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Il museo dei narcos a Citta' del Messico
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Articolo di Redazione
15 settembre 2013 15:02
 
Al museo di Enervantes (narcotici) non entra nessuno che non sia stato autorizzato dall'Esercito messicano. Il lasciapassare viene dato solo ai militari durante l'allestimento dello stesso e ad alcuni studiosi di Diritto e Criminologia. E' stato creato perche' gli appartenenti alle Forze Armate conoscano meglio i narcotrafficanti. Nessuno puo' accedervi per vedere gli oggetti che riflettono lo stile appariscente di vivere e di morire dei capi dei narcos.
C'e', per esempio, la pistola Colt automatica calibro 38 con impugnatura coperta di oro 24 carati con diamanti incastonati, sequestrata a Joaquin El Chapo Guzman, leader del cartello di Sinaloa. Nel 1993 era stato arrestato in Guatemala e fu trasferito in una prigione di massima sicurezza nello Stato messicano di Jalisco, da cui scappo' nel 2001. Dopo la sua detenzione, cio' che attiro' maggiormente l'attenzione fu la sua arma con le iniziali A.F. incise in rilievo. La pistola gli era stata regalata da Amado Carrillo Fuentes, conosciuto come “El Señor de los Cielos” (il signore dei cieli), leader del potente cartello di Juàrez e famoso per le sue alleanze coi cartelli colombiani per il traffico verso gli Usa. El Chapo, praticamente, si addestro' come capo con Carrillo e quando questi mori', il cartello ando' nelle mani dei suoi tre figlio e di El Chapo, che poi entro' in rotta col cartello di Sinaloa. Mentre la sua pistola e' nel museo di Enervantes, lui e' ancora in liberta' ed e' nell'elenco dei maggiori ricercati.
Ad ottobre e' arrivata la pistola di Heriberto Lazcano Lazcano, il leader dei Los Zetas, insieme al suo orologio Bulgari con incastonati dei diamanti. E' una Colt, immersa nell'oro, con un “Z3”, la sua password, registrata, all'interno dell'organizzazione. El Lazca e' morto in uno scontro con le Forze Armate nello Stato messicano di Coahuila, e il suo corpo fu rubato dall'obitorio.
Le storie sui capi servono a dar loro forza grazie al lusso e allo scintillio degli ostentosi oggetti che sono nel museo: un telefono portatile d'oro con incastonati dei diamanti; una sedia con pesanti dettagli in argento; stivali di pelli di animali esotici; decine di armi con dettagli in oro, argento e pietre preziose; giacchetti di pelle con protezioni di metallo antiproiettile; quadri della Vergine di Guadalupe che nascondevano spedizioni di droga; un altare di Jesùs Malverde, il santo protettore dei narcotrafficanti; tavoli in legno intagliati con motivi della “Santa Muerte”....
Fondato nel 1985, nel quartier generale della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena), a Citta' del Messico, il museo di Enervantes -cosi' si chiamano in Messico tutte le sostanze che alterano la normalita'- comincio' come una sala con alcune spiegazioni sul traffico di droga in Messico. Nel 2002 aveva gia' dieci sale in cui erano custoditi un centinaio di oggetti sequestrati ai cartelli della droga. Il museo si e' sviluppato nei tempi in cui il Governo si vantava delle proprie operazioni contro i narcos. Una dinamica che e' cambiata da pochi mesi, da quando il presidente Enrique Pena Nieto ha imposto la discrezione su queste operazioni, anche con il manuale “Nueva narrativa en materia de seguridad” (nuove norme in materia di sicurezza) che e' stato distribuito in tutte le istituzioni che garantiscono la sicurezza nel Paese.
Il museo mostra le migliaia di modi con cui la droga viene trasportata illegalmente. La creativita' dei trafficanti non ha limiti per trasportare la propria mercanzia attraverso le frontiere con gli Usa, la sua principale destinazione. Un gruppo ha usato un carico completo di papaye che, aperte, erano state riempite di marijuana, le autorita' trovarono la droga grazie ad alcuni cani che, col loro fiuto, rintracciarono la merce che stava per passare la frontiera. Un sommergibile costruito artigianalmente, che non era altro che un piccolo sottomarino con la possibilita' di portare un paio di persone e che poteva andare pochi metri sott'acqua, fu rintracciato dai militari perche' doveva tornare in superficie per rifornirsi di combustibile.
Altri metodi sono piu' empirici. E' da tempo che i trafficanti avevano cominciato a lanciare i loro carichi di droga da alcuni aerei in mare, ma la mercanzia era individuata dall'Esercito perche' galleggiava appena entrava in acqua. Per impedire i sequestri, i narcos legarono i pacchi di droga a cubetti di sale, cosi' il carico di inabissava fino a che il sale si scioglieva in mare e poi ritornava a galla per essere preso con piu' calma.
La galleria delle immagini del museo ricorda ricorda anche i sequestri di droga piu' grandi nella storia dell'Esercito messicano. In una foto, un campo completamente arido ha al centro una piantagione di marijuana la cui erba brilla intensamente. Erano 120 ettari nello Stato della Baja California Norte, una zona semidesertica in cui era impossibile coltivare qualcosa. I narcotrafficanti assoldarono dei tecnici agrari che modificarono i semi di marijuana per sopravvivere in un ecosistema ostile come il deserto -dicono le autorita'- e poter crescere in una zona che l'Esercito non avrebbe ispezionato. La trasformazione della droga per impedire i sequestri riguarda anche il traffico di cocaina. La polvere bianca e' tinta di nero e i trafficanti la introducono in cilindri di toner per stampanti che attraversano la frontiera come mercanzia legale.
Molti dei pezzi del museo riflettono il progetto popolare che avevano alcuni dei capi della droga. Jesùs Malverde, un famoso bandito dello Stato di Sinaloa, e' il santo protettore dei narcos. La sua santita' non e' riconosciuta da nessuna chiesa, pero' nei mercati del Messico le sue immagini si vendono per poterle venerare e chiedere la protezione nei propri affari. Nel museo c'e' una piccola statua di Nazario Moreno, vecchio leader del cartello de “La Familia en Michoacàn”, vestito come un cavaliere templare armato con spada, in un altare che lo fa sembrare simile ad un santo.

(articolo di Sonia Corona, pubblicato sul quotidiano El Pais del 15/09/2013)

 
 
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