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IL DE PROFUNDIS DELL'IRI
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Editoriale 
1 luglio 2000 0:00
 
COME FAR CREDERE CHE SIA IN ATTO UNA RIVOLUZIONE ECONOMICA: SE NON IRI E' PAN BAGNATO!

C'e' molta informazione, questi giorni, sull'Iri: cosa e' stato, i suoi uomini, i suoi successi, le sue eredita', i suoi rimpianti. Per chi avesse messo da parte un po' di memoria o, giovane, si affacciasse oggi alla comprensione e conoscenza della nostra economia, sarebbe subissato di volti sorridenti di grandi uomini che vengono presentati come coloro che hanno fatto grande questo Paese, e non gli resterebbe che crederci, cosi' come non gli resterebbe che credere che il passaggio al mercato .... "e' cosa fatta!"

Stendiamo un velo giudiziario su quello che l'Iri ha significato per l'economia e, soprattutto, l'amministrazione dello Stato in tutti questi anni: quasi come la Fiat, immune ad ogni cambiamento, e anche capovolgimento (come dal regime fascista a quello democratico), eterno moloch del capitale pubblico cosi' come la Fiat lo e' stata per quello privato (mettendo per un attimo in soffitta la politica di capitalizzazione degli utili e socializzazione delle perdite di quest'azienda). Ed oggi sono entrambi finiti: l'azienda torinese ormai General Motors e l'Iri in dismissione.

E questo vuol dire che i consumatori e gli utenti potranno svolgere quella funzione economica che dovrebbe competergli in un libero mercato, cioe' calmieratori delle scelte e barometri degli indirizzi? Pura fantasia! Perche' -parafrasando un detto popolare- se non e' Iri, e pan bagnato!

L'esempio piu' fulgido e' senz'altro quello della Rai, che e' stata parcheggiata (in disprezzo di leggi e buon senso) al ministero del Tesoro, per cui, se prima avevamo la Comunicazione pubblica di Stato, oggi ce l'abbiamo di Governo (per restare sempre nei detti popolari, qui e' il caso di dire "dalla padella nella brace"). Il fatto che gli italiani abbiano gia' fatto sapere con un referendum, alcuni anni fa, che avrebbero preferito una Rai privata, e' diventato piu' che marginale: dimenticato.
Per il resto, questa dismissione, segue cio' che succede con la Rai: un cambio di casacca, ma sempre pubblica per prevalenza di proprieta' o per poteri di golden share. E gli utenti e consumatori avranno gli stessi servizi e prodotti, da fornitori e produttori unici, a cui non potranno contrapporre, in mancanza di qualita' ed economicita', il loro potere economico: la scelta e il premio dei migliori.

La geografia e' alquanto costellata, e coinvolge sia lo Stato che le amministrazioni locali, a cui molte competenze sono state delegate, e che si stanno comportando, ne' piu' ne' meno come lo Stato centrale.
Alcuni esempi: gli scali aeroportuali italiani sono una quarantina e solo tre sono privati; tra questi, quelli romani sono gestiti dalla societa' Adr sulla cui privatizzazione, abbiamo fatto aprire un dossier alla Commissione Europea: la legge italiana che ha recepito la direttiva comunitaria in materia e' un pateracchio, tant'e' che quando fu bandita la gara romana, per le condizioni poste dalla legge stessa (riassunzione di tutto il personale della precedente gestione, per esempio), non poteva non vincere l'Adr.
L'Enel e' al 68,2% dello Stato, che e' il primo azionista (35,3%) dell'Eni. Sono al 100% dello Stato l'Azienda Fs, le Poste Italiane, il Poligrafico, la Consap e la Consip, rispettivamente societa' di servizi assicurativi e societa' per gli acquisti della pubblica amministrazione. Per ora, oltre alla Rai della cui vicenda abbiamo gia' detto, non si sa cosa succedera' agli altri "gioielli" dell'Iri, come Alitalia, Tirrenia, Fincantieri. E che dire del Tesoro che ha ancora il 4% in Telecom, con tanto di potere di golden share, cioe' di veto in condizioni particolari di emergenza che sono definite tali dallo stesso Governo di cui il Tesoro fa parte. Finmeccanica e' un'altra perla: il Tesoro detiene il 30% di capitale, mentre ci sono norme che stabiliscono che un solo azionista possa, al massimo, detenere il 3%. Poi abbiamo il caso di Agi-Ip a maggioranza Eni, multata dall'Autorita' per l'energia per il cartello che avrebbe condizionato il prezzo della benzina, che dovra' pagare una multa a se stessa (una partita contabile di giro, quindi: alla faccia di tutti coloro che hanno urlato la loro vocazione forcaiola chiedendo multe piu' salate per meglio punire il colpevole, ma che non hanno fiatato di fronte a questa anomali che trasferisce il tutto nell'ambito del ridicolo e della tragedia greca). E le Autostrade spa? La cui vendita di azioni e' stato uno dei tormentoni pubblicitari che -inferiore solo alle lucciole dell'Enel- ha illuso risparmiatori e consumatori? Il 35% delle autostrade a pedaggio sono rimaste proprieta' dello Stato, e mica robuccia: si parla di tratte tipo Brescia-Padova, Autobrennero, Milano-Serravalle, Autovie Venete; tutte tratte ad alto rendimento, non la Bari-Taranto.

Il capitolo municipalizzate e' altrettanto ampio. Valga per tutti il 51% di capitale pubblico nell'Acea che, spronata dal successo economico nella gestione dei servizi della capitale, si sta lanciando nelle piu' produttive e avveniristiche scorribande imprenditoriali che i nuovi sistemi di comunicazione offrono, con tanto di Borsa.

Che dire, poi, delle banche? Gestite da Fondazioni senza scopo di lucro che rispondono a criteri politici? Dove spicca il caso del Monte dei Paschi di Siena che, incurante della legge e delle denunce ricevute da piu' parti, consente la gestione della Fondazione allo stesso Sindaco della citta' toscana. Poi c'e' un gioco di intrecci tra Fondazioni e gruppi che, alla fine, fa si' che l'influenza pubblica sia determinante nelle quattro principali banche italiane.
Un bel quadretto incoraggiante, lo specchio di un mercato che sta perfezionando i suoi componenti al fine di conservare l'assedio, e il potere che ne deriva.
E in mezzo ci sono i risparmiatori. Prima investivano in Bot che fruttavano o meno rispetto agli umori politici e clientelari dello Stato; oggi investono in una Borsa, ma quasi esclusivamente in aziende che sono controllate dallo Stato o dal Governo, e che rispondono sempre a logiche che sono il contrario di quelle del mercato, non rendendolo appetibile, ma solo un po' piu' a rischio: per sapere se l'investimento e' giusto o meno, piu' che le cronache finanziarie, conviene leggersi quelle politiche e di politica economica.
Una cosa ci domandiamo, e la giriamo al commissario Ue Mario Monti, con questa riflessione: possibile che questa grande presa in giro sia corretta?
(Vincenzo Donvito)

 
 
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