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Dall’equilibrio di mercato all’equilibrio di sistema
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Editoriale di Alessandro Pedone
28 aprile 2020 18:38
 
La grande crisi finanziaria del 2008/2009 ha, di fatto, distrutto le basi culturali della finanza così come si conosceva prima di quella crisi. Collettivamente, ancora non abbiamo ben compreso questo fatto, ma a livello di élite culturale ormai non c’è più dubbio sul fatto che il fondamento delle tradizionali teorie finanziarie sia superato.
La grande crisi economica che ci aspetta distruggerà (finalmente!) in modo definitivo le basi culturali della vecchia economia che ancora domina incontrastata e plasma i comportamenti consci ed inconsci di ciascuno di noi.

I presupposti teorici dell’economia che insegniamo nelle scuole ed all’università sono superati da almeno mezzo secolo, ma i cambiamenti culturali richiedono tanto tempo per essere assimilati e spesso necessitano di choc come quello che stiamo vivendo. In economia, in particolare, ci sono poi così tanti interessi diretti cogenti che rendono più complesso cambiare regole che avvantaggiano così tante persone con grandi disponibilità. Questo anche senza voler considerare gli aspetti, che pur ci sono, di malafede e bassezze umane.

Ci siamo già soffermati più volte, sul primo presupposto teorico infondato dell’economia attuale: il paradigma della scarsità. Qui desideriamo affrontare il “totem” venerato dagli economisti: l’equilibrio di mercato. Dall’incrocio tra domanda ed offerta di beni/servizi si determinerebbe un supposto equilibrio che ottimizzerebbe le risorse disponibili in una società. La teoria vorrebbe che i singoli componenti della società, nel tentativo di massimizzare i vantaggi individuali, attraverso il meccanismo del libero mercato, realizzerebbero involontariamente il massimo bene possibile per l’intera società. E’ la famosa metafora della “mano invisibile” di Adam Smith. Una narrazione molto credibile, ma del tutto infondata.
Personalmente considero il concetto di libera iniziativa economica e quello di metodo scientifico come i due strumenti sociali che maggiormente hanno contribuito al progresso dell’umanità.
Non ho alcun dubbio che una libera economia sia preferibile alla sola alternativa che fino a qualche anno fa avevamo, ovvero un’economia pianificata dallo Stato.

Non dobbiamo però pensare che, poiché l’unica alternativa che vediamo è sicuramente peggiore dell’opzione in campo, allora dobbiamo tenerci i difetti di quello che abbiamo.
Non è affatto vero che il perseguimento dell’interesse individuale porti all’interesse collettivo. Con questa assurda teoria abbiamo eretto comportamenti sociopatici a valori da perseguire. L’avidità non è affatto un bene, l’avidità è una perversione di persone malate che avrebbero bisogno di essere curate e certamente non gli dovrebbe essere permesso di avere effetti significativi per l’intera società.

E’ possibilissimo mantenere la libera iniziativa economica, ma farla operare all’interno di un sistema di regole che incentivi i comportamenti socialmente utili. Il problema è: chi decide quali sono i comportamenti socialmente utili?
Ci manca uno strumento alternativo al semplicistico concetto di incrocio fra domanda ed offerta. Quando questa teoria è nata, non avevamo le risorse tecnologiche di cui disponiamo oggi. Adesso esistono i big data, ma li stiamo usando solo per far arricchire qualche enorme multinazionale (1).

Ciò che possiamo fare è sostituire il concetto di equilibrio di mercato con quello di equilibrio di sistema. Oggi possiamo farlo perché disponiamo dei dati relativi alle variabili dell’intero sistema in tempo reale e quindi possiamo osservare l’intero sistema e comprenderne le principali relazioni.

Il primo ambito nel quale il concetto di equilibrio di sistema dovrebbe essere applicato è certamente quello monetario. Progressivamente diventerà naturale generalizzare il concetto praticamente ad ogni settore dell’economia.
Il nostro Pianeta è un sistema chiuso nel quale domina il concetto di ciclo. La massimizzazione di qualsiasi cosa, fisica o digitale, è contro le leggi che governano l’equilibrio del sistema che ci tiene in vita.

