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Rette RSA. Il Comune paga la quota sociale di chi offre il servizio. Sentenza Tribunale Venezia
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Articolo di Claudia Moretti e Maria Luisa Tezza
20 febbraio 2024 11:48
 
Il Tribunale di Venezia, nella recente sentenza n. 2457 del 2024, ha riconosciuto il diritto di una Cooperativa, accreditata e convenzionata, di recuperare i costi di parte sociale delle prestazioni socio-sanitarie e residenziali rese in favore di quattro cittadini disabili, direttamente dal Comune di Cavarzere di loro residenza.

In sintesi, i fatti.
L’inserimento dei quattro cittadini bisognosi nelle Comunità alloggio gestite dalla Cooperativa attrice, era avvenuta ad opera dei Servizi socio-sanitari competenti a seguito di regolare valutazione multidimensionale (commissione UVM),

La Cooperativa riceveva la quota sanitaria dall’Asl competente e quella socio-alberghiera dal Comune di Cavarzere. A partire dal 2013, il Comune non corrispondeva alcunché a titolo di costo per le prestazioni socio-assistenziali-alberghiere che comunque venivano svolte dalla Cooperativa per effetto delle valutazioni annuali della Commissione UVM – Unità Valutazione Multidimensionale - competente territorialmente. Il Comune, pur non corrispondendo i denari, non provvedeva a sospendere i Piani personalizzati che si sono rinnovati costantemente fino al 2018, anno in cui il Comune ha ripreso ad effettuare i pagamenti della quota sociale.

La Cooperativa ricorreva, dunque, al Tribunale di Venezia per ottenere il pagamento delle fatture emesse verso il Comune per il periodo 2013-2017 e rimaste impagate.

L’ente locale si difendeva da un lato contestando la natura dei servizi oggetto di fatturazione deducendo che, anche se validati dalla UVM e finanziati continuativamente con la relativa quota sanitaria, non potevano ascriversi a vere e proprie “funzioni socio-assistenziali”. Invocava, altresì, l’assenza di prove sull’indigenza ed il bisogno economico dei soggetti in questione (senza, tuttavia, dare conto di aver eseguito indagini in punto di ISEE), che non avrebbero giustificato un intervento economico comunale.

Non parrebbe un contenzioso degno di nota se non si tenesse a mente il complesso di norme che anima la materia e la complica non poco, proprio in virtù di tutti i trascorsi ed i contenziosi che hanno investito la quota.

La sentenza è importante perché è espressione di un punto focale nella complessa materia socio-sanitaria che, però, non sempre trova affermazione giudiziaria: il rapporto con gli erogatori del servizio socio-sanitario, siano esse Case alloggio, Rsa, Rsd, a gestione pubblica o privata convenzionata, non ha natura privatistica ma esclusivamente pubblicistica. Il privato non conclude contratti con la struttura, struttura che, come longa manus della amministrazione, eroga il servizio in qualità di convenzionato.

A fronte di un piano terapeutico personalizzato in favore di cittadino bisognoso di cure e di assistenza socio-sanitaria, i Comuni sono chiamati a rendere la prestazione relativa alla componente socio-assistenziale che la legge gli attribuisce, in base al disposto di norme nazionali e sovranazionali chiare e precettive. In particolare, oltre ad invocare la Costituzione e le fonti euro-unitarie, si chiarisce come gli artt.6 e 22 della legge 328/2000 affidino ai Comuni la cura e l’assistenza ed i relativi oneri, del cittadino disabile.

Il Comune, in buona sostanza, è responsabile dell’adempimento degli oneri in questione (e dunque del pagamento delle fatture della Cooperativa che eroga il servizio) in via immediata e diretta, per effetto delle norme di legge (ex lege). Né il Comune può invocare un limite della disponibilità delle risorse, venendo in rilievo diritti fondamentali delle persone con disabilità che, in quanto tali, vanno integralmente finanziati (Corte Costituzionale sent. nn.62/2020, 72/2020, 83/2019, 232/2018, 258/2017, 192/2017, 169/2017, 275/2016, 406/1992, 215/1987).

Sembrerebbe scontato, ma non lo è. In molti giudizi il contributo economico dei Comuni è ricostruito diversamente: il cittadino che chiede il beneficio è il primo titolare del rapporto con la struttura e primo onerato fruitore della quota alberghiera, mentre il Comune interviene solo se attivato secondo procedure, soglie contenute in regolamenti non sempre fedeli alle norme di rango superiore. 

Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, ma non lo è affatto per l’utenza, che si trova spesso unica convenuta nelle ingiunzioni delle Strutture per oneri “alberghieri” magari non correttamente determinati. Strutture anch’esse messe all’angolo dal proprio Ente convenzionante e lasciate sole a gestire recuperi credito spesso non fruttuosi.

Va, infatti, detto che così come il cittadino ha diritto al servizio in conformità alla normativa, anche la Struttura ha diritto ad esser pagata per il servizio che rende per conto del Comune. Ed invece, molte realtà convenzionate vivono il “ricatto” istituzionale (contenuto spesso e volentieri negli stessi contratti di affidamento del servizio), di doversi rivalere sui privati direttamente, utilizzando espedienti quali fideiussioni (impegni già più volte dichiarati nulli dalla magistratura) o invocando atti e regolamenti dei Comuni, o dei consorzi o di altri Enti pubblici preposti al servizio che, in barba alla gerarchia delle fonti, si regolamentano in tal senso.

In altre parole, in regioni ove il “ricatto istituzionale” è più efficace, il Comune si difende “esternalizzando” - direttamente fra cittadino ed ente gestore - il conflitto ed il contenzioso sulle quote sociali e sui pagamenti di fatture, in siffatto modo estromettendosi dalle proprie funzioni così come dai giudizi.
Non questa volta, perché la Cooperativa (forte della documentazione e dei Piani personalizzati validati dalla Commissione UVM nella quale, come noto, è presente, quale parte integrante, il Comune) ha avuto il coraggio di sfidare il proprio Ente convenzionato. Chapeau, un fatto non scontato.

 
 
 
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