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Investimenti finanziari e diversificazione: singoli titoli azionari
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Editoriale di Alessandro Pedone
17 novembre 2020 16:12
 
Nel precedente articolo di questa miniserie sulla diversificazione negli investimenti finanziari abbiamo visto come l’uso degli indici, attraverso gli ETF, sia senza alcun dubbio il più efficiente modo per diversificare i portafogli finanziari. 
Lo scopo fondamentale degli indici è quello di evitare scelte troppo specifiche. 
Voglio scegliere se e quanto investire in azioni, piuttosto che obbligazioni. Oppure obbligazioni di una certa tipologia (tasso fisso, legato all’inflazione, aziendali o statali, ecc.) piuttosto che di un’altra. 
Ma quello che voglio fare investendo in indici è soprattutto evitare di scegliere su quali titoli investire.  
Quando si tenta di usare gli indici per investire in micro-settori (certe specifiche tecnologie o idee d’investimento) si sta usando lo strumento sbagliato, come cercare di mangiare un piatto di spaghetti con un coltello. Si può fare, talvolta è “meglio che niente”, ma se si sceglie di farlo è importante essere consapevoli dei limiti intrinseci di questa scelta. 

I limiti e vantaggi dei singoli titoli azionari
Tutte le scelte hanno vantaggi e svantaggi. Investire in singoli titoli azionari per tentare di porre in atto specifiche idee di investimento è fortemente sconsigliabile per la quasi totalità degli investitori non professionisti. 
Il limite principale dell’investimento in singole azioni è il costo informativo
Per frazionare adeguatamente il rischio di perdere una parte irrecuperabile del portafoglio finanziario è necessario usare da un minimo di 10/15 azioni, per portafogli più piccoli, fino ad oltre 30/40 azioni per portafogli di svariati milioni di euro (ricordo che non stiamo parlando di tutto il portafoglio, ma solo di quella parte destinata ad investire in specifiche idee, mentre il grosso del portafoglio di investitori privati è bene che sia sempre e comunque allocato su indici ampiamente diversificati).
Selezionare, prima, e seguire per svariati anni decine e decine di azioni implica un lavoro a tempo pieno di più persone. Nessun singolo investitore che non dedichi tutto il suo tempo a questa attività sarà in grado di farlo adeguatamente, specialmente applicando la filosofia d’investimento che descriverò in seguito. 
Per contro, i vantaggi di investire in singoli titoli azionari sono diversi. In primo luogo la precisione con la quale si può scegliere di investire in specifici progetti o idee non è replicabile con indici. I potenziali ritorni non sono neppure confrontabili, stiamo parlando di ordini di grandezza diversi, un’altra partita. 
Secondariamente, l’enorme volatilità dei singoli titoli rispetto agli indici può essere certamente vista come un forte problema, ma genera anche grandi opportunità. Approcciando l’investimento in singoli titoli con una filosofia di accumulazione sulle discese, si possono, abbastanza facilmente, generare degli extra-rendimenti che sfruttano le tipiche reazioni eccessive dei mercati finanziari (in una direzione e nell’altra). 
In terzo luogo, dal punto di vista fiscale, c’è un vantaggio prettamente tecnico. L’investimento in singoli titoli consente di compensare le minusvalenze con le plusvalenze, cosa che l’investimento in fondi comuni, compresi gli ETF, non consentono di fare.
Tutti questi vantaggi, lo ripetiamo, non vengono “gratis”, implicano dei costi informativi molto elevati che rendono l’opzione fortemente sconveniente per la quasi totalità degli investitori non professionali.

