, sarà necessariamente inferiore. Il costo, quindi, diminuisce direttamente la “qualità” di ciò che vogliamo “comprare” cioè un certo livello di rischio/rendimento. In pratica è come se andassimo dal fruttivendolo a comprare 10 mele e qualcuna di queste fosse già morsa dal fruttivendolo.
L’industria del risparmio gestito “giustifica” questi costi con la “favola del bravo gestore” cioè la presunta capacità di battere il mercato producendo un rendimento maggiore a quello del mercato a parità di rischio. La narrazione che propongono i venditori della finanza è più o meno la seguente: u
n gestore professionista che si occupa dei tuoi risparmi è in grado di tirare fuori dai mercati un rendimento maggiore di quello medio, per questo si fa pagare. Purtroppo è statisticamente dimostrato che questa presunta capacità di estrarre maggiore rendimento a parità di rischio è semplicemente una favola (2). A parità di rischio, mediamente, a causa dei costi, si ha un diminuzione del
rendimento netto.
In sintesi, quindi, il costo nei prodotti finanziari diminuisce direttamente la “qualità” del prodotto stesso, ovvero lo scopo per il quale lo sottoscriviamo.
Questa è la ragione più diretta per la quale in finanza maggior costo non significa maggior qualità ma l’esatto opposto.
L’incidenza dei costi nel servizio di consulenza
Oltre a fare un danno diretto, come abbiamo visto, nel settore degli investimenti finanziari i costi provocano un danno ancora più grave:
influenzano le informazioni che gli investitori ricevono.
I vari venditori della finanza, ovvero i promotori finanziari (che adesso si fanno chiamare “consulenti”, ma rimangono agenti di commercio a tutti gli effetti) ed i bancari che si occupano di suggerire come investire i soldi dei clienti, non sono affatto liberi di proporre ciò che è realmente nell’
esclusivo interesse dei clienti. Tutte queste persone consigliano gli investitori sulla base delle informazioni che ricevono
dagli stessi intermediari che li pagano.
Molto spesso, quindi, non è neppure una questione di mala fede di questi venditori. Le informazioni fuorvianti (quando non proprio ingannevoli) che danno ai clienti derivano da un mix di informazioni sbagliate che loro per primi ricevono dalle banche e varie pressioni commerciali.
Proprio a causa dei costi, agli investitori vengono proposte
solo i prodotti tendenzialmente più costosi o comunque quelli che in quella fase sono incentivati dagli intermediari attraverso la propria rete di vendita.
Questo fa si che, di fatto, gli investitori non ricevano una vera consulenza finanziaria basata sui propri bisogni. Al contrario, nel migliore dei casi ricevono informazioni fuorvianti, nel peggiore ricevono informazioni false ed ingannevoli.
L’assenza di una vera consulenza finanziaria implica un danno ancora maggiore rispetto al minor rendimento dovuto ai costi. Il fatto di sottoscrivere prodotti o strumenti finanziari senza una vera consulenza finanziaria ed in presenza di informazioni fuorvianti fa sì che questi prodotti vengano utilizzati male. I clienti tendono a prendere più rischi di quelli che si potrebbero permettere e quando si accorgono che le cose vanno male si spaventano anche oltre il necessario e magari vendono nei momenti peggiori.
Le statistiche dimostrano che i rendimenti dei fondi comuni d’investimento sono molto superiori della media dei rendimenti effettivamente percepiti dai clienti. Questo può apparire illogico e contraddittorio, ma è la pura realtà ed è causato dal momento in cui questi fondi sono sottoscritti e riscattati. Dire che un fondo negli ultimi 3 anni ha avuto un rendimento medio annuo, mettiamo, del 5% non significa che i loro sottoscrittori abbiano avuto lo stesso rendimento. Solo l’ipotetico sottoscritto che ha sottoscritto esattamente tre anni fa ed ha mantenuto le stesse quote fino ad oggi ha ottenuto quel rendimento. In genere, però, i fondi vengono sottoscritti nel momento peggiore, quando cioè i prezzi sono molto elevati, perché quando i fondi vanno bene è più facile per i venditori convincere i clienti a sottoscriverli. Viceversa i fondi vengono abbandonati quando vanno male. Le statistiche sulle sottoscrizioni e sui riscatti dei fondi comuni sono impietose.
I pochi studi che sono stati pubblicati in materia indicano che il momento in cui i clienti sottoscrivono e disinvestono i fondi comuni d’investimento diminuisce il rendimento medio, rispetto a quello del fondo, di oltre il 2% all’anno! Questo è un problema molto più grande dei costi in sé, ma indirettamente deriva dal problema dei costi del risparmio gestito.
Note:
(1) Con “prodotto” finanziario intendiamo un prodotto costruito da un intermediario finanziario come: fondo comune d’investimento, gestione patrimoniale, obbligazioni strutturate, polizze vita, ecc. Questi prodotti vengono emessi allo scopo di guadagnare sulle commissioni di gestione o di collocamento dello strumento. Con il termine “strumento finanziario”, invece, ci riferiamo a titoli (obbligazioni o azioni), solitamente quotati nei mercati finanziari, emessi da aziende o emittenti al fine di raccogliere capitale funzionale al proprio business.
(2) La documentazione scientifica a conferma di quanto esposto è sterminata. Citiamo, ad esempio, lo studio di Banca d’Italia che non può certo essere sospettata di un atteggiamento ostile nei confronti delle banche:
clicca qui.
La conclusione di questo studio è la seguente: “L’analisi preliminare dei rendimenti dei singoli fondi ha confermato la modesta performance di tali fondi nel periodo considerato, in linea con quanto osservato in altri lavori analoghi relativi ai fondi italiani o di altri Paesi. Inoltre, le stime hanno mostrato che anche a livello di SGR non esiste una capacità specifica di generare extraperformance al netto delle commissioni. […] i rendimenti al netto delle commissioni corretti per il rischio rispetto ai benchmark scelti dai gestori sono negativi o
al più nulli per quasi tutte le SGR. Non si osservano, inoltre, regolarità empiriche
nella capacità di “creare valore””.