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Davos. Il summit dell’ipocrisia
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Articolo di Redazione
23 gennaio 2019 17:52
 
 In un impeto di lucidità notevole, le eminenze in limousine riuniti al summit di Davos credono che sia il momento di "rimoralizzare" globalizzazione (dice Klaus Schwab, fondatore del WEF) e di cercare i modi di un'economia globale "più inclusiva". Enorme passo concettuale in avanti ... Nel momento in cui gli sciovinisti oscurantisti hanno preso il potere negli Stati Uniti, Filippine, Brasile, Ungheria, Italia e altri Paesi di minore calibro, mentre i partiti nazionalisti e xenofobi sono in vantaggio nella maggior parte delle democrazie sul pianeta, è in realtà il momento per i leader dell'economia mondiale di lanciar percepire una certa preoccupazione. Stessa preoccupazione che è la base di quello che scrivono almeno la metà degli editorialisti del Pianeta da molti anni. Tanto che ci vien da porre una domanda scomoda: è necessario sedersi maestosamente sulle cime innevate per sviscerare queste banalità? In genere si crede di avere a che fare con un simposio sulle montagne svizzere, ma temo che stiamo assistendo ad un incontro di idioti nelle Alpi.
Contrariamente a quanto sostiene la letteratura ultraterrena, sempre soggetta a forme di cospirazione, il Forum di Davos non è lo staff segreto della globalizzazione liberale. Nessuna decisione ne viene fuori, nessun patto oscuro, nessuna strategia comune. Inoltre, i partecipanti sono più diversi di quanto si pensi, poiché accanto agli amministratori delegati e ai senior manager che si mescolano tra la folla delle strade intasate dalla neve della stazione sciistica, ci sono molti studiosi, ricercatori, artisti, rappresentanti eletti di tutti i partiti e leader di ONG di tutto rispetto, anche se i capi di Stato e luminari delle multinazionali alla Bill Gates di solito nelle sessioni plenarie vengono riempiti di sputi. Piuttosto, si tratta di una stravagante e privata conferenza senza un ordine del giorno operativo, dove i leader mondiali valutano la situazione del globo e delle varie iniziative, in innumerevoli dibattiti sui temi più svariati, una sorta di seminario di integrazione ideologica su scala globale.
Questa conferenza ha anche una funzione banale: fare il panegirico del patrimonio di Klaus Schwab, professore svizzero che parla di Germanistica inglese come il capitano Schultz in “To Be Or Not to Be”, diventato nel corso degli anni miliardario in franchi svizzeri con ogni tipo di società partecipata (ce ne sono diverse centinaia), e che offre all'organizzatore circa 60.000 euro per apparire nelle tavole rotonde e inviare i suoi dirigenti negli hotel lussuosi che ospitano il Forum.
Ogni anno, infatti, a Davos diverse star si imbarcano in un certo numero di sviolinate toccanti sugli eccessi deplorevoli della globalizzazione, gli stipendi eccessivi degli amministratori delegati, le crescenti disuguaglianze su scala globale. Tornano sempre a Davos con l’aureola di queste parole forti, ma, al contrario di Mosè che scende dal Monte Sinai con i Dieci Comandamenti, tornano al loro nido senza alcun indicazione fondamentale e continuano come prima a guidare la globalizzazione a loro modo, cioé secondo i loro stretti interessi come amministratori delegati o azionisti.

(editoriale - “La lettre politique” - di Laurent Joffrin, pubblicato sul quotidiano Libération del 23/01/2019)
 
 
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