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La finanza salverà il mondo? Le ragioni dell’ottimismo
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Editoriale di Alessandro Pedone
6 agosto 2019 15:48
 
Dalla grande crisi finanziaria del 2008, uno dei miei principali interessi culturali è cercare di capire come cambiare le regole sociali affinché gli enormi avanzamenti tecnologici e di conoscenza che l’umanità ha sviluppato negli ultimi decenni, invece di condurci dritti verso l’estinzione (come pensano - con ottimi argomenti - i pessimisti), possano finalmente creare un mondo migliore dove i bisogni fondamentali siano soddisfatti per tutti gli esseri umani come diritto imprescindibile.
Ho partecipato (e partecipo) a diverse associazioni formali e informali di persone che si propongono gli stessi obiettivi, occupandomi in particolare degli aspetti economici/monetari.

Mi ricordo molto bene che nel triennio 2009/2012 l’opinione più diffusa fra le poche persone che si occupavano di questi temi era che la crisi sarebbe peggiorata sempre di più fino a portare a conseguenze così catastrofiche da rendere i radicali cambiamenti necessari non più procrastinabili. Io ero uno dei pochi che non aveva questa convinzione. Pensavo che il sistema attuale avesse tutte le risorse per superare la batosta e che i tempi per cambiamenti radicali non fossero ancora maturi. Mi ricordo bene la frustrazione che provavo quando facevo conferenze sui temi della moneta, nel constatare che la grande maggioranza delle persone non era culturalmente pronta a capire la natura del denaro (per non parlare delle grandi sciocchezze che venivano diffuse nel mondo dell’informazione cosiddetta “alternativa”... allora andava di moda il tema del “signoraggio”).

Dopo una decina d’anni, per la prima volta, inizio a percepire come i temi che nel 2009 apparivano come eccessivamente estremisti, radicali, bizzarri, in poche parole “da svitati”, stiano finalmente facendo breccia, non all’interno di circoli intellettuali che solo pochissimi “malati” come il sottoscritto seguono, ma nel mondo delle persone che hanno, o potrebbero aspirare ad avere nel breve futuro, le leve decisionali della società in mano.
Ancora più importante di questo, per la prima volta, inizio a vedere che certe tematiche (la necessità di trasformare il capitalismo, di avere una diversa tipologia di moneta - non tanto euro o non euro, ma un diverso euro, come un diverso dollaro, yen, ecc. - , la necessità di gestire l’automazione derivante dall’intelligenza artificiale e della robotica, ecc.,) stanno diventando qualcosa che entra a far parte di una narrazione condivisa per una parte significativa di persone comuni.
Sicuramente, al momento, si tratta ancora di una esigua minoranza della popolazione, ma 10 anni fa non c’era neppure questa sorta di “infrastruttura culturale” che oggi invece percepisco in modo molto chiaro.
Voglio fare alcuni esempi di fenomeni culturali che vanno nella direzione di cambiamenti radicali delle regole sociali, per adattarli agli straordinari cambiamenti tecnologici che la società ha già compiuto ed a quelli - molto più strabilianti - che ci attendono nell’immediato futuro.

