
Ossessione per diversi, ché l’obbligo di fare un regalo è un
“cult” della banalità affettiva. A Natale non si può non fare un regalo a quello e a quell’altro, fino al degrado del concetto e della pratica di regalo con una busta con dentro soldi: il contrario del regalo, che dovrebbe essere qualcosa - utile o meno che sia - per consolidare e ricordare l’affetto tra chi regala e chi riceve, un pezzo di se stesso per farsi ricordare dall’altro. Una "cosa" fra due persone, insomma. E poi i regali
“su commissione”... perché chiamarli regali? Sono come i soldi.
Per i regali di Natale gli
algoritmi dei commercianti online funzionano come non mai: parole chiave con età e sesso per i più disarmati, con l’aggiunta di qualche preferenza per chi, oltre a metterci un po’ d’impegno, conosce qualche piacere di chi dovrà ricevere.
“Metterci un po’ d’impegno”... è proprio quello che sarebbe bello sì che regalare divenga un piacere farlo e riceverlo. Certo, non tutti sono così, ma alzi la mano chi non è angosciato per qualcuno a cui “non si può non fare un regalo”, in genere gli anziani o il cugino o lo zio o il nipote invitato a cena la notte di Natale.
Tra
cravatte di dubbio gusto (
oh: ma è Marinella),
grattugie elettriche,
sciarpe calzini e
magliette che non verranno mai indossate, pochi si azzardano coi
libri (tranne quelli di cucina per - ovviamente - una qualche donna), tanti coi
giocattoli per i più piccoli che, a differenza dei grandi, quando non gli piacciono
“mettono un muso….” (
“ringrazia lo zio”). E poi ci sono i regali di vario tipo che vengono valutati solo per
quanto oro pesano (
“ma guarda che spilorcio”). Non a caso imperversano i mercatini post-natalizi per piazzare i regali e ricavarci qualche soldino.
Il ciclo produzione/rifiuto è salvo.
Eppure se il cuore e il desiderio ci sono,
ci vorrebbe poco. Non solo oggetti, magari fatti da sé o di
antiquariato per ricordare momenti felici passati insieme, ma anche pensieri, financo un abbraccio o un bacio… non formali.
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