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Legalizzare. Droghe e paradisi fiscali: la stessa lotta!
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Articolo di Redazione
23 settembre 2013 11:45
 
  Jean-Pierre Dintilhac, gia' direttore della gendarmeria nazionale francese (1991-1993), procuratore della Repubblica presso il Tribunale della Grande Istanza di Parigi (1998-2002), presidente di camera alla Corte di Cassazione (2006-2008), stila per il quotidiano Le Monde un quadro critico e severo sulla politica di lotta al traffico della droga. Una situazione che Dintilhac mette insieme all'impotenza degli Stati a lottare contro i paradisi fiscali. Al di la' della presa d'atto, il nostro indica delle strade per lottare efficacemente contro i due flagelli.

Cambiare la politica in materia di droga e' urgente, non solo perche' l'attuale politica e' una sconfitta, ma soprattutto perche' la stessa e' responsabile dell'aumento del consumo di droghe. L'attuale crisi ci da' un altro motivo per cambiare radicalmente, poiche' non c'e' dubbio che la circolazione dei soldi riciclati aumenta a sua volta lo sviluppo delle “non-banche”, il “shadow banking”. Curiosamente, una serie di articoli molto documentati, tra cui un lungo articolo di Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea (BCE) dal 2003 al 2011, non contiene alcun riferimento a questa realta'.
E' vero che nel 2007, durante un congresso, Catherine Austin Fitts, direttrice della banca di investimento Dillon Read, non esitava ad affermare che tra 500 e 1.000 miliardi di dollari provenienti dal traffico di droga “servivano a finanziare la crescita”. Aggiungendo che “senza queste centinaia di miliardi che gonfiando artificialmente l'economia americana, gli Usa subirebbero una crisi piu' dura di quella del 1929”.
Ma -e' importante- occorre dire e ridire che tutte le droghe, compresa la cannabis, sono nocive, ammettendo che tutte le politiche che vogliono sradicare il consumo di droga grazie agli strumenti della repressione, sono totalmente irreali. E quindi, come cambiare, non essendo piu' realizzabili mezze misure.
Vendere la cannabis nei tabacchini, in confezioni che indichino il pericolo del prodotto e precisandone gli effetti nocivi rispetto all'intensita' e alla durata del consumo, con un divieto di vendita ai minori. Vendere la cocaina e l'eroina in farmacia con presentazione di una ricetta medica non piu' vecchia di sei mesi. Organizzando i necessari circuiti commerciali, in un ambito legale e controllato, coi Paesi produttori.
Rafforzare la repressione contro chi propone o scrive presentando positivamente il consumo di droga e contro ogni forma di pubblicita' diretta o indiretta. Infine, effettuando controlli per rilevare il consumo di droga su tutte le persone la cui attivita' implichi un'assoluta astensione dal consumo di prodotti che possano ridurre la vigilanza e le capacita' fisiche e psichiche: automobilisti, piloti d'aereo, persone predisposte, a causa della loro professione, a far uso di un'arma e sanzionare severamente il consumo di droghe in queste situazioni.
Occorre ricordare che la prima legge che ha intrapreso la lotta contro la coltivazione, la vendita e il consumo della marijuana, e' stata approvata in Usa nel 1937, poco dopo l'abbandono, nel 1933, del divieto dell'alcool. Pertanto, i tredici ani di divieto dell'alcool erano stati una sconfitta clamorosa con gravi effetti perversi che avevano favorito strutturazione e arricchimento di gruppi mafiosi, con alcuni dei loro capi che si pronunciarono, e in modo notevole, contro l'abbandono del divieto, in nome... della morale!
Risposte alle principali obiezioni
La prima e principale critica che viene fatta a questo metodo, quando viene presentato, e' che favorirebbe il consumo. L'inquietante livello del consumo attuale e' tale in un contesto di divieto, per cui ci sarebbero buoni motivi di considerare che, al contrario, l'aumento sarebbe molto meno forte se le reti mafiose non avessero un grande interesse finanziario a sviluppare questo mercato.
Se tanti giovani e adulti trasgrediscono il divieto, non e' tanto per una loro precisa volonta', ma piuttosto per il ben conosciuto meccanismo dell'incontro con uno dei tanti piccoli rivenditori il sui obiettivo e' solo quello di aumentare la propria clientela. Il metodo e' di convincere la persona che si incontra ad assaggiare, per provare, regalandogli il prodotto, fino a che, diventato un “dipendente”, questa persona diventa un cliente.
Altra obiezione: un accesso legale alla cannabis favorirebbe il passaggio ad altre droghe. Questa obiezione e' seria ma non giustifica il mantenimento del divieto se si considera che, allo stato attuale l'accesso alla cannabis e', purtroppo, molto facile e che la si trova praticamente ovunque.