Andrew Yang
Alla corsa per le primarie del partito democratico USA che decideranno lo sfidante di quello che io chiamo l’ego-mostro, cioè l’attuale presidente (non ce la faccio a scriverlo con la maiuscola) degli Stati Uniti d’America, partecipa un personaggio che sta riscuotendo un notevole successo nei media (particolarmente su internet, ma recentemente anche nei mass media) con una piattaforma di proposte estremamente radicali. Si chiama Andrew Yang e potete trovare tutte le informazioni su di lui qui. La proposta più scioccante è ciò che chiama il “dividendo della libertà”, una versione radicale del concetto di “Universal Basic Income” (UBI): dare 1.000 dollari al mese ad ogni cittadino che abbia più di 18 anni, per sempre e senza condizioni. Questa proposta appare - a prima vista - impossibile da realizzare e per molti anche ingiusta (“perché dare 1.000 dollari anche ai ricchi?”). 10 anni fa non sarebbe stata neppure concepibile (eppure, chi studiava queste cose, sapeva che una forma di UBI è l’unica opzione possibile per evitare il disastro sociale inevitabile nel momento in cui l’automazione sostituirà sempre più lavori tradizionali a ritmi che oggi le persone neppure riescono a concepire).
Non desidero, in questa sede, entrare nel merito delle proposte di Andrew Yang e non credo che abbia molte speranze di conquistare la nomination (lo vedremo fra poco meno di un anno); ciò che trovo estremamente interessante è notare che il contesto culturale ha reso conveniente per qualcuno provare a giocare una candidatura su temi così radicali, non solo non temendo di essere ridicolizzato, ma riscuotendo anche un notevole successo (ovviamente considerato che si tratta di un completo outsider).
Quand’anche, come probabile, la campagna di Andrew Yang non dovesse portare alla conquista della candidatura democratica, non c’è alcun dubbio che tutto il dibattito politico che si svilupperà nel prossimo anno contribuirà enormemente a diffondere queste idee, che oggi appaiono radicali solo perché culturalmente non sono diffuse.
Se non sarà a questo “giro”, dopo altri 4 anni l’idea che l’automazione sia il vero problema (non certo l’immigrazione) sarà così diffusa fra la popolazione che il tema non sarà più se servirà un UBI, ma quale tipo di UBI dobbiamo fare.
Le proposte di Andrew Yang sono molto innovative e radicali non solo sulla sua proposta portabandiera. Si comprende benissimo che è figlio di un pensiero radicalmente nuovo che si è consolidato in questo decennio. L’idea, ad esempio, di concentrare l’attenzione su indicatori complementari al GDP, cioè il Prodotto Interno Lordo, è un segno evidente di quanto detto. Chiunque senta parlare questo personaggio ed abbia letto, in questi anni, gli autori di riferimento di questo movimento culturale non può non sentire che - al di là delle specifiche proposte - siamo davanti all’emersione di un nuovo modo di pensare.

Ray Dalio
Anche nel mondo della finanza si è ormai consolidato un pensiero radicalmente innovativo il quale ha compreso che ciò che è accaduto nel 2008 è un fatto che va sistemato in modo strutturale, non con qualche “ritocco” che non cambia le basi del sistema.
La persona che - a mio avviso - sta fornendo i contributi più interessanti a questo pensiero è Ray Dalio, una personaggio che per tutta la vita ha impersonato la figura del “cattivo” per antonomasia nel mondo della finanza: il gestore del più importante Hedge Fund del mondo.
L’approccio culturale di Ray Dalio è basato sul concetto che ogni fatto che si presenta è solo una riproposizione in forma diversa di qualcosa che si è già presentato in passato.
In questa visione, è particolarmente importante scrivere i principi che stanno alla base delle decisioni perché in futuro potranno tornare utili e si potranno affinare sempre di più in base ai risultati.
Ray Dalio in questi decenni è stato a stretto contatto - ed in parte ha influenzato - tutte le più importanti figure che hanno avuto in mano importanti leve decisionali come Mario Draghi, per citare forse la persona più conosciuta ai lettori. Ray Dalio è conosciuto e stimato da persone del calibro di Lerry Summers, Henry Paulson o Timothy Geithner. Non parliamo di pensatori “originali” fuori dal coro. Parliamo delle persone che - di fatto - hanno gestito la Grande Crisi Finanziaria del 2008.
Tutte queste persone hanno mostrato pubblico apprezzamento per il pensiero originale di Ray Dalio su come dovremmo gestire la prossima grande crisi del debito che inevitabilmente si presenterà. Purtroppo i suoi contributi tecnici non sono stati tradotti in italiano, non posso far altro che riportare dei link in inglese. Qui si può scariare gratuitamente il suo libro  che contiene un analisi storica sulle grandi crisi del debito e qui ci sono i suoi contributi sul peché il capitalismo deve essere radicalmente modificato e non sta di fatto più funzionando neppure negli Stati Uniti.
Ripeto, non voglio soffermarmi tanto nel merito degli argomenti. Quello che desidero far notare è come idee così profondamente radicali siano pubblicamente supportate da personaggi che sono pienamente inseriti nell’establishment.
Leggendo le dichiarazioni pubbliche delle Christine Lagarde (prossima presidente della Banca Centrale Europea) sulle monete digitali delle banche centrali non si può non leggere l’influenza del pensiero di Ray Dalio - anche perché sappiamo bene che i due si parlano da tempo - ma anche non volendo essere così diretti, non si può non leggere lo stesso humus culturale.

