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Consulenza finanziaria. Perché la stai pagando (e neppure lo sai)?
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Editoriale di Alessandro Pedone
8 maggio 2018 17:14
 
Per molti anni, l’industria del risparmio gestito ha vissuto basandosi sostanzialmente su un equivoco (per usare un eufemismo). Agli investitori si è fatto pagare un servizio, quello della consulenza finanziaria, senza che il cliente ne fosse informato e – conseguentemente – trasformando il servizio di consulenza, in una mera attività di vendita. Un’attività nella quale il vero contenuto professionale è quasi inesistente.
 
Come stai pagando la consulenza finanziaria?
Quando un investitore si rivolge presso un intermediario finanziario per investire del denaro, in genere non ha consapevolezza di quanto gli costi questo servizio. Tradizionalmente, a dispetto delle norme che imporrebbero grande trasparenza in questo campo, le banche e gli intermediari finanziari in genere sono molto restii a comunicare con chiarezza tutti i costi a carico degli investitori. Ma anche nei rari casi in cui il cliente è consapevole di questi costi (mediamente il 2-3% all’anno), praticamente nessuno è consapevole del fatto che circa il 70% (1) di questi costi è legato non al servizio di gestione vero e proprio, ma alla  distribuzione, ovvero a quello che dovrebbe essere la consulenza finanziaria.
In genere, infatti, il meccanismo funzionava in questo modo (parliamo al passato perché la MIFID2 sta cambiando un po’ le cose).
Il cliente aveva una cifra da investire, diciamo 100.000 euro.  Si  rivolgeva in banca o da un promotore finanziario (che oggi si chiamano “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede”) dove riceveva il consiglio d’investire su una serie di prodotti finanziari. Questi prodotti hanno una serie di costi, in piccola parte facilmente visibili all’investitore, in larga parte sono costi prelevati direttamente all’interno della forma d’investimento così che il cliente possa vedere, sui suoi estratti conti, solo l’andamento dell’investimento già al netto di questi costi. Con una certa dose di pazienza e di conoscenza, l’investitore può sapere quanto costano i suoi prodotti finanziari, ma la grande maggioranza non fa lo sforzo di andare a verificare.
Ai fini di questo articolo, la cosa rilevante è notare che la banca (o la rete di promotori finanziari) che ha consigliato il prodotto, fino all’anno scorso, riceveva dalla casa produttrice circa il 70% dei costi che il cliente pagava (1).
Quindi su circa 2.000 euro che il cliente paga per il servizio d’investimento, la banca riceve circa 1.400 euro per il fatto che ha consigliato al cliente d’investire in quel prodotto, invece che in un altro prodotto.
Fino all’anno scorso, l’industria del risparmio gestito si è retta su questo meccanismo.
Con l’introduzione della nuova direttiva comunitaria sui servizi d’investimento entrata in vigore quest’anno, questo meccanismo (nella maggioranza dei casi) non è più consentito. Se la banca vuole i suoi 1.400 euro li deve chiedere direttamente al cliente e gli deve comunicare per scritto che quel costo è legato al servizio di consulenza finanziaria. Sarà  inoltre obbligata ad indicare se la consulenza è fatta su base indipendente o meno (in genere non lo è).
 
Cosa stai pagando?
All’inizio dell’anno prossimo tutti gli investitori dovrebbero ricevere un documento dalla propria banca nel quale ci sarà scritto l’importo, in euro, che il cliente ha pagato per il servizio di consulenza finanziaria. La domanda che dovremo farci è: in cosa consiste questo servizio? Ovvero cosa si sta pagando p-r-e-c-i-s-a-m-e-n-t-e?
Qui bisogna fare una grande distinzione: c’è l’aspetto prettamente giuridico e c’è l’aspetto, diciamo così, sostanziale.
Sul piano giuridico, il servizio di consulenza finanziaria consiste nel fornire al cliente delle raccomandazioni personalizzate  - considerate adeguate al soggetto che la riceve -  per acquistare, vendere o detenere uno specifico strumento finanziario.
Gli obblighi di legge dei soggetti che possono erogare il servizio di consulenza finanziaria (poiché questa è un’attività riservata per legge) sono numerosi. I due obblighi principali sono: 1) definire il profilo dell’investitore, al fine di compiere la valutazione di adeguatezza ad ogni raccomandazione e 2) fornire tutta una serie d’informazioni per far compiere all’investitore scelte consapevoli.
Questo è l’aspetto legale, formale.
Nella sostanza, però, le cose sono molto diverse.
Dov’è il valore aggiunto della consulenza finanziaria?  Perché un investitore dovrebbe pagare un consulente? Che tipo di servizio si dovrebbe aspettare un cliente? Cosa è legittimo attendersi da un buon consulente finanziario e cosa non rientra nelle sue possibilità/compiti?
Ad oggi, dobbiamo riconoscere molto francamente che, almeno in forte prevalenza, il così detto “servizio di consulenza” non è altro che un’attività commerciale. Non esiste un vero valore aggiunto della persona che gestisce il rapporto con il cliente, almeno non per il cliente.
La funzione di queste persone è quella di portare il cliente a sottoscrivere prodotti finanziari distribuiti dalle banche che li pagano.
Un buon consulente finanziario, invece, dovrebbe essere in grado di apportare un notevole valore aggiunto. Negli USA, dove questa professione è diffusa da decenni, si misura in circa il 3% (2) il valore aggiunto della consulenza finanziaria. Ovviamente è un dato che va preso “con le molle” ed andrebbe ben spiegato. Cerchiamo di capire cosa dovrebbe fare un “vero” consulente finanziario.
 
