
Era il 1990 quando ci eravamo posti una domanda simile:
le associazioni di consumatori, servono? E ne deducemmo che servivano. Eravamo in un periodo in cui stava per esplodere in modo più ramificato e generalizzato la società dei consumi. Internet era alle porte e uno degli attori di questa economia, il consumatore, era considerato grossomodo alla stregua di un suddito. Mentre in una parte del mondo (soprattutto Uk e Usa) il consumatore era attivo e considerato anche nelle leggi, nel nostro Paese non era così.
E fu così che intraprendemmo un cammino, in una società e un’economia ancora molto strangolata dai monopoli, con leggi scarse e generiche. Qualche associazione simile aveva fatto capolino proprio in quegli anni (grazie essenzialmente ai sindacati confederali) ma decidemmo di andare per conto nostro perché, memori e consapevoli che
autonomia ed indipendenza sono elementi importanti per credibilità e libertà d’azione, credemmo che altrettanto sarebbe stato necessario per dare diritto e potere al cittadino consumatore e utente: per questo decidemmo di identificare questo nostro indirizzo e questa aspettativa,
sì per la difesa dei diritti, ma siccome di questi diritti da difendere ce n’erano veramente pochi, optammo anche nel logo PER l’affermazione di questi diritti, e quindi Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori.
Un imperativo che abbiano sempre usato come guida partendo da un presupposto:
l’informazione fa l’essere umano libero e capace.
Chi meglio di se stesso può difendersi e affermarsi? Da qui la nostra formula che, con l’avvento e diffusione di massa di Internet, si è concretizzata in
una sorta di quotidiano online (www.aduc.it) a disposizione di chiunque. Ché potesse avere a disposizione le informazioni necessarie per fare da sé e, quando questo non era possibile per vari motivi, chiedere il nostro supporto anche tecnico.
La formula del quotidiano online è quella che ancora oggi, a quasi trenta anni di distanza, utilizziamo, marcandola sempre più grazie anche ad un’altra impostazione che abbiamo sempre più rafforzato: professionisti
volontari che prestano la propria opera e conoscenza per il bene diffuso,
rifiuto di ogni tipo di finanziamento pubblico, ché esser pagati da chi spesso (lo Stato) è la nostra controparte non appartiene al modello di società libera a cui aspiriamo.
Per tutto questo, oltre ad informare i cittadini e le istituzioni, oltre a stimolare queste ultime con i vari strumenti della partecipazione democratica e della denuncia, siamo anche andati per un po’ di tempo in Parlamento.
Una premessa che ci dovrebbe portare a rispondere negativamente alla domanda che ci stiamo ponendo, oggi “servono ancora le associazioni di consumatori”?.
NO, le associazioni servono ancora..
Crediamo ci sia ancora da fare. Siamo un’associazione a tempo,
a scadenza (come la vita umana), legata alla sua necessità di esistere per raggiungere un obiettivo. E quest’ultimo non è una chimera irraggiungibile, messo lì per dare un senso alla nostra esistenza più o meno permanente. E’ un obiettivo/monito che deve fare tesoro di quanto nel frattempo è riuscito a creare e raggiungere sì da essere meglio funzionale.
Nel 2019/2020 il nostro Paese, per la
giustizia ha un “codice del consumo” e strumenti semplici da utilizzare per farsi riconoscere giustizia. Ha molti
servizi (tlc, energia) che da monopoli sono diventati privati ed ha
Autorità (che ancora sovrintendono al proprio mandato istituzionale di transizione dai monopoli al mercato libero) che aiutano il cittadino a meglio essere informati e meglio difendersi. Ha molti
media che dedicano intere sezioni della loro informazione ai consumi e alle utenze, più o meno, ma non necessariamente, avvalendosi di associazioni di consumatori in quanto “
esperte”. Nel
commercio sono sempre meno gli addetti che ignorano i diritti di chi fruisce dei loro servizi. Insomma, il consumatore è entrato a far parte del tessuto economico e sociale.
A questo punto un osservatore medio si potrebbe porre una domanda:
ma che dicono questi di Aduc, io appena mi distraggo un pochino vengo fregato dal bottegaio come dal gestore di un qualunque servizio tlc o energetico, e se poi mi rivolgo alla giustizia - codice del consumo o meno - è sempre un “terno al lotto”; per non parlare dei rapporti con la Pubblica Amministrazione: spesso arrogante e vampiresca, che, nonostante talvolta si vantino di avere istituito un qualche difensore civico, se non mi attrezzo per non farmi mettere i piedi in testa mi succhiano anche la mia recondita educazione civica.
A questo osservatore rispondiamo che ha ragione. E questo ci serve per meglio spiegare che
stiamo parlando di una tendenza in corso. Crescente. E che non a caso abbiamo risposto
NO alla domanda sull’eventuale superamento della necessità delle associazioni di consumatori. Stiamo però prendendo atto che,
mentre registriamo questa crescita della diffusa consapevolezza consumeristica, non vediamo altrettanta crescita nelle associazioni, Aduc inclusa.
Questo accade in un contesto, non molto (per ora) italiano, in cui una sorta di rifiuto sociale dell'ordine neoliberista emerge fortemente, su un terreno di impoverimento delle classi medie, di precarietà di norma nei mercati del lavoro e nei servizi pubblici (1). Per limitarci al contesto europeo, ciò che accade in Francia (scioperi) e Gran Bretagna (Brexit), ne sono palese esempio.
Per ora ci limitiamo alla registrazione di questa necessità di superamento e migliorie e attualizzazione dei propri obiettivi e metodi.
Prestando molta attenzione a non far diventare un’associazione di consumatori come Aduc (sperando di essere contagiosi anche per altre associazioni)
alla stregua di una qualche associazione di categoria. Chè i consumatori non sono una categoria da difendere o far uscire dal ghetto, ma sono
tutti i cittadini in alcuni momenti della loro partecipazione economica. E per questo, dovendo anche essere
protagonisti e attori del cambiamento verso maggiore e più diffusa ricchezza, non possono solo guardare la propria limitata funzione.
Associazioni come Aduc dovrebbero/potrebbero non solo “risolvere” problemi contingenti, ma fungere da piattaforma civica diffusa.
1 –
un’analisi in merito la si può leggere qui