Applicato al sistema monetario, sostituire il concetto di equilibrio di mercato con quello di equilibrio di sistema significa ripensare il modo in cui il denaro viene prodotto e distribuito. In particolare è necessario ripensare completamente il tasso d’interesse.
Tradizionalmente, l’interesse è visto come il “prezzo” del denaro. L’incrocio fra domanda ed offerta di denaro determinerebbe l’interesse. Questo è vero se applichiamo il paradigma di “equilibrio di mercato”. Curandoci dell’equilibrio di sistema ci dovremmo domandare: c’è sufficiente moneta in circolazione per il complesso dei beni e servizi prodotti? Con quale velocità circola questa moneta? Il tasso d’interesse, sia positivo che negativo, dovrà essere quindi uno degli strumenti per rendere l’intero sistema in equilibrio. In equilibrio con cosa? Con le sue componenti interne (cioè i debitori ed i creditori) ed esterne (cioè il complesso di beni e servizi acquistabili).
Il denaro non dovrà più essere visto come un bene, ma come un mezzo attraverso il quale scambiamo beni e servizi. Ognuno ha il diritto di utilizzare questo strumento per soddisfare i propri bisogni primari, i quali devono essere garantiti poiché nella nostra società non esiste più scarsità di beni di prima necessità. In aggiunta ai beni primari, ogni cittadino dovrà avere il diritto di utilizzare lo strumento denaro in proporzione alla propria capacità di generare beni e servizi utili per la società. Non c’è spazio in questo scritto per articolare i criteri con i quali questi meccanismi sistemici si potrebbero concretamente utilizzare. Ce ne sono molti e non è l’aspetto tecnico il punto.
Il punto è fare il salto culturale che consente di smettere di considerare il denaro come un bene-merce da accumulare e pensarlo come un mezzo che si “maneggia” quando e come ci serve, a determinate condizioni. Un po’ come un automobile in modalità car-sharing. Si usa per spostarci, si devono rispettare certe regole, si assumono delle responsabilità e poi si lascia, nella consapevolezza che quando ci servirà di nuovo avremo sempre e comunque la possibilità di ripetere l’esperienza.

Il sistema monetario è il primo campo nel quale dovremmo abbracciare il paradigma dell’equilibrio di sistema, ma progressivamente - come abbiamo già accennato - il concetto dovrebbe essere esteso a tutti i settori. Il prezzo delle materie prime, ad esempio, dovrebbe certamente essere parzialmente determinato dall’incrocio della domanda con l’offerta, ma dovremmo anche aggiungere variabili che da un lato consentano di considerare gli effetti ambientali e sociali e dall’altro prevengano fluttuazioni eccessive dei prezzi ai quali i mercati, lasciati completamente a sé stessi, ci hanno abituato. In parte già stiamo facendo cose simili, si pensi ad esempio allo strumento dei “certificati bianchi” che si usano nel mercato dell’energia. Strumenti del genere dovrebbero sempre di più essere integrati nel sistema monetario affinché dall’equilibrio sistemico generale, dato dalla moneta, si sviluppino sotto-sistemi sempre più equilibrati.

Usando una metafora spesso citata da Nick Hanauer (miliardario atipico che vuole “aggiustare” il capitalismo) il mercato non deve essere una “giungla” ma un “giardino”. Il problema è scegliere e far lavorare il “giardiniere”. La teoria dell’equilibrio di sistema rende molto meno discrezionali le attività del “giardiniere” (i regolatori pubblici). Dobbiamo stabilire una serie di variabili di sistema e concordare su una serie di relazioni fra di sé.
Fatta questa analisi, gli interventi sono molto meno discrezionali.
Curare il giardino diventa un’attività quasi automatica. Servirà un po’ di acqua (il denaro), un buon terreno (le conoscenze e le materie prime) ed una serie di attività sulle quali è abbastanza facile concordare una volta che abbiamo ben deciso il progetto di questo giardino. Certamente se non abbiamo un progetto chiaro, oppure lo cambiamo troppo frequentemente, oppure controlliamo i parametri sbagliati per valutare se stiamo andando nella direzione giusta (si veda l’assurdità del PIL) è chiaro che invece di un giardino, nelle migliori delle ipotesi avremo un cumulo di sterpaglie. Quello che abbiamo oggi.

Nota
1 - 
Il tema dei “dati” è un altro tema estremamente rilevante ed enormemente sottovalutato. L’attuale meccanismo che governa la gestione dei dati sulla Rete è semplicemente intollerabile ed una follia alla quale bisognerà il prima possibile rimediare. I dati devono sempre essere nella disponibilità di chi li produce, il quale può concedere, temporaneamente, l’utilizzo, anche gratuito o in cambio dell’utilizzo di una piattaforma, a chi desidera, ma non esiste che ne trasferisca la proprietà e debba affidarsi ad un’azione altrui e vietarne l’utilizzo. Il fondatore del World Wide Web, Tim Berns Lee, sta da anni portando avanti una battaglia per questo tema cruciale, e negli ultimi anni si sta dedicando alla creazione della piattaforma “solid” ed il concetto di “pod”, cioè un luogo digitale “personale” dove risiedono i propri dati, senza che nessuno possa farci niente se non con il permesso espresso del proprietario, permesso che può essere direttamente revocato dal proprietario in qualsiasi momento.
 
 
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