L'articolo che segue porta la firma di Manuela Dviri, una signora ebrea italiana che, a fine aprile, è tornata sui luoghi dell'attentato perpetrato dai terroristi di Hamas del 7 ottobre 2023. E' stato pubblicato su "Riflessi di Menorah" che si definisce "la rivista di informazione e cultura non periodica, digitale e on line, della lista "Menorah
" che fa parte dell'"Unione delle comunità ebraiche italiane", precisando che "esprime idee e proposte per rafforzare la comunità ebraica di Roma, favorire la collaborazione tra comunità ebraiche italiane, sostenere Israele, promuovere la cultura ebraica nel nostro paese e contribuire alla crescita delle nuove generazioni e al sostegno dell'ebraismo italiano
".
Seguo questa rivista da un paio di mesi, su indicazione di un'amica, e cerco di stare al passo con gli articoli quotidiani, per me spesso molto complessi, perché sono convinta che una persona civile, per avere giusti strumenti di valutazione, ha il dovere di raccogliere informazioni di prima mano su ciò che succede nel mondo. Ed ecco che, per quanto riguarda l'ebraismo italiano e i sentimenti degli Ebrei italiani sulla tragedia che si sta consumando tra israeliani e palestinesi , questa rivista è una fonte importante. Tornerò sull'argomento, cercando proprio di far conoscere questi stati d'animo, di cui, l'articolo che riporto qui sotto, col permesso della rivista, è una testimonianza che si legge con facilità.
Lascio dunque la parola a Manuela Zviri e alla storia del rabbino e del gatto
"L’incertezza è il problema maggiore.
Cosa succederà oggi? Dove? In che modo? Chi alla vita e chi alla morte? Siamo di nuovo partiti, il mio Abraham e io, in una giornata torrida, la più calda negli ultimi ottant’anni, per il luogo dell’attacco del sette ottobre, per i kibbuzim Beeri, Kfar Aza, Reim, Zikim, o meglio, per i vari accampamenti militari in zona: avevamo in macchina un carico di ventilatori per i soldati lungo quella strada.
Della strage non era rimasto nemmeno il segno di ciò che vi era avvenuto sei, quasi sette mesi fa, e non ci è sembrato il caso di entrare nei kibbutz per turismo dell’orrore. Abbiamo invece incontrato soldati. Molti soldati. Tutti riservisti. E anche piuttosto scalcinati, con pance straripanti da magliette troppo strette. Molti capelli grigi, parecchie barbe, capelli lunghi raccolti con un elastico.
la strada ripercorsa da Manuela Dviri, il 7 ottobre
Tutti felicissimi per i ventilatori.
Sono lì in attesa di entrare a Gaza per combattere. Forse per l’attacco a Rafah. Forse no. Abbiamo cercato anche il food truck per un caffè ma non c’era più.
Anche la settimana scorsa con la mia amica Lidia Bagnara, grande fotografa, ci eravamo fatte accompagnare da Abraham al deserto del Negev incrocio a quello della Giudea. Per strada ci eravamo fermati a bere un caffè nel punto ristorazione gratis per civili e soldati lungo la strada, un food truck. Mentre mio marito andava in bagno, ci siamo messe a chiacchierare con la giovane barista, che ci ha raccontato che il suo è il lavoro più interessante che ci sia e che le succede, al suo punto ristoro, di tutto e di più. E per dimostrarlo ci ha voluto raccontare una storia.
“Alcuni giorni fa sono passati di qui due uomini, si sono salutati e via. Poi uno, proprio come suo marito, è andato in bagno e l’altro mi ha chiesto se conoscevo quello che si era allontanato.
“No” ho risposto.
“Allora le racconto chi è. Era un rabbino militare e durante la guerra gli era stato chiesto di andare a cercare il corpo di un soldato morto in combattimento per poterlo portare a degna sepoltura. Lui si è inoltrato nella zona nemica senza far troppi problemi ma i suoi comandanti dopo pochi minuti gli hanno chiesto di tornare indietro che era troppo pericoloso. Non sapeva cosa fare, e aveva la sensazione di dover assolutamente continuare. A quel punto gli si è avvicinato un gatto. Lui ha guardato il gatto e il gatto ha guardato lui e ha miagolato come se volesse dirgli qualcosa. E poi il gatto gli ha fatto strada e sempre miagolando lo ha portato fino al corpo del soldato.
I morti israeliani del 7 ottobre hanno superato le 1000 vittime, di cui circa 160 militari. Nel kibbutz di Kfar Aza sono stati ritrovati oltre 40 corpi, di cui molti bambini e neonati
Al ritorno è stato di nuovo accompagnato dal gatto e una volta arrivati il gatto se ne è andato”.
“E lei ci ha creduto?” le ho chiesto.
“Stentavo a crederci. Invece poi è uscito quello lì dal bagno e io gli ho chiesto se era vero. E lui ha detto di sì che era vero. Che era lui quello della storia del gatto. Gli ho chiesto se faceva ancora il rabbino militare e lui mi ha detto di no. E se ne è andato. Certo che questa storia mi ha davvero scombussolata. Continuo a pensarci. Una bustina di zucchero? Latte caldo o freddo?”
Subito dopo ci siamo rimessi in cammino per il nostro viaggio nel deserto. Che è stato bello e importante. Perché dopo mesi di rumore incessante lì era silenzio. Un silenzio assoluto, rarefatto, onirico. Ne avevamo bisogno.
La notte, alle tre di mattina, ci ha svegliato il rumore di aerei che ci passavano sopra la testa.
Dicono che sia più o meno l’ora dell’attacco israeliano all’Iran, la risposta a quello subito la settimana precedente dagli ayatollah. Chissà. Non so.
E stamattina ci hanno dato la sveglia dei pappagallini verdi davanti alla finestra. Mai visti fino ad ora.
Amici del gatto?
26 aprile 2024".
P.S. Nel feroce attacco di Hamas ai kibbutzim citati nell'articolo le vittime hanno superato il migliaio, di cui circa 160 militari. Nel kibbutz di Kfar Aza sono stati ritrovati oltre 40 corpi, di cui molti bambini e neonati.
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