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Netanyahu secondo il severissimo giudizio del politologo israeliano Neve Gordon
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
26 maggio 2024 7:54
 
 Su "La Stampa" del 25 Maggio c'è un severo giudizio su Netanyahu. Non viene però da filopasletstinesi, bensì da Neve Gordon, un autorevole politologo israeliano, professore di Scienze Politiche all’Università Ben Gurion del Negev, e collaboratore di diverse testate internazionali come  “The Guardian” e “Washington Post”.
L'intervista a Gordon è di Orlando Trinchi, e si intitola "Bibi rischia di diventare un paria, ma non ha intenzione di fermarsi".
Gordon esordisce affermando che “Purtroppo, le pressioni internazionali hanno poco effetto. Netanyahu non auspica che si giunga alla fine del conflitto. Vuole solo che continui, continui, continui”. Perché, prosegue Gordon, “qualora essa finisse, dovrebbe rispondere delle sue responsabilità nel massacro del 7 ottobre e anche dei tre processi che si svolgeranno per corruzione”.
(Se il politologo dà per scontato che tutti sappiano come e perché il capo del governo israeliano sia responsabile nel massacro di inermi israeliani compiuto da Hamas il 7 ottobre, bisogna ricordare che Netanyahu, assolutamente contrario da sempre alla soluzione “Due popoli due Stati”, fino a non molti anni fa, ha foraggiato ampiamente Hamas nella Striscia di Gaza, facendogli giungere finanziamenti multimilionari dal Quatar al fine di indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese [ANP] presieduta da Abu Mazen. Così facendo, intendeva dimostrare che i Palestinesi non erano uniti e quindi era esclusa una trattativa per creare uno Stato palestinese. Hamas ha usato però questo fiume di denaro per armarsi fino ai denti ed entrare in conflitto con Israele, sapendo benissimo che a un attacco come quello del 7 ottobre, Israele avrebbe reagito attaccando Gaza e facendo strage di Palestinesi innocenti, gente comune, la cui vita non interessa né a Hamas né tanto meno a Netanyahu).
Netanyahu, dunque, sembra non temere per il mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja a carico suo, del Ministro della Difesa Yoav Gallant e dei leader di Hamas e ignora l’avvertimento della Corte di Giustizia internazionale per quanto riguarda Rafah, attaccando senza pietà questo estremo lembo di terra dove si sono rifugiati i Palestinesi in fuga dal nord di Gaza.
Su questo attacco, Gordon sostiene che “vi erano infinite alternative all’attacco. Non era necessario… Si tratta di un’area estremamente popolata. Questo attacco rappresenta solo la continuazione dell’offensiva generale rivolta contro i cittadini palestinesi e porterà inevitabilmente a ulteriori crimini contro l’umanità e alla disperazione della popolazione: in sostanza, alla distruzione del popolo palestinese …”.
Tuttavia, osserva Gordon, la richiesta di un mandato di arresto è estremamente significativa, perché “trasmette il messaggio che, a livello internazionale, questi leader sono sospettati di aver commesso crimini di guerra, contro l’umanità e forse un genocidio …”. E aggiunge che, anche se non verranno arrestati, “il messaggio che arriva – l’idea che siano dei paria e dei criminali – è davvero importante”.
Fra l’altro, come ha osservato il portavoce dell’esercito, Hagari, anche dopo Rafah, continuerà ad esserci terrorismo. E questo dimostra che le politiche israeliane a Gaza non hanno senso.
Su Biden, che blocca l’invio di armi e il possibile aumento della spaccatura tra USA e Israele, Gordon osserva che sicuramente il rinvio della fornitura di centinaia di missili da parte degli USA è un messaggio importante inviato a Netanyahu, ma esso dovrebbe essere più incisivo; cioè Biden dovrebbe dire che gli USA smetteranno di inviare armi fino al cessate il fuoco o finché i negoziati non avranno dato risultati.
Per quanto riguarda la richiesta  delle famiglie degli ostaggi di accettare l’accordo con Hamas, Gordon esprime il suo pessimismo: “Le loro voci non sono ascoltate e il governo, invece di cercare un accordo o un compromesso, ha deciso di entrare a Rafah”.
Altrettanto pessimista sulla possibilità che sia scarcerato Marwan Barghouti, che fu a capo della Prima e Seconda Intifada. Anzi, Gordon afferma che “ ogni volta che un leader palestinese emerge … Israele lo imprigiona o, addirittura, lo uccide”. Secondo lui, “Barghouti potrebbe giocare un ruolo importante, ma è parte della strategia israeliana … da decenni di indebolire la leadership palestinese …”.
Infine, sulla decisione dell’ONU che lo Stato di Palestina è qualificato per l’adesione alle Nazioni Unite, Gordon ripete che anche questa decisione è simbolica, e che “in politica i simboli sono importanti”, e termina affermando che “a causa di quanto accaduto, la parte israeliana deve fare un passo indietro al fine di includere i cittadini palestinesi o di consentire la creazione di uno Stato palestinese”. 
(il grassetto è redazionale).
 
 
 
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