Alcuni sostengono che cassando il mercato della droga, legalizzando la stessa, sarebbe possibile che tutti i trafficanti attuali si orienterebbero verso altre attivita' delinquenziali. Questa obiezione, anche se ha un fondamento, non e' accettabile: non si puo' continuare a tollerare un metodo che non solo si dimostra totalmente inefficace, ma che, soprattutto, ha manifestamente contribuito all'aumento del consumo di droga nel corso degli ultimi quaranta anni. Inoltre, le forze di polizia liberate da queste incombenze, potrebbero occuparsi di altre forme di delinquenza.
Inoltre, tra coloro che sono favorevoli ad una evoluzione rispetto alla cannabis, c'e' chi si mostra reticente e anche ostile per la cocaina e l'eroina. Questa opzione sarebbe pericolosa perche' le reti mafiose, dovendosi riconvertire, svilupperebbero immediatamente le medesime strategie di incentivazioni al consumo di questi prodotti.
Gli effetti positivi che si possono aspettare da questo cambiamento
Il piu' essenziale sarebbe il riflesso positivo per quelle zone urbane che ora sono incatenate dai traffici di droga. Cio' che rende la situazione perniciosa, per alcuni giovani che abitano in questi quartieri, e' probabilmente non il consumo in se' quanto piuttosto il traffico che li attira molto presto per i soldi che procura loro e per la “vita facile” che affascina i piccoli, medi e grossi spacciatori: “si puo' fare carriera nella droga, e profumatamente!”.
Un altro vantaggio, da non sottovalutare, sarebbe quello di liberare le forze dell'ordine e la polizia giudiziaria coinvolte in questa lotta, le cui azioni, nonostante numerosi e notevoli successi continui, e' globalmente una sconfitta. La legalizzazione dovrebbe anche contribuire a diminuire le tensioni provocate dai numerosi controlli, a cui i giovani sottostanno frequentemente, per controllare se sono in possesso di una barretta di hashish.
La legalizzazione contribuirebbe, inoltre, a ridurre la sovrappopolazione carceraria dovuta a questa forma di delinquenza, compreso il solo consumo. Questo cambiamento eviterebbe la stigmatizzazione che un arresto rappresenta per un consumatore, talvolta occasionale, che come minimo gli provocherebbe una iscrizione su un rapporto di polizia, cosa che potrebbe costituire, ulteriormente, un irrimediabile ostacolo per l'accesso ad alcune professioni.
La legalizzazione ridurrebbe la dipendenza dei tossicodipendenti dai trafficanti e la delinquenza comune che ne deriva. Farebbe seccare parzialmente il “shadow banking”, che e' fonte di finanziamento di numerosi movimenti terroristici che finanziano i loro attentati e le loro attivita' terroristiche grazie a questo traffico. Ad aprile del 2013, l'amministrazione Obama ha fatto sapere che gli Hezbollah funzionano come un cartello della droga, inserendo due agenzie libanesi di scambi monetari sulla propria lista nera.
Infine, essa dovrebbe limitare lo sviluppo di nuove droghe, totalmente artificiali, alcune delle quali molto pericolose per la salute, che alcuni consumatori acquistano in Internet per evitare il rischio di essere passibili di sanzioni, e questo perche' si tratta di sostanze che non sono qualificate come stupefacenti.
I prevedibili freni al cambiamento
I trafficanti non mancherebbero di attizzare ovunque tutte le reti di cui dispongono per mantenere il proprio business che gli procura notevoli risorse, e altrettanto farebbero coloro che, direttamente o indirettamente, approfittano di questo mercato. Una parte degli specialisti della lotta contro la droga sarebbe contraria a riciclarsi professionalmente e, cio' che e' decisamente fastidioso, alcuni specialisti delle scienze mediche e umane, che lavorano per la disintossicazione, che sostengono di essere favorevoli al mantenimento del divieto penale come leva terapeutica.
Questo argomento deve essere considerato, perche' e' particolarmente importante che il cambiamento di politica preconizzato sia preceduto ed accompagnato da una importante campagna di prevenzione, in modo che all'abbandono del divieto legale corrisponda un significativo rafforzamento del divieto sociale.
Le condizioni del cambiamento
Sul piano giuridico, soprattutto per il cambiamento della nostra legislazione nazionale, converrebbe ottenere il cambio della convenzione internazionale unica sugli stupefacenti del 1961, che stila la lista delle sostanze proibite, oppure denunciarne la parziale inefficacia formulando delle riserve. Ma soprattutto occorre prendere consapevolezza che ogni cambiamento di politica in materia di droga non potrebbe essere fatto senza essere preceduto da spiegazioni e dibattiti; va intrapreso soprattutto un dibattito pubblico, sia a livello nazionale che in Europa, e questo implica una ferma e coraggiosa volonta' politica.

(pubblicato sul quotidiano Le Monde del 20/09/2013)
 
 
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