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Dischi audio-video: dal vinile al Bluray
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Easytech di Ezio Rotamartir*
17 maggio 2010 11:41
 
 Da ogni parte troviamo inviti all’ascolto della musica in surround. Parlare di qualità della musica e dell’ascolto in un’epoca in cui il mezzo più gettonato è l’iPod, o qualche suo surrogato (con cuffietta), sembra assolutamente uno spreco di tempo e di energia. E invece no, qualcuno ha deciso che lo sviluppo di nuovi sistemi di riproduzione della musica avrebbe portato grandi guadagni nelle casse delle case discografiche e dei produttori di apparecchiature elettroniche, oltre, ovviamente, a qualche beneficio anche per chi ascolta, passando dal suono in stereo a quello in surround.
Per chiarire: stereofonico è tutto ciò che viene riprodotto su due canali, destro e sinistro, in grado di ricreare nella mente di chi ascolta la sensazione di una musica suonata di fronte a sé. Il termine surround (dall’inglese to surround: circondare) indica un sistema di ascolto più complesso che prevede l’utilizzo di più canali, di fronte, di lato o dietro all’ascoltatore, in grado di ricreare anche la sensazione di spazialità del luogo ove il suono originale è stato registrato.
La musica dai tempi in cui è diventata digitale, diciamo intorno al 1985 anno di apparizione sui mercati dei lettori di Compact Disc, ha sempre rincorso due grandi traguardi: la qualità assoluta e l’assoluta sicurezza dei dati riprodotti. Per chi non lo sapesse per musica digitale si intende tutto ciò che è “ridotto” in polvere numerica, fatta di lunghissime sequenze di numeri 0 e 1, che, una volta inserita negli appositi lettori, viene ricostruita e riprodotta con grande fedeltà al modello originale (l’ascolto dal vivo).
All’epoca si partiva da due tipologie di ascolto: il nastro magnetico e il disco in vinile. Il primo era suscettibile di una serie infinita di problemi, non ultimo la dilatazione o la smagnetizzazione del nastro che portava alla cancellazione parziale o totale del suo contenuto. Il disco in vinile dopo qualche ascolto cominciava a soffrire di alcuni problemi indotti dallo sfregamento della puntina del giradischi nei solchi del disco stesso. Per parlare a fondo di questi problemi avremmo bisogno di così tanto spazio da aprire, forse, una nuova rubrica ma lasciamo la discussione agli appassionati di alta fedeltà che, ancora oggi, amano e venerano il disco nero (1).
L’epoca del CD nacque all’insegna della purezza della musica e di una qualità che sarebbe rimasta inalterata nel tempo. Balle. I primi CD suonavano “puliti” perché la lettura dei dati avveniva attraverso un raggio laser e non meccanicamente come nei giradischi, ma il suono lasciava spesso a desiderare. Sul fatto che fossero eterni vorrei portare ad esempio le decine di CD che ho buttato perché il loro rivestimento metallico si è dissolto rendendoli illeggibili. Una piccola digressione su questo argomento.
Forse non tutti sanno che il CD (così come tutti i suoi discendenti e derivati) viene stampato con un’apposita pressa che crea il disco già inciso ma trasparente, un semplice cerchietto bucato di policarbonato, una materia che ai più potrebbe apparire come semplice plastica. Il disco in quello stato è illeggibile, perché il raggio laser dei lettori lo passerebbe da parte a parte, senza rilevarne i dati contenuti. A questo proposito viene posto uno strato di materiale (solitamente una lega di argento) su di un lato così che il raggio laser puntando al disco rimbalzerà sullo stesso riportando al sistema le informazioni contenute che verranno trasformate in musica.
Torniamo all’oggetto del discorso, il nostro nuovo formato musicale, il Compact Disc, un supporto di 12 centimetri che avrebbe rivoluzionato il modo di sentire la musica e non solo. Infatti negli anni il supporto si è moltiplicato ed è divenuto un contenitore di dati per il nostro computer, diventando CD-ROM (Read Only Memory, memoria a sola lettura) oppure supporto per la scrittura dei nostri dati, o CD-R (R come recordable, registrabile) o, ancora, addirittura riscrivibile CD-RW (dall’inglese ReWritable). Scopo iniziale del CD era l’ascolto tradizionale, cioè stereofonico, della musica. Non mi avventurerò particolarmente nei meandri tecnici della tecnologia ma accontentatevi del fatto che, per avvicinarsi il più possibile alla forma originale del suono prodotto in natura, un’informazione digitale deve approssimare i valori attraverso due fattori definiti come risoluzione (in bit) e come frequenza di campionamento (in kiloHertz). Più elevati sono questi valori (teoricamente) migliore dovrebbe essere il risultato ottenuto. Il CD ha una risoluzione di 16 bit e una frequenza di campionamento di 44.1 kHz
Considerando che l’orecchio umano perfetto percepisce frequenze che arrivano a circa 20 kHz si pensò che un valore più che doppio garantisse una qualità musicale assoluta.
Non fu così. I puristi gridarono allo scandalo, il suono risultava freddo e inconsistente rispetto al vinile ma, a dispetto di tutto ciò, fu l’alba di una nuova era, quella dell’assenza di rumore e della comodità: il CD si leggeva da un solo lato senza la necessità di “girarlo” e, presto, fu ascoltabile anche in auto o nei lettori portatili, fu in effetti una vera rivoluzione.