Bertrand Badrè
L’ultimo personaggio che voglio citare è meno conosciuto, al grande pubblico, ma ha fatto pienamente parte dell’establishment finanziario. Il ruolo più prestigioso che ha ricoperto è quello di CFO e Managing Director della Banca Mondiale, mi riferisco a Bertrand Badré.
In Italiano è stato da poco pubblicato il libro dal titolo provocatorio: “E se la finanza salvasse il mondo?”. Si potrebbe pensare, erroneamente, che il libro intenda essere una difesa d’ufficio del sistema finanziario da parte di una delle persone che ne è stato beneficiato.
Si tratta dell’opposto. Badré non nasconde affatto le distorsioni del sistema finanziario attuale e propone riforme assolutamente radicali partendo dai principi fondanti.
La finanza, il denaro in generale, è un pessimo padrone, ma è un eccellente servo.
Quello che dobbiamo fare è ripensare completamente le regole che stanno alla base del modo di produrre denaro e del sistema finanziario affinché sia al servizio dello sviluppo e non della crescita. Crescita e sviluppo sono due concetti molti diversi. La crescita è la metodologia delle cellule tumorali, lo sviluppo è l’approccio delle cellule staminali ed embrionali. La differenza è il progetto sottostante.
Questi sono solo alcuni dei molti concetti proposti nel libro di Badré che consiglio di leggere.
Fra i personaggi che propongono un cambiamento radicale nel mondo della finanza non si può non citare Paolo Sironi con la sua Teoria nella Trasparenza dei Mercati Finanziaria di cui abbiamo già parlato qui. Anche Paolo Sironi, come tutti gli altri personaggi che di cui ho parlato in questo articolo, non è affatto una pensatore “alternativo”. Ha un ruolo importante in IBM nel settore dell’intelligenza artificiale applicata al settore della Finanza.

Conclusioni
I grandi cambiamenti strutturali avvengono sempre in funzione di nuove idee che emergono e piano piano entrano nella consapevolezza delle persone. Molti pensano che siano principalmente gli interessi a determinare il cambiamento delle cose, ma questo è vero solo superficialmente.
Con la sua meravigliosa prosa, il grandissimo economista che J. M. Keynes lo dice molto chiaramente nel suo principale capolavoro «The General Theory of Employment, Interest end Money», London 1936 (trad. it. A. Campolongo, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET, Torino, 1971, pagg. 526-527): “È speranza visionaria l’avverarsi di queste idee? Sono gli interessi che esse colpiscono più forti e più ovvi di quelli che esse promuovono? Non tento di rispondere in questo luogo [...]. Ma se le idee sono corrette [...] predico che sarebbe un errore contestare la loro potenza nel corso di un certo periodo di tempo [...]. Le idee degli economisti e dei filosofi politici, così quelle giuste come quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si ritenga. In realtà il mondo è governato da poche cose all’infuori di quelle. Gli uomini della pratica, i quali si credono affatto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso schiavi di qualche economista defunto [...]. Sono sicuro che il potere degli interessi costituiti si esagera di molto, in confronto con l’affermazione progressiva delle idee [...]. Presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia in bene che in male”.

Molti dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare, come umanità, derivano dal fatto che l’evoluzione tecnologica e delle nostre conoscenze si è sviluppata ad un ritmo enormemente più grande rispetto all’evoluzione sociale. In questo squilibrio, la finanza ha giocato un ruolo determinante nel peggiorare la situazione. La finanza, però, non è né buona né cattiva. E’ solo uno strumento. Lo stiamo utilizzando nel peggiore dei modi, ma questo solo perché culturalmente non abbiamo ancora maturato la necessaria consapevolezza.
Per la prima volta, dopo circa un decennio, sto percependo molto chiaramente che sta emergendo in modo più strutturato una nuova consapevolezza, nuove idee radicali che si stanno facendo largo. Questo mi fa ben sperare perché sono fortemente convinto che Keynes avesse ragione, alla lunga sono le idee che vincono non i poteri forti.
Oggi abbiamo un grande numero di ottime idee che aspettano solo di essere sufficientemente diffuse per scaturire tutto il loro benefico potenziale.
 
 
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