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Trasparenza dei costi nel mondo della consulenza finanziaria
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Editoriale di Alessandro Pedone
10 aprile 2018 16:24
 
 Nell'ultimo numero de The Journal of Wealth Management, la più prestigiosa rivista scientifica peer-reviewed americana dedicata al wealth management, è stato pubblicato un interessante articolo scientifico sulla percezione dei costi dei consulenti finanziari negli Stati Uniti (Lost in Fees: An Analysis of Financial Planning Compensation -Yuanshan Cheng and Charlene M. Kalenkoski- The Journal of Wealth Management Spring 2018, 20 (4) 46-54).
Ricordiamo che gli USA sono la patria dei consulenti finanziari fee-only, cioè retribuiti solo a parcella, sebbene esista sia il modello di retribuzione a commissioni (come i Promotori Finanziari in Italia, che adesso si sono fatti chiamare “consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede”) che quello misto: in parte a parcella ed in parte a commissione. Il Financial Planner è una professione che esiste da decine di anni in questo Paese. Ci si potrebbe attendere che almeno negli Stati Uniti gli investitori siano ben consapevoli dei costi che pagano per il servizio di consulenza, ma questo non è quello che le evidenze accademiche ci dicono.
Ben il 17% degli intervistati non conosce come vengono applicati i costi per la consulenza finanziaria ed il 32% non é in grado di dire quanto avevano pagato negli scorsi 12 mesi per questo tipo di servizio. Cosa ancora più grave, l'80% di coloro che dichiaravano di sapere quanto avevano pagato, sottostimavano in modo grave il reale costo di mercato (stimavano un costo pari a circa un decimo del costo medio del mercato). Naturalmente la confusione sui costi era ancora maggiore nei casi in cui il consulente non era solo a parcella.
Qui stiamo parlando del più evoluto mercato al mondo per la consulenza finanziaria, figuriamoci cosa accade in Europa ed in particolare in Italia, dove la consulenza finanziaria indipendente è sostanzialmente all'anno zero. Nella sostanza partirà l'anno prossimo.

In Europa il mercato della consulenza finanziaria più all'avanguardia è quello del Regno Unito (sebbene le reti di distribuzione italiane dicano il contrario) perché nel 2012 è entrata in vigore una norma, chiamata Retail Distribution Review (RDR) la quale – in estrema sintesi – ha proibito di percepire commissioni sui prodotti di risparmio gestito venduti ai clienti, consentendo solo il modello di consulenza a parcella. Questo ha eliminato circa un quarto dei “finti” consulenti e adesso nel Regno Unito ci sono 22 mila consulenti finanziari indipendenti. Il peso delle commissioni nelle entrate degli intermediari finanziari inglesi è passato da circa 80% nell'anno precedente all'entrata in vigore della legge, a meno di un terzo attuale! In sostanza, la norma ha ridotto in modo consistente i costi dei prodotti finanziari ed ha creato una rete capillare di consulenti realmente indipendenti!
Una norma che che ha mostrato di funzionare, ma nell'Europa continentale non è stata copiata.

Con l'introduzione della MIFID 2, però, abbiamo introdotto almeno due concetti che, secondo la maggioranza degli analisti potrebbero diventare dirompenti: il primo è il divieto di percepire la retrocessione delle commissioni sui prodotti venduti dalle banche e la seconda è l'obbligo di esplicitare per scritto sia il costo per la consulenza, in termini di nominali, sia se la consulenza è prestata su base indipendente o meno.
I clienti della banche, quindi, nella grande maggioranza, riceveranno un foglio nel quale ci sarà scritto che hanno pagato migliaia (e nel caso dei clienti più facoltosi decine di migliaia) di euro per una consulenza non indipendente.
La questione è capire se questa comunicazione sarà realmente letta dai clienti o se finirà fra le decine di pagine che ricevono dalla banca e che spesso non vengono mai lette.
In Germania, qualcosa di simile è stata introdotta nell'agosto del 2014 ed al momento non sembra che abbia impattato sul mercato in modo paragonabile a ciò che è successo nel Regno Unito (anche se qualche risultato l'ha prodotto, visto che la Germania è comunque – dopo l'UK – la seconda nazione per penetrazione degli indipendenti in base ad una ricerca pubblicata da Cerulli Associates).
E' vero che la normativa tedesca non imponeva di indicare i costi pagati dal cliente in termini nominali, come invece prevede la Mifid 2. Quindi il cliente non vede i costi pagati in modo chiaro. Vedremo cosa accadrà anche in Germania con l'entrata in vigore della Mifid 2 a partire da quest'anno.

Quale morale possiamo trarre?
La trasparenza nei costi sui servizi d'investimento è difficilissima da ottenere, se non ci sono interventi legislativi drastici. Il modello del Regno Unito ha mostrato una grande efficacia per gli investitori (ed infatti è visto come il fumo negli occhi dall'industria del risparmio gestito in Italia) ma l'Europa ha scelto una strada molto meno incisiva.
Visto che le norme non fanno tutto quello che potrebbero per tutelare gli investitori, è necessario che gli investitori facciano “i compiti a casa” e verifichino direttamente quanto spendono per investire i propri soldi e se per questi costi ricevono un reale servizio di consulenza o solo una mera attività di vendita.
 
 
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