L’importanza di una filosofia d’investimento 
Chiarito che con questo articolo non desideriamo invogliare nessun investitore non professionale ad iniziare ad investire in singoli titoli azionari senza un adeguato supporto, desideriamo fornire una infarinatura di una filosofia d’investimento in singoli titoli diversa da quelle che vengono comunemente applicate quotidianamente nei mercati finanziari, consciamente o inconsciamente, direttamente o indirettamente.   
In primo luogo bisogna comprendere cosa intendiamo per “filosofia d’investimento”. Secondo il grande economista Aswath Damodaran, una filosofia d'investimento è "un coerente modo di pensare circa i mercati finanziari, il loro funzionamento (e talvolta il non funzionamento) ed i tipi di errori che si crede sottostiano consistentemente al comportamento degli investitori". Una strategia d'investimento è qualcosa di molto più ristretto. E' uno dei modi possibili di mettere in pratica la propria filosofia d'investimento. In altre parole, la filosofia d'investimento è quel complesso di credenze fondamentali che giustificano una strategia dello stesso investimento. 
Milioni di investitori, professionisti e non, direttamente o indirettamente, fanno scelte finanziarie senza porsi minimamente il problema del perché la scelta che fanno dovrebbe portare buoni risultati. Quali idee stanno alla base di quelle scelte?
Il fatto che molti non si facciano domande del genere non significa che non stiano applicando una filosofia d’investimento. Significa che stanno applicando, in modo inconsapevole, la filosofia d’investimento pensata da qualcun altro. 
Se questo “qualcun altro” non maneggia soldi propri, ma altrui, è probabile che usi la filosofia che conviene più a lui che agli altri. 
La quasi totalità dei professionisti che operano nei mercati finanziari scelgono i singoli titoli sulla base di due grandi approcci filosofici che descriverò in seguito. A ben guardare, questi due approcci hanno in comune un’idea di fondo che genera grossi problemi. 
La filosofia d’investimento che propongo in questo articolo supera entrambi questi approcci, con i conseguenti problemi. 

La filosofia del “valore”
L’approccio agli investimenti finanziari, particolarmente nell’azionario, più antico (e probabilmente più sensato) è basato su quella che potremmo definire “filosofia del valore”. 
Si sceglie un’azione perché si ritiene che il suo prezzo sia inferiore al “valore” dell’azienda. Si ritiene che, nel medio-lungo termine, prezzo e valore, tenderanno ad allinearsi. 
Per un po’ di tempo il mercato potrà trascurare il valore, ma nel lungo termine se ne accorgerà ed il prezzo salirà. O almeno è ciò in cui crede chi sposa questa filosofia. 
Il problema è che il prezzo è un dato oggettivo, il valore è sempre un punto di vista soggettivo, basato su una serie di ipotesi ed assunzioni discutibili. 
Anche trascurando questo importantissimo aspetto e ipotizzando che si riesca a definire un criterio abbastanza oggettivo per determinare il valore di un’azienda (cosa impossibile!), non potremo mai dire quanto tempo servirà affinché si realizzi l’allineamento fra prezzo e valore, ma - soprattutto! - se ciò si realizzerà per effetto dell’innalzamento del prezzo o per l’abbassamento del valore dell’azienda.

La filosofia del “prezzo”
Per contro, possiamo definire “filosofia del prezzo”, l’insieme di credenze che stanno alla base di tutte quelle tecniche di analisi grafica o statistica (quantitativa) delle variazioni dei prezzi (e volumi) per tentare di prevedere l’andamento futuro dei prezzi. Ci sono centinaia, se non migliaia, di tecniche diverse, ma la credenza di fondo che le unisce tutte è l’idea che le variazioni passate dei prezzi (e dei volumi) siano le uniche informazioni veramente importanti, perché sintetizzerebbero tutto il resto. 
Chi applica queste tecniche, più o meno consapevolmente, sta credendo al fatto che attraverso i dati passati sulle variazioni dei prezzi si possono ricavare informazioni utili per migliorare i rendimenti futuri. 
Sarebbe bello se questa idea fosse semplicemente falsa. Cadrebbe nel dimenticatoio molto presto. Purtroppo la realtà è ben peggiore! La cosa funziona, ma in modo molto instabile, per specifiche correlazioni che cambiano nel tempo, con una frequenza impossibile da determinare. Per un po’ di tempo, sotto specifiche condizioni di mercato, funziona! O meglio: fornisce l’illusione di funzionare. Presto o tardi le condizioni mutano e si finisce per perdere molto di più di quello che si è guadagnato. Ci porterebbe molto fuori tema spiegare nel dettaglio perché è necessario che queste tecniche, nel lungo periodo, non funzionino. Ciò che qui interessa sottolineare è la credenza che sta alla base di queste tecniche: attraverso l’analisi statistico-matematica delle variazioni dei prezzi passati di qualsiasi attività si possono ricavare informazioni utili per generare stabilmente extra-rendimenti rispetto alla media del mercato. Se credete che ciò sia possibile (ed avete compreso che la parola chiave qui è: “stabilmente”!), affidatevi a chi vi propone queste tecniche. Ne troverete a centinaia. Se avete capito che non è possibile (e lo capirete solo dopo averci perso un po’ di soldi, ma prima una parte di voi ci vorrà credere) non perdeteci più tempo. 