I problemi cominciarono a sorgere quando le case discografiche, che si stavano di nuovo arricchendo a dismisura pubblicando di nuovo tutto il materiale che avevano in archivio, scoprirono l’amaro rovescio della medaglia: il contenuto digitale poteva essere copiato, dando vita così alla pirateria musicale. Non che questo fosse una novità, chi non ricorda di aver “copiato” su cassetta qualche disco a un amico o aver preparato delle compilation per un amico o per la persona amata? Già all’epoca gli ingordi discografici si lamentavano ma, allora, il fatto non costituiva reato e, soprattutto, non incideva in modo sensibile sulle vendite dei dischi.
Il CD ha vissuto un grande momento di gloria. Oggi diciamo che … sopravvive.
Resta il fatto che, a un certo punto, qualcuno si è posto il problema di correre ai ripari, proponendo un nuovo standard che, mantenendo il formato del CD, ne migliorasse le qualità sonore e la sicurezza contro la copia. Ecco che dai colossi Sony e Philips, scaturì il nuovo Super Audio CD (SACD). Il sistema di registrazione dei dati sul supporto, la cosiddetta codifica, avveniva in modo diverso e sia la risoluzione sia la frequenza di campionamento cambiavano. Problema: il disco materialmente non si distingueva da un semplice Compact Disc ma, per leggerlo, era necessario un lettore apposito. Risultato: bella novità, ma sicuro flop di mercato. Era il 1999.
Nel frattempo, intorno al 1996, era comparso qualcosa che avrebbe cambiato il nostro modo di vedere i film a casa: il DVD o Digital Versatile Disc, disco digitale versatile e capiremo il perché. Anche in questo caso la tecnologia era nuova e si pensava, vista la sua complessità, che garantisse soprattutto l’impossibilità della copia dei contenuti. Il sistema, invece, venne craccato in un sesto del tempo che ci volle per decriptare quello, molto più semplice, del vecchio CD. Per dirla proprio tutta, verso il 1994, era comparso un formato ibrido, chiamato Video CD o VCD, che sfruttando il formato di compressione MPEG 1, dava la possibilità di guardare film memorizzati su un “normale” compact disc. Non ebbe alcuna fortuna da noi, ma si diffuse brevemente solo nel Sud Est asiatico.
Il formato DVD, invece, garantiva la riproduzione a pieno schermo di immagini in movimento, con una colonna sonora in differenti formati, sottotitoli e altri eventuali contenuti digitali, come immagini e fogli di testo anche grazie al sistema di compressione più evoluto MPEG 2, lo stesso che ci permette di ricevere le immagini via satellite. Per leggere questi dischi era necessario, anche in questo caso, un lettore dedicato ma, dopo una fase iniziale di diffidenza del mercato, fu un successo, grazie anche al fatto che il DVD garantiva la compatibilità con i sistemi più vecchi, come ad esempio il CD.
Quello che tuttavia risultò vincente fu la possibilità di gestire la parte audio dei film oltre che in stereo anche in formato multicanale, partendo dall’ormai noto 5.1, cioè un sistema con cinque canali di ascolto (tre frontali e due surround) oltre a un diffusore dedicato alle frequenze basse (subwoofer), in origine inventato dall'americana Dolby Laboratories.
Al tempo stesso si andava diffondendo un nuovo formato televisivo, idoneo all’utilizzo attraverso i nuovi schermi panoramici, capaci di un rapporto dimensionale diverso rispetto ai televisori normali (ma di questo ne parleremo nei prossimi appuntamenti): il formato 16:9 (sedici noni, dalle proporzioni delle dimensioni larghezza e lunghezza dei nuovi schermi).
Passo seguente è stato l’avvento del sistema televisivo ad alta definizione che, oltre a riprodurre immagini tecnicamente quasi perfette, necessitava di supporti capaci di memorizzare quantità di dati ancora maggiori rispetto al buon vecchio DVD. E allora, sempre dai giapponesi di Sony, ecco apparire un ennesimo nuovo formato, capace di tutto quello che si poteva fare con il DVD, ma con la caratteristica di poter gestire anche i contenuti in alta definizione, cioè capaci di riempire gli schermi Full HD con immagini di incredibile bellezza e realismo. Il tutto con un contorno di colonne sonore di grande impatto dinamico, pronte a far suonare anche fino a 8 canali contemporaneamente: la nuova meraviglia ha preso il nome di BluRay Disc o, semplicemente BD.
A volte mi capita, soprattutto nei centri commerciali, di sentirlo chiamare Bluray DVD, e mi vengono i brividi perché ciò dimostra che anche gli addetti alla vendita non sanno esattamente che cosa stanno proponendo ai clienti. Il formato ha un nome che deriva dal tipo di laser impiegato (blu, a differenza di quello rosso che legge gli altri formati – blu ray, dall’inglese blu e raggio) nei lettori, un raggio laser con una frequenza diversa da quelli impiegati in precedenza, capace di leggere una quantità molto superiore di dati scritti su un disco sempre di 12 centimetri. Vediamo che cosa significa in termini di spazio (e di brani musicali): il CD contiene fino a un massimo di 700Mb o circa 20 brani, mentre il più capace DVD può arrivare a ben 9Gb, circa 220 canzoni; il nuovo venuto BD parte, nella versione base da 18Gb per arrivare fino a 50Gb, cioè circa mille pezzi di musica su un solo disco: che dire un successo di miniaturizzazione a dir poco incredibile.

*direttore di Osservatorio Digitale - er (at) osservatoriodigitale.it


(1) Ai giorni nostri si sta riaffacciando con grande veemenza il disco in vinile, ormai con costi elevati, proposto quasi come fosse un oggetto di culto: è una trappola commerciale pensata, ancora una volta, dai discografici che ritengono il disco nero di nuovo il re del mercato, non per le sue caratteristiche di qualità ma perché – ci risiamo – il suo contenuto è ritenuto incopiabile, almeno a livelli qualitativi accettabili.
 
 
 
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