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CASE DA GIOCO
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Comunicato 
11 marzo 1999 0:00
 

CONTINUA L'IPOCRITO DIVIETO, ALIMENTATO DA DEROGHE E CONCESSIONI CHE VENGONO ELARGITE E IMPINGUANO LA CRIMINALITA'.

Firenze, 11 Marzo 1999. I senatori Antonio D'Ali' (Fi) e Anna Maria Bucciarelli (Ds) hanno presentato un emendamento al Ddl collegato sul fisco, in cui chiedono che al Governo sia data delega per decidere se aprire nuove case da gioco, con un tetto massimo di 16.
"Le innovazioni che non cambiano nulla e aggravano l'esistente". Cosi' commenta Il presidente dell'Aduc Vincenzo Donvito. In Italia vi sono quattro casino'-Campione, Venezia, San Remo e Saint Vincent- dove il gioco d'azzardo e' legale, mentre c'e' una grande quantita' di bische dove e' praticato clandestinamente. Paradossalmente, la logica vorrebbe che le remore morali che ne impediscono la legalizzazione, fossero valide anche per quelle quattro che, coerentemente, dovrebbero essere chiuse.
L'esistenza di queste quattro, in posizione di assoluto privilegio, da' ai relativi Comuni notevoli vantaggi economici. Per questo una depenalizzazione avrebbe una ricaduta positiva sull'economia e sull'occupazione, e darebbe un duro colpo alla criminalita' organizzata, sottraendole il lucro che le deriva dalla gestione clandestina.
La legge comunitaria del 29/12/90, n.428, e il decreto legislativo 23/11/91, n.391, recependo la direttiva 75/368/CEE del Consiglio, del 16/6/75, obbligano il nostro Parlamento a stabilire i principi fondamentali per l'esercizio del gioco d'azzardo e per il trattamento dei dipendenti, ma non e' stato fatto. Anche una sentenza della Corte costituzionale (n.152 del 6/5/85) invita il Governo, ma tutto rimane li', e anzi, si conferma la situazione con la proposta odierna di nuovi 16 Comuni privilegiati, magari nei collegi elettorali dei senatori proponenti, che ribadisce la visione statalista e moralistica che e' alla base dell'attuale normativa. Manca una visione di ampio respiro, per risolvere una situazione che oltre a privilegio, crea illegalita'.
Non solo, ma in quasi tutti i disegni di legge che periodicamente vengono presentati per l'apertura di nuovi casino', i proventi sarebbero tutti da ripartirsi tra le amministrazioni locali che le ospitano. La visione che i ricavi del gioco non possono essere privati, ma statali, e' la morale per cui nessuno puo' arricchirsi con il gioco: un vero e proprio giudizio morale: un individuo non puo' essere libero di decidere sull'uso del proprio denaro, non puo' spenderlo in una partita a poker con amici, ma puo' spenderlo invece nell'acquisto del gratta e vinci, tipico esempio di un gioco il cui fine di lucro e l'aleatorieta' sono nella stessa natura. Solo perche' la gestione di quel denaro andra' (o dovrebbe andare) poi a vantaggio della collettivita', e' sufficiente per considerarlo legale e per essere ben pubblicizzato. Nessuno puo' arricchirsi, con l'eccezione dello Stato.
Quello di cui stiamo parlando e' solo la punta di un iceberg, con sotto le bische clandestine e il gioco illegale, intorno a cui fiorisce l'usura. Proibire non ha eliminato il problema, a maggior ragione quando al proibizionismo c'e' la deroga e la liceita' dello Stato, che si dimostra arrogante nel praticare a suo vantaggio cio' che invece, con la legge, indica come negativo per i cittadini. Lo Stato non volendo far fiducia alle capacita' di ognuno di essere libero ha praticamente delegato la gestione di un'attivita', da cui avrebbe avuto ulteriori ricavi economici, alla criminalita' organizzata, che si arricchisce e ringrazia qualsivoglia proibizionismo.
E tutto cio' e' rafforzato dagli emendamenti dei due senatori che -in politica non esiste
 
 
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