Due filosofie, un problema comune
Sebbene quella che ho chiamato “filosofia del valore” sia senza dubbio più sensata, condivide con quella che ho chiamato “filosofia del prezzo” uno stesso grande problema: si tratta essenzialmente di un approccio matematico-previsionale. Salvo qualche eccezione (ad esempio due “miti” come Warren Buffet e Peter Lynch), anche chi fa analisi fondamentale andando alla ricerca del “valore”, lo fa con lo scopo di “battere il mercato”. E’ interessato a trovare l’azione che ha un prezzo da lui giudicato interessante rispetto ai parametri in genere derivati dall’analisi dei bilanci. In sostanza, si fonda sui numeri, non sulle idee. Non è interessato tanto al business, ma alla differenza fra prezzo e valore. E un approccio che cerca di usare la presunta “forza” della matematica, anche se molto più sensato e fondato. Chi segue la filosofia dei prezzi, analizza quasi esclusivamente svariate forme di analisi statistica delle variazioni dei prezzi. Chi segue la filosofia del valore utilizzerà prevalentemente dati provenienti dai bilanci e poi li confronterà con i prezzi. Ma la finalità è sostanzialmente la stessa. Due approcci diversi, ma con lo stesso scopo: tentare di battere la media del mercato. Se si selezionano i titoli con questo approccio, inevitabilmente si rimarrà delusi. 

La filosofia del “proprietario”
Se si sceglie di investire una parte del portafoglio in singoli titoli azionari, l’approccio che propongo si basa su quella che ho chiamato “filosofia del proprietario”. Un proprietario di un’azienda, in genere, compie una scelta di vita. Chi decide di comprare un’azienda non lo fa solo perché crede che farà meglio della media delle altre alternative possibili. Chi possiede un’azienda non la vende semplicemente perché ci sono state delle difficoltà. Il proprietario di un’azienda sposa un progetto. Chi ragiona con la testa del proprietario di un’azienda è interessato prima di tutto a due cose: il modello di business e la guida aziendale. La finanza, i bilanci, il prezzo sono tutte cose rilevanti, ma vengono dopo, molto dopo. La prima cosa da considerare è: cosa permette a quest’azienda di fare rilevanti margini rispetto al capitale impiegato? Questo “qualcosa” è sostenibile nel tempo? Cosa potrà far accrescere quote di mercato? Qual è il mercato complessivo di riferimento? Tale mercato di riferimento è in crescita o in decrescita? Le tecnologie alla base di questa azienda sono in evoluzione o sono stabili? Una serie di altre domande riguarda il management e la cultura aziendale. La cultura aziendale è l’asset più importante di un’azienda ed anche quello più trascurato. Per chi segue la “filosofia del prezzo” parlare di “cultura aziendale” è come parlare di aria fritta, ma anche per la grande maggioranza di chi segue la “filosofia del valore” è un tema molto marginale. 
Una forte cultura aziendale può essere portata avanti solo da una leadership credibile. 
Chi seleziona le azienda partendo da quella che ho definito “filosofia del proprietario”, prima di guardare i bilanci e la trimestrale, si domanderà se chi guida l’azienda ha buone probabilità di restare al comando anche nei prossimi 10 anni, minimo. Se è più probabile che venga sostituito dopo un paio di bilanci non graditi al mercato, non è un’azienda da tenere in portafoglio. Si può affermare che la selezione di un’azienda è per il 30/40% selezione della leadership che la guida.
Un altro aspetto fondamentale da considerare sono i clienti. Cosa dicono i clienti dei prodotti e dell’azienda? Sono dei tifosi? Oppure comprano solo perché non hanno ancora trovato di meglio? C’è una certa identificazione fra clienti e azienda? Insieme al prodotto, i clienti comprano anche un certo “modo di essere”? 
Infine, il quarto aspetto importante da considerare sono i vantaggi competitivi. Un’altra azienda potrebbe facilmente copiare l’azienda che si sta valutando? Su cosa si fondano i vantaggi competitivi di questa azienda rispetto ai concorrenti? 
La credenza fondamentale della “filosofia del proprietario” si può riassumere così: nei mercati finanziari, la norma è “lottare” per strapparsi di mano le briciole di rendimento nel breve/medio termine; ma i veri rendimenti, quelli che cambiano il livello di ricchezza delle famiglie, si costruiscono nei decenni. Nella prospettiva dei decenni, quello che conta non è certamente l’andamento dei prezzi passati e neppure il valore dell’azienda di oggi che si può ricavare dai bilanci attuali e passati. Nella prospettiva dei prossimi decenni, quello che conta è il progetto aziendale e la capacità dell’azienda di conquistare nuove fette di mercato, capacità che deriva dai prodotti/servizi, dalla leadership, la cultura aziendale ed i vantaggi competitivi conquistati. I pochi che hanno la capacità di comprendere, sposare e mantenere negli anni dei progetti aziendali vincenti non calcolano i rendimenti in termini percentuali, ma in termini di moltiplicazione del capitale iniziale. Moltiplicare il capitale investito per 10 volte può apparire irrealizzabile. Sicuramente lo è se ci riferiamo al mercato azionario nel suo complesso (cioè agli indici). Se ci riferiamo a specifici progetti aziendali presi in uno stadio abbastanza precoce (e quindi con tutti i rischi di insuccesso associati) è qualcosa di normale. 

Come diversificare seguendo la “filosofia del proprietario”
Abbiamo compreso che se la selezione dei singoli titoli avviene con la filosofia appena descritta, la questione non è il confronto con la media del mercato. Chi sceglie i titoli in quel modo lo fa perché crede nei progetti aziendali. Se, per un anno o due, il mercato ha avuto un rendimento migliore non è neppure un parametro da considerare. Il tempo sarà dedicato ad analizzare l’evoluzione dei progetti aziendali.  Ci sono nuovi prodotti in arrivo? Ci sono problemi all’orizzonte? Cosa sta facendo la guida aziendale? Come va il mercato di riferimento? Cosa fanno i concorrenti?
Dal punto di vista della diversificazione, la prima diversificazione da fare è relativa ai settori. Avere tutte aziende nel settore bio-tecnologico, ad esempio, è sicuramente poco sensato. L’ideale sarebbe avere aziende in settori abbastanza diversi: energia, informatica, media, telecomunicazioni, trasporti, salute, alimentari, immobiliare, assicurativo, finanza, ecc. All’interno di questi settori ci sono micro-settori particolarmente interessanti come: energia solare, intelligenza artificiale, cloud-computing, streaming, stampanti 3d, internet satellitare, guida autonoma, software per la gestione dei servizi sanitari, biotecnologie, instant buyer immobiliari, assicurazioni on-line, fintech, fermentazione di precisione, ecc. 
All’interno di questi micro-settori, ci sono diverse aziende. Spesso è difficile identificare l’azienda che ha il progetto migliore. In questi casi, può aver senso acquistare due o tre aziende oppure attendere che emerga un vero leader. Questo dipende tantissimo dal profilo di rischio e dal tipo di gestione che si pensa di applicare nel tempo. 
Il concetto chiave è che la principale diversificazione da applicare riguarda il tipo di settore nel quale le aziende scelte operano. 
In termini di peso del portafoglio è fondamentale comprendere che investendo in singoli titoli, la possibilità di perdere l’intero capitale investito in quel singolo titolo è un'ipotesi che va presa in seria considerazione. Più “giovane” è il progetto aziendale e più elevata è questa probabilità. Quindi si deve mettere la quantità di portafoglio che potrebbe anche essere completamente persa senza generare perdite non facilmente recuperabili con un normale andamento di portafoglio.
Si può anche scegliere di investire solo in grandissime aziende (tipo Coca Cola, Microsoft, Adidas, Generali, ecc.) ridimensionando molto le aspettative di rendimento di lunghissimo termine, ma comunque con vantaggi che possono essere comunque significativi rispetto agli indici e riducendo anche molto i costi informativi associati.

Conclusione
L’ingrediente più importante per scegliere questo tipo di diversificazione di portafoglio è l’approccio mentale di lungo o lunghissimo termine. Questo può arrivare solo da una vera e profonda analisi dei propri bisogni di vita collegati ad esigenze economico-finanziarie. 
Solo se l’investitore ha fatto un piano finanziario di lungo termine in modo realmente ponderato può permettersi di fare questo tipo di scelte finanziarie portandole avanti per tutto il tempo necessario affinché producano i loro effetti. I rendimenti potenziali associati sono straordinari, ma questi non sono “pasti gratis”. Si possono ottenere rendimenti a prima vista impensabili solo perché sono molto poche le persone che hanno una combinazione di fattori culturali, psicologici e di disponibilità economiche per mantenere un portafoglio di singoli titoli azionari per dieci o quindici anni. Ai pochi “fortunati” che rientrano in questa categoria, mi sento di consigliare caldamente di approfondire e sposare la “filosofia del proprietario”.

 
 
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