Cosa aspettarsi da un buon consulente finanziario?
Indipendentemente dagli aspetti giuridico-formali, la vera consulenza finanzia consiste in primo luogo nell’aiutare il cliente ad auto-definirsi come investitore. I grandi investitori hanno spesso detto che per fare un buon investimento finanziario, la cosa più importante è conoscere se stessi (lo scriviamo da oltre 15 anni: “Regola n. 1: conosci te stesso”).
Gli investitori nella quasi totalità dei casi sottovalutano questo aspetto e non sono in grado di farsi le domande giuste e rispondersi in modo sincero.
A cosa serviranno questi soldi? Qual è la propria capacità di assumere rischi finanziari? Qual è la propria tolleranza a questo genere di rischi?
Questo tipo di lavoro non si esaurisce certo con la compilazione di un questionario come spesso accade in banca. E’ un processo lungo, che richiede spesso più incontri o comunque più scambi d’informazione anche a distanza di settimane. Non è affatto facile risponde alla domanda: “a cosa pensi che ti servano questi soldi in futuro?”, ma dare una buona risposta, meditata, è di cruciale importanza per fare un buon piano d’investimento.
Il secondo compito-chiave del consulente finanziario è quello di informare il cliente su cosa realmente può aspettarsi dai mercati finanziari. Quali sono i rendimenti medi che ci si può ragionevolmente aspettare dalle varie forme d’investimento? Quali sono i rischi effettivi? Quali sono i costi connessi alle varie forme d’investimento? Vale la pena pagarli?
Queste informazioni dovrebbero derivare da evidenze accademiche. A questo scopo è fondamentale che il consulente abbia fatto studi specifici e sia costantemente aggiornato.
Il terzo lavoro fondamentale del consulente finanziario è quello di aiutare il cliente ad essere coerente e disciplinato attraverso le varie fasi dei mercati finanziari, quelle euforiche e quelle dominate dalla paura.
Molti studi hanno dimostrato chiaramente che fatto 100 il rendimento medio del mercato, la media dei prodotti di risparmio gestito, nel lungo termine,  riescono a cogliere circa il 75-80% del rendimento dei mercati perché una parte importante se ne va in costi (in questa fase molto particolare dove i rendimenti medi dei mercati sono bassissimi, questa percentuale è drammaticamente più bassa). E’ evidente che in questo campo (cioè quello della riduzione dei costi) c’è molto da lavorare, ma la cosa drammatica è che gli investitori riescono a cogliere meno della metà del rendimento residuo dei prodotti di risparmi gestito. Questo accade poiché sbagliano il momento d’ingresso e di uscita.
In altre parole è vero che –mediamente-  i prodotti di risparmio gestito distruggono valore rispetto al mercato a causa di costi inutili, ma è ugualmente vero che il principale distruttore di valore è l’investitore stesso il quale, preso dall’euforia e dalla paura (ed in genere malconsigliato da sedicenti “consulenti” i quali in realtà fanno i venditori), entra ed esce da questi prodotti nei momenti peggiori.
Come può fare un consulente finanziario ad aiutare il cliente ad evitare questi errori? Lo strumento principe è quello di stabilire un progetto d’investimento che indichi in modo chiaro e scritto perché si sono fatte determinate scelte, con quali aspettative, con quali tempi e quando e perché si deciderà di disinvestire.
Queste regole d’investimento si costruiscono molto più facilmente (ed una volta costruite è ben più facile attenervisi) se sono collegate al punto n.1, ovvero la definizione del profilo dell’investitore. Ecco perché è così importante “conoscere se stessi”.
Queste sono le tre cose fondamentali che un cliente può e deve aspettarsi da un “vero” consulente finanziario che non sia un semplice venditore di prodotti finanziari.
 
Cosa NON aspettarsi da un buon consulente finanziario?
Chi si aspetta da un consulente finanziario che sappia come andranno i mercati in futuro e scelga conseguentemente gli investimenti che andranno meglio degli altri, rischia cocenti delusioni.
I consulenti finanziari non sono gestori di capitali.
Il loro principale valore aggiunto si realizza nella gestione della relazione con i clienti, non nella gestione dei mercati finanziari.
Ci sono tonnellate di evidenze accademiche le quali dimostrano come neppure i gestori siano in grado di battere i mercati finanziari (a causa dei costi connessi), ma è ancora più evidente che il consulente finanziario non avrebbe neppure il tempo materiale di analizzare il giorno-per-giorno dei mercati finanziari ad un livello di dettaglio tale da tentarci seriamente.
Un buon consulente finanziario costruisce i portafogli dei propri clienti sulla base delle evidenze accademiche pesando le varie categorie d’investimento (così dette: asset class, ovvero varie forme di azionario, varie forme di obbligazionario, liquidità, ecc.) ed eventualmente utilizzando varie strategie d’investimento sulla base delle caratteristiche dell’investitore (obiettivi, capacità e tolleranza nell’assunzione dei rischi, conoscenze ed esperienze finanziarie).
In genere non è legato all’andamento giorno-per-giorno dei mercati finanziari.  Punta a massimizzare le probabilità di raggiungere gli obiettivi dei clienti nel lungo periodo.
 
Chi può permettersi un buon consulente finanziario?
L’industria del risparmio gestito, in genere, classifica la clientela nelle seguenti categorie: 
- Mass-market: clienti con patrimoni fino a 300 mila euro
- Affluent: da 300 ad un milione di euro
- HNWI (high net-worth-individual): superiore al milione di euro
- Very- HNWI:  dai5 ai 10 milioni di euro
- Ultra-HNWI: sopra i 10 milioni di euro. 
Un buon consulente finanziario dedica tanto tempo ai propri clienti. Non sono a conoscenza di statistiche pubbliche, ma la mia personale esperienza e la conoscenza di decine di consulenti finanziari indipendenti, mi porta a dire che mediamente ogni cliente necessità di 20-30 ore di lavoro all’anno come minimo, specialmente i primi anni.
Poi ci sono le ore non specificamente dedicate ad un singolo cliente, ma necessarie per gestire l’attività in generale  (mediamente si equivalgono).
Se fa un buon lavoro, molto difficilmente può seguire più di 40-50 gruppi familiari.
I consulenti che si rivolgono ad investitori più facoltosi in genere seguono 20-30 gruppi familiari dedicando 40-50 ore all’anno.
Da queste cifre si può capire chiaramente che l’attività di assistenza continuativa di un vero consulente finanziario non può che costare da un minimo di poche migliaia di euro ad un massimo di decine di migliaia di euro all’anno, per i clienti molto facoltosi .
E’ evidente che la fascia di clientela che l’industria del risparmio gestito chiama “mass-market” avrà grandi difficoltà ad accedere ad un servizio di consulenza finanziaria di grande qualità, poiché i costi incidono sul patrimonio in modo da renderlo inefficiente.
Questa categoria d’investitori, che sono la grande maggioranza, dovrebbe puntare a colmare il più possibile autonomamente le lacune informative che hanno e cercare prima di ogni altra cosa di avere portafogli finanziari semplici e poco costosi.
Il miglior investimento che queste persone possono fare è quello nel tempo per informarsi ed evitare i costi e le trappole dell’industria del risparmi gestito.
Il sito "Aduc-Investire informati" è nato proprio per dare un contributo gratuito in tal senso.
  
(1) Il dato si può trovare anche nel Discussion Paper pubblicato sul sito dell’autorità pubblica che vigila sui mercati finanziari, la Consob.
Riportiamo il passaggio chiave su questo aspetto: “In particolare, circa il 70% delle commissioni riconosciute alle società di gestione del risparmio è assorbito dai costi di distribuzione. È verosimile che la nuova disciplina introdotta dalla MiFID2, che reca disposizioni più restrittive in materia di incentivi, possa determinare una revisione degli attuali modelli distributivi e commissionali
(2) Si veda qui: https://www.vanguard.com/pdf/ISGQVAA.pdf
 
 
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