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COME IN UNO SPECCHIO?
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La pulce nell'orecchio di Annapaola Laldi
15 agosto 2004 0:00
 
L'altra donna e l'altra bambina si materializzarono, all'improvviso, venendoci incontro nel punto in cui, la facciata meridionale della piccola chiesa di san F*, obbliga l'ampia strada del centro a restringersi tutta sulla sinistra, per proseguire,con lieve tortuosita' e nome diverso, nella via dove abitavo a quel tempo.
Era una domenica estiva, all'incirca l'ora di pranzo. Tornavamo, la mamma ed io, dalla messa solenne e ben frequentata nella chiesa dalla balaustra ornata di angioletti di marmo che sembravano cosi' contenti di essere li' e mi aiutavano a passare un po' il tempo, a far fronte alla noia -in fondo, non avevo piu' di cinque anni. Lei piuttosto elegante, col cappello, e imponente col suo metro e quasi settanta di altezza, che pero' non le faceva rinunciare ai tacchi alti, e io, oggettivamente piccina, e ancora piu' piccina al suo fianco, e poi legata, imbarazzata per quei capelli lunghi e quei vestitini che piacevano tanto a lei, ma cosi' lontani, gia' allora, dal mio essere.
Nella strada non c'era nessuno, a parte noi due -almeno questa e' la nitida immagine che ho davanti, mia personale memoria di quel momento, non confusa, come per un altro diverso episodio fondante di quell'epoca, con la versione materna.

Nella strada non c'era nessuno. Solo noi due, una mamma e una bambina sui cinque anni. Quando, appunto, si materializzarono un'altra donna e un'altra bambina, che ci venivano incontro. Un'ALTRA donna e un'ALTRA bambina. Alla signora distinta e alla bambina agghindata si accostarono una zingara e la sua bambina coi loro gonnelloni fluttuanti. La bambina, della mia eta', forse curiosa del mio vestitino con le maniche corte a sbuffo, oppure cercasse, con la spontaneita' dei piccoli, il contatto fisico con la sua coetanea, allungo' la mano e mi tocco'. Sorridendo. Con gentilezza. Io risposi, o meglio, cor-risposi a quella curiosita', a quel sorriso, a quel gesto con la medesima spontaneita'. Perche' semplice, ingenua, innocente era quella ricerca di contatto. Non un'ombra di paura mi sfioro' in quell'istante. Anzi, se un sentimento provai, fu di piacere.
Ma la mamma, la signora distinta ed elegante, che a occhi ignari poteva suggerire l'idea di agiatezza, e alla quale forse l'altra mamma, la zingara, aveva nel frattempo chiesto qualcosa, ebbe un moto di autentico terrore (e in me l'avvertii come un'ingiustizia). Allontano' la bambina da me come se fosse stata non una creatura piccola e inerme, proprio com'ero io, ma un orco minaccioso, dicendo qualcosa che non ricordo a voce alta, imperiosa, con quell'accento, di cui io stessa conservo, talora, echi inconsapevoli. L'altra donna e l'altra bambina non poterono che scostarsi per far posto al passo diventato folle della signora che si tirava dietro una creatura stupita -ora anche impaurita, ma non dalle zingare.

E' questo il primo incontro che ricordo con l'altrui bisogno. Col bisogno che tende la mano.... a che scopo? A chiedere -sempre e soltanto? O anche a dare qualcosa? O forse, semplicemente, a stabilire un contatto umano? Da tempo mi ha colpito il fatto che, a ben guardare, la mano protesa, di per se', non ha un significato univoco, di richiesta. Perche' anche quando offriamo qualcosa, a volte, protendiamo ugualmente la mano allo stesso modo. Offrire e chiedere, dunque, uniti, in uno stesso gesto? Pare di si'.

Che cosa danno, ancora, a me, dopo diversi decenni, quell'altra donna e quell'altra bambina che ci vennero incontro quella mattina d'estate, nella solitudine meridiana di una via che per noi era familiare, ma forse a loro estranea -certo non accogliente?

Mi danno qualcosa di oltremodo prezioso nella sua semplicita', quasi ovvieta'.
Quella mamma e quella bambina che ci venivano incontro erano la nostra immagine speculare. Il bisogno dichiarato delle due ALTRE corrispondeva, nella sostanza, al bisogno accuratamente mascherato delle due ----come dire? "normali", "borghesi", o che altro?
Fu per non incrinare le sue false sicurezze che la mamma reagi' in modo cosi' furioso?
E' per non volere ammettere che anche la nostra vita, nonostante le apparenze, conserva un fondo di precarieta' esistenziale, che i bisognosi nelle strade ci disturbano, e preferiremmo, in cuor nostro (anche se non osiamo dirlo), che qualcuno li faccia sparire dalla nostra vista?
E' dall'inquietudine non accettata di fronte allo specchio della nostra fragilita' che si nutre l'aggressivita'? Ma - serve rompere lo specchio?
O non sarebbe meglio fermarsi ad osservare, sia pure con apprensione, l'immagine che ci viene incontro da esso, dando, se possibile, anche, un segno di riconoscenza all'essere umano che svolge quel compito cosi' ingrato? Non c'e' solo il denaro; c'e' anche la possibilita' di un sorriso, di un gesto o di una parola di saluto, un grazie per la canzone che sta suonando sulla vecchia fisarmonica ..
PERCHE' UNA COSA SO PER CERTO: che se la mamma fosse mai riuscita a cogliere l'occasione di comprendere proprio nel profondo che anche lei - si',anche lei!- non era che una creatura bisognosa -come, del resto, ogni altro essere umano-, SO PER CERTO che la sua esistenza sarebbe stata meno angustiata, nonostante la sua sincera fede religiosa, e, forse, persino illuminata da qualche barlume di pura gioia. Quella che ti coglie quando constati che non sei tu che conquisti disperatamente la vita, ma e' la vita che in ogni istante, con pazienza infinita, ti viene incontro e ti si dona.
 
 
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