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Il Condominio. Morte portiere ed obbligo rilascio alloggio
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Articolo di Laura Cecchini
16 maggio 2022 12:29
 
In condominio, l'immobile adibito ad alloggio del portiere è annoverato tra le parti comuni, come espressamente indicato all'art. 1117 c.c., comma I, n.2 c.c.
In proposito, appare utile rammentare che la disponibilità ed il godimento di tale immobile in favore del portiere e della di lui famiglia rappresenta, sovente, una parte della retribuzione spettante per il servizio reso, motivo per cui, salvo diverso accordo, la fruizione dello stesso deve essere ritenuta strettamente correlata alla vigenza del rapporto lavorativo con il condominio.
La controversia discussa avanti al Tribunale di Roma (sentenza n. 5306 del 7 aprile 2022) ha ad oggetto la domanda avanzata da un condominio nei confronti dei familiari del già portiere, deceduto, al fine di veder accertata e dichiarata l'occupazione senza titolo di questi ultimi con conseguente condanna al rilascio oltre al risarcimento dei danni subiti per mancata locazione del bene.
È evidente come tale questione costituisca l'occasione per ricordare i presupposti per il legittimo utilizzo dell'alloggio dedicato al portiere e delle conseguenze che conseguono alla risoluzione di detto rapporto con il condominio, anche in termini di pregiudizio economico nell'ipotesi di mancata riconsegna.

Morte del portiere ed obbligo al rilascio dell'alloggio: La vicenda
Nella vertenza in esame, come anticipato, il condominio, rappresentato dall'amministratore, ha citato in giudizio i familiari conviventi del portiere, per ottenere il rilascio dell'immobile a suo tempo concesso a titolo di parziale retribuzione.

Invero, a seguito della morte del portiere il condominio ha deliberato di abolire tale servizio all'uopo intimando il rilascio ai suoi familiari.
In considerazione della mancata riconsegna dell'appartamento, il condominio è stato costretto a promuovere giudizio per occupazione senza titolo dei locali, al contempo avanzando pretesa risarcitoria per non aver potuto locare il bene a terzi.
Si è costituita la moglie del portiere contestando la domanda e, altresì, i figli i quali hanno ulteriormente obiettato la loro carenza di legittimazione passiva, per non abitare più da tempo nell'immobile, sollevando eccezione di competenza, ravvisandola nel giudice del lavoro.
Al contempo, i convenuti hanno rilevato di non aver mai ricevuto comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro ed hanno negato la possibilità di cedere l'immobile a terzi a titolo oneroso così come la rispondenza della stima del valore locatizio.

Alloggio del portiere e diritto al godimento
In via preliminare, occorre porre in evidenza la chiara legittimazione del condominio ad agire sulla base della natura di bene comune dell'immobile destinato ad alloggio del portiere.
A tal riguardo, appare utile sottolineare che, dalla documentazione prodotta in corso di causa, è emerso che la fruizione dell'immobile era connessa al rapporto di lavoro di portierato in quanto costituiva una voce della retribuzione.
Sul punto, si richiama una pronuncia del Tribunale di Milano sull'argomento secondo cui «L'utilizzo dell'alloggio concesso in godimento al portiere/custode dello stabile costituisce una prestazione accessoria al rapporto di lavoro - e non un autonomo rapporto di locazione - pertanto esso cessa con la risoluzione del rapporto di lavoro» (Tribunale Milano, 06/12/2016).
Da ciò, ne deriva che l'intervenuto decesso del portiere è circostanza dalla quale, pacificamente, deriva la risoluzione del rapporto di lavoro, in assenza di patti contrari o intese che abbiano accordato la prosecuzione del servizio con uno dei familiari.
Al contrario, nell'ipotesi de qua, vi è una chiara delibera adottata dal condominio con la quale è stata decisa la soppressione di detto servizio.
Sulla scorta di tale situazione, non vi può essere titubanza alcuna in merito alla occupazione sine titulo dell'alloggio di cui si tratta anche alla luce del fatto che il diritto di abitazione è collegato alla prestazione dell'attività di portierato, estinta con la morte del lavoratore, senza che ciò comporti il dovere di avviso alcuno, essendo insito nell'evento occorso.
Le difese mosse dai convenuti sono, dunque, destituite da ogni fondamento e per questo non possono trovare pregio.
In ragione di ciò, la domanda di rilascio dell'immobile è stata accolta non sussistendo alcun valido titolo in capo ai convenuti.

Occupazione senza titolo e prova del danno
Fermo quanto sopra illustrato, nella fattispecie, oltre alla richiesta di liberazione dei locali, è stata esperita anche domanda di risarcimento del danno per non aver potuto il condominio concederlo in locazione a terzi.
Il danno è, quindi, di natura patrimoniale e configura un illecito aquiliano di cui all'art. 2043 c.c.
Sul tema, è unanime l'orientamento della Giurisprudenza nel riconoscere che il danno subito dal proprietario discende dalla perdita della disponibilità del bene e dall'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile dal medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso.
Parimenti, per quanto concerne la quantificazione dell'indennità di occupazione, può essere determinata in virtù di elementi presuntivi semplici, con riferimento al cosiddetto danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del bene.
In materia, la Suprema Corte ha riconosciuto che «In caso di occupazione di un immobile "sine titulo", il danno subito dal proprietario non può ritenersi "in re ipsa", ma deve essere sempre provato, ancorché attraverso il ricorso a presunzioni semplici, che comunque rivelino l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto, dovendo, inoltre, la liquidazione equitativa dello stesso compiersi sulla base di un prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza del pregiudizio nel caso concreto, essendo il giudice chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento» (Cassazione civile sez. III, 23/11/2021, n.36251).
Il danno è identificato, quindi, nella privazione di poter conseguire il profitto ricavabile dalla utilizzabilità del bene.
Per una giusta e conforme liquidazione, appare confacente e sufficiente esibire in giudizio una stima, sia estratta dai valori delle quotazioni immobiliari OMI (osservatorio del mercato immobiliare sul sito della Agenzia delle Entrate) che redatta da una agenzia immobiliare, esplicativa del valore locativo del bene.
È corretta ed esente da censure la motivazione del Tribunale di Roma, laddove ha determinato il danno subito dal condominio per l'occupazione senza titolo del bene prendendo come riferimento l'estimo esibito a firma di una agenzia immobiliare dalla quale è stato preso il valore minimo locativo calcolato dalla domanda fino alla emissione della pronuncia.

(anche su Condominioweb